Ho fame d'amore

Ne abbiamo incontrate tra le compagne di scuola e tra le colleghe di lavoro; e quando le incroci sui marciapiedi le riconosci a colpo d'occhio: avanzano, ossute e senza sorrisi. Sono la schiera delle ragazze e delle donne anoressiche che ostentano il loro corpo eroso dal digiuno...

Ho fame d’amore

da Quaderni Cannibali

del 07 settembre 2005

 

Ne abbiamo incontrate tra le compagne di scuola e tra le colleghe di lavoro; e quando le incroci sui marciapiedi le riconosci a colpo d’occhio: avanzano, ossute e senza sorrisi. Sono la schiera delle ragazze e delle donne anoressiche che ostentano il loro corpo eroso dal digiuno. Se ne parla al femminile perché questo disturbo alimentare e psicologico riguarda in massima misura le donne (96,8%), ma non lascia immuni gli uomini (3,2%). Sono dati forniti dall’Aba (Associazione per lo studio e la ricerca dell’anoressia, la bulimia, l’obesità e i disordini alimentari) secondo cui, ancora, l’arco di età in cui si soffre di disordini alimentari copre un periodo che va dagli 11 ai 59 anni, con frequenza maggiore intorno ai 26 anni. Ne sono colpiti in percentuale maggiore i ceti medi e quelli alti; soprattutto gli studenti, e a seguire i disoccupati e i lavoratori saltuari. Infine la bulimia si presenta nel 68,6% dei casi, l’anoressia nel 22,1%. A stretto contatto con l’Aba, ha lavorato per oltre un anno Valeria Cavalli, della compagnia milanese “Quelli di Grock”, al fine di elaborare un testo che ha come primo scopo quello di fornire uno stimolo alla conoscenza del problema anoressia. Lo spettacolo, dal titolo “Quasi perfetta”, pronto già dal febbraio dello scorso anno, ha girato parecchio, rivolgendosi specialmente a psichiatri e psicologi, operatori sociali, studenti delle superiori, genitori, ma anche a un pubblico generico, e anche la prossima stagione è già ben pianificata.

Lodevolissimo, certamente, l’obiettivo di fare divulgazione su un fenomeno che può emergere in fase iniziale come un capriccio, invece cela un malessere insopportabile, un disagio che si fissa nella psiche sotto forma di rifiuto del cibo, portando la persona a identificarsi nel puro atto di digiunare. Spesso si liquida la questione incolpando l’equazione bellezza uguale magrezza che trabocca dalle pagine patinate delle riviste e intrappola le ragazze. Il fatto è che a quell’immagine si associa il merito all’ammirazione e all’amore.

Il digiuno volontario nella storia si è soprattutto legato all’ascetismo religioso, e quello non volontario, purtroppo, si imponeva con le carestie e le guerre, un tempo, e oggi con l’iniqua distribuzione della ricchezza sul pianeta. La fame e la sete erano e restano nel mondo le principali cause di morte. Per decidere di rinnegare il cibo, l’anoressia, o per decidere di ingerirne quantità esagerate, la bulimia, la disponibilità di cibo non deve quindi minimamente rappresentare il problema. Ma il cibo perde il suo valore reale e simbolico. Fonte di nutrimento: ma il nutrimento viene rifiutato perché si ha fame d’“altro”, di affetto; o viene esasperato per colmare un vuoto interiore. Espressione di un piacere di cui ci si priva con un’inconscia volontà autolesionistica; o piacere che si perde nella ipersaturazione a cui segue il malessere fisico del bulimico. Cibo, ancora, come elemento che suggella un momento di socializzazione: ma chi soffre di anoressia cerca di sfuggire i pasti in comune, come chi è bulimico tenta di nascondersi durante le abbuffate.

La protagonista di “Quasi perfetta”, Alice, interpretata da Giulia Bacchetta, diretta da Claudio Intropido, è una ragazza come tante, un’adolescente in sovrappeso che si affaccia alla vita dovendo fare i conti con tutti i conflitti della sua età. È importante sottolineare questo stato di – tutto sommato – normalità da cui l’autrice parte, per dimostrare che l’anoressia non ha bisogno di chissà quale terreno melmoso per innestarsi. I personaggi che dovrebbero accompagnarla nel suo cammino di crescita, tutti resi in scena da Giulia Bacchetta che affronta in solitaria l’impegnativo monologo, sono resi, per la verità, secondo canoni stereotipati ma indiscutibilmente chiari. Una madre, bella e impossibile, del tutto incapace a comprendere la figlia, con la quale, Alice, sembra entrare inconsciamente in competizione. Un padre assente, che non ha tempo per lei. Un’amica del cuore, Irene, che le darà la prima, cocente delusione della sua vita. Un amore non corrisposto e, unico raggio di luce in un panorama umano grigio, Adele, la portinaia, che coccola Alice, la fa sorridere, le dà calore. Scivolare nel tunnel dell’anoressia sembra fin troppo facile per Alice e per quelle come lei, che investono ogni energia psichica nell’obiettivo di spogliare di carne il proprio scheletro. “Sono orgogliosa”, afferma Alice. Certo, sopportare la fame è una sfida e una forma di coraggio. È un gesto vistoso che reclama attenzione. Si pensi allo sciopero della fame. O alle “fanciulle miracolose” che digiunavano senza mai arrivare alla morte. Nutrite da Satana o da Dio, si credeva. Talvolta gabbavano la comunità, mangiando di nascosto, per ottenere quel po’ di vantaggio che dà l’essere eccezionali. Una volta scoperto l’inganno, la comunità non perdonava. E il corpo, prima esposto come prodigio, diventava il luogo della vendetta. Diverso ancora il digiuno religioso, non solo appannaggio degli asceti e delle mistiche, ma anche dei fedeli comuni. Si parlava un tempo di temperanza quaresimale, e di “non mangiare carne il venerdì”. Pratiche quanto ancora in uso tra i cattolici? Ben più salda, mi pare, la regola del musulmano Ramadam. Non d’altro si tratta, in fondo, che di norme igieniche e di un ordine all’autocontrollo. Autocontrollo portato all’estremo dall’anoressica, che si sente brava, bravissima, “quasi perfetta”, esattamente, fino al masochismo massimo che è appunto il sacrificio di molte funzioni del corpo, prima, e della vita, poi, quando non si riesce più a tornare indietro. Ben vengano allora, a prevenire il baratro dell’anoressia, uno spettacolo come “Quasi perfetta”, pensato proprio per i più giovani, da replicare nelle palestre scolastiche e negli oratori. Perché poi – come si diceva un tempo – “segue il dibattito” con la dottoressa Maria Barbuto, psicoterapeuta di Aba e responsabile della prevenzione, e gli artisti dello spettacolo. Un’ottima proposta che insegnanti ed educatori dovrebbero annotarsi in vista del prossimo anno scolastico.

 

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(fonte: www.viator.it )

Anna Ceravolo

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