Etica hacker e visione cristiana. A prima vista non sembrerebbero due concezioni che possano andare d'accordo. Anzi, appaiono piuttosto come due corpi appartenenti a universi diversi, destinati a non incrociarsi mai. Eppure c'è qualcuno convinto che ritiene la possibilità di un dialogo, di un incontro fruttuoso...
Etica hacker e visione cristiana. A prima vista non sembrerebbero due concezioni che possano andare d’accordo. Anzi, appaiono piuttosto come due corpi appartenenti a universi diversi, destinati a non incrociarsi mai, o nel peggiore dei casi a collidere con un’esplosione spettacolare.
Eppure c’è qualcuno convinto che non lo siano affatto, ritenendo invece che le possibilità di dialogo, se non addirittura le premesse di un incontro fruttuoso, ci siano eccome. Questo qualcuno è padre Antonio Spadaro, gesuita, direttore della rivista La Civiltà Cattolica, consultore dal 2011 del Pontificio Consiglio della Cultura e di quello delle Comunicazioni Sociali. Soprattutto, Spadaro è un teologo appassionato di internet e delle tecnologie, e pioniere di una riflessione originale sul pensiero e la fede cristiani al tempo della Rete. Ne scrive nel suo libro Cyberteologia. Pensare il cristianesimo al tempo della rete (Milano, Vita & Pensiero, 2012), e ne parlerà venerdì 9 novembre 2012 nel corso di una lectio magistralis al Festival della Scienza di Genova.
Cosa intende con il termine cyberteologia?
Con questa definizione cerco di far comprendere che la cultura della Rete pone sfide nuove alla nostra capacità di formulare un linguaggio della trascendenza. La cyberteologia non è frutto di internet, bensì della stessa fede che sprigiona un impulso conoscitivo. E’ intellectus fidei, cioè intelligenza della fede, in un tempo in cui la logica della Rete segna il modo di pensare, conoscere, comunicare, vivere, predispone a certe forme di ragionamento.
Nel saggio Etica hacker e visione cristiana, che è poi divenuto un capitolo del suo libro Cyberteologia, affronta proprio la questione di come la cultura espressa dagli hacker non sia affatto lontana dal cristianesimo. A partire da una certa visione del mondo, antitetica a quella che pervade la nostra società…
Leggendo il classico di Pekka Himanen L’etica hacker e lo spirito dell’età dell’informazione ho notato che venivano fuori dei ragionamenti ispirati dalla lettura di Padri della Chiesa come Sant’Agostino e San Giustino, da Dante o da precisi riferimenti al libro della Genesi: tutta una serie di questioni che si possono ricondurre alla domanda sul significato della vita. Così mi sono reso conto che la filosofia di vita hacker era anche teologicamente connotata. E la conferma l’ho avuta da Tom Pittman, uno dei primi filosofi hacker, che si definisce «a Christian and a technologist», e da Larry Wall, che ha creato il linguaggio di programmazione «Perl» che collega la sua azione creativa alla sua fede di cristiano evangelico. Tutto questo mi ha portato a concludere che quel mondo e il cristianesimo avessero davvero qualcosa da dirsi, temi seri su cui confrontarsi. Uno di questi è proprio la visione del lavoro e della vita. L’approccio hacker all’esistenza vuole evitare che l’uomo sia schiacciato da un fare privo di senso, da un organigramma più che da un progetto. Il riferimento al racconto della creazione riguarda proprio la gratuità e giocosità della creazione, e l’idea di una vita «altra» che trascenda la concezione del lavoro come fatica ottimizzata. Piuttosto si guarda alla capacità da parte dell’uomo di esprimersi in pienezza, in quella che potremmo definire la dimensione della domenica del cristiano o lo shabbat, il “sabato” ebraico.
Poi c’è il tema della condivisione e del rifiuto della mera logica del profitto. “All’interno di questa visione l’etica hacker può acquistare persino risonanze profetiche..”, scrive nel saggio.
Infatti il secondo tema forte su cui confrontarsi è proprio questo: la filosofia open source collegata alla visione hacker del lavoro è stimolante, aiuta l’uomo a comprendere come i beni e i doni vadano condivisi. Anche se con un’importante differenza: nella visione «open» io metto a disposizione ciò che ho, in modo spesso anonimo e impersonale. Mentre nel cristianesimo la logica del dono crea sempre un legame, e fonda la comunione ecclesiale. Il primo dono viene dall’alto, da Dio, non è messo all’interno di una relazione anonima, ma è un dono indeducibile da uno scambio collaborativo di tipo orizzontale.
Naturalmente ci sono invece anche degli aspetti che allontanano queste due visioni. Il rapporto col principio di autorità è abbastanza divergente…
Certamente l’autorità è vista in termini negativi all’interno dell’etica hacker. Ci sono anche diverse metafore al riguardo che esprimono questa contrapposizione: il bazar orizzontale contrapposto alla verticalità della cattedrale; o l’accademia platonica contrapposta al monastero. Ma davvero l’autorità è sempre un male? E il rapporto educativo? E la saggezza? Non credo che la risposta giusta sia quella di opporre i due modelli. In ogni caso questo può costituire anche un momento di riflessione per la Chiesa, che confrontandosi con lo spirito hacker può valutare in che modo l’autorità debba declinarsi in un contesto come quello di oggi, molto sensibile ai valori della condivisione (sharing) più che a quelli della trasmissione (broadcasting).
Carola Frediani
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