I giovani di oggi e le loro attese

Non è affatto agevole individuare i tratti culturali di fondo delle attuali giovani generazioni, tuttavia è possibile delineare alcuni elementi distintivi dei giovani d'oggi...

I giovani di oggi e le loro attese

da Quaderni Cannibali

del 16 novembre 2005

Tratti distintivi di una generazione

 

Non è affatto agevole individuare i tratti culturali di fondo delle attuali giovani generazioni, sia perché ci troviamo di fronte a molte condizioni giovanili, sia perché gli elementi di discontinuità o di ambivalenza sembrano prevalenti in molti campi di vita. Tuttavia, pur nella varietà e contraddittorietà delle situazioni, è possibile delineare alcuni elementi distintivi dei giovani d’oggi, in quanto ogni generazione riflette il particolare momento storico in cui è chiamata a vivere, differenziandosi dalle generazioni precedenti e dal modello dei padri.

L’analisi delle attese dei giovani può offrirci vari spunti per comprendere il quadro di riferimento valoriale e normativo delle nuove generazioni, i loro orientamenti culturali, il modo di percepirsi all’interno della società e le coordinate entro cui essi mirano a realizzarsi. Si tratta di far emergere problemi, orientamenti e valori che riflettono le condizioni della modernità avanzata, un tempo denso di opportunità e possibilità ma anche foriero di non poche tensioni e condizionamenti.

 

 

Priorità alla costruzione dell’identità

 

È indubbio che la modernità sia foriera di vantaggi per gli individui, mettendoli al centro di molti stimoli e sollecitazioni, ampliando il loro livello di coscienza, costringendoli ad essere riflessivi e a confrontarsi con situazioni diverse. Ma a fianco di questi aspetti positivi, essa induce anche vari costi personali e sociali, che attraversano la vita di ampie quote di popolazione, rendendola problematica. L’uomo contemporaneo non ha più le certezze, i punti di riferimento, il consenso comunitario del passato. Le sue opzioni sono sempre più relative in un mondo che è diventato un villaggio globale. Oltre a ciò altre difficoltà oggettive condizionano oggi la vita individuale e sociale. Si vive oggi in un tempo di crisi delle grandi ideologie, fatto questo che porta a una frammentazione del pensiero e all’affermarsi di modelli individualistici di realizzazione. Inoltre, in un tempo di globalizzazione gli scenari cambiano rapidamente su vari versanti (economico e finanziario, lavorativo, culturale e politico, ecc.), per cui è sempre più difficile operare delle previsioni realistiche nei vari campi e si ha coscienza che fattori oscuri possono improvvisamente invadere la scena. In un mondo ormai pluralistico e globale, cresce poi la domanda di regolazione sociale in molti campi, per operare un controllo in settori che possono avere gravi ripercussioni sia sulla vita degli individui che sul futuro della collettività: si pensi alla questione ambientale, ai campi della bioetica e delle biotecnologie, agli equilibri finanziari internazionali, ecc.

In questo scenario non chiaro, denso di sollecitazioni e di imprevisti, è evidente negli individui la difficoltà di orientarsi su questioni sia grandi che piccole. La modernità porta dunque con sé molte inquietudini, immette in una situazione di incertezza, alimenta l’insicurezza, produce rischi dissociativi: tutti aspetti che espongono i soggetti a tensioni e contraddizioni difficilmente risolvibili con le risorse a disposizione. C’è il rischio di un effetto spaesamento. Come affermava Bloch, è sempre più complessa la faccenda di sistemarsi nell’universo.

Questa situazione di incertezza ha indubbie ripercussioni nella vita dei giovani. Per essi, ad esempio, porsi grandi mete in questa società non è facile, in quanto incontrano sulla loro strada la concorrenza di molti adulti e vivono in un clima sociale segnato da incertezza e complessità. Vari problemi strutturali condizionano il loro inserimento sociale, in un sistema caratterizzato da difficoltà di raccordo tra domanda e offerta di lavoro, tra sistema formativo e sistema occupazionale, tra aspettative maturate e alimentate e possibilità effettive. Non mancano spazi di realizzazione per i giovani, ma questa ricerca pare fortemente segnata dalla precarietà e dalla flessibilità.

In questo contesto, molti giovani ricercano nelle varie esperienze una continua conferma di sé, in un tempo avaro di certezze e di sicurezze. Si tratta di una tendenza ricorrente, che coinvolge sia il campo occupazionale che quello formativo, sia le dinamiche tra pari che il rapporto di coppia, sia la presenza nelle istituzioni che il cammino associativo, sia il momento del divertimento che l’espressione del corpo, ecc. I vari ambiti di vita rappresentano dei luoghi in cui misurare se stessi e le proprie capacità, per maturare conferme in termini di identità, per comprendere sia chi si è, sia che cosa si è in grado di fare; e ciò, in particolare, per una condizione giovanile che proprio perché vive un processo di socializzazione molto aperto ha continuamente bisogno di ridefinire se stessa e di ottenere rassicurazioni e certezze.

 

 

Trasgressione e rischio

come superamento dello stress e della routine

 

Chi ha a che fare con i giovani avverte con una certa sorpresa la loro crescente propensione al rischio, all’evasione, alla trasgressione. Molte indagini rilevano questo fenomeno, con giovani che esprimono sempre più l’esigenza di uscire dallo stress della vita quotidiana, di superare i vincoli della routine, di sperimentare situazioni e momenti capaci di «portarli in un’altra dimensione». L’impressione è che la vita ordinaria stia stretta alle nuove generazioni, alla ricerca continua di picchi alti di esperienza con cui controbilanciare il grigiore della quotidianità. La domanda esasperata di momenti ed esperienze che liberino dalle tossine della vita di tutti i giorni appare singolare in una generazione che gode di grande libertà, sia nel modo di stare nella società sia nel tendere al proprio modello di realizzazione. In particolare è curioso che emerga tale esigenza in soggetti la cui giovinezza si prolunga nel tempo, sottraendoli a varie responsabilità sociali. Che stress può avere e di che routine è succube una generazione che fa della «moratoria» il proprio stile di vita? Che fa di tutto per non assumersi o per procrastinare quegli obblighi sociali che possono giustificare un eccesso di tensione e di preoccupazione nella vita quotidiana?

Eppure i segnali al riguardo sono inequivocabili e ricorrenti. Vi sarà pure una qualche ragione sociale sottesa a questo sentire diffuso, che spinge dei giovani a cercare – in vari campi, nel tempo libero, nel divertimento, nei rapporti amicali, nello stesso modo di interpretare la dinamica di coppia, ecc. – un momento di evasione e di trasgressione da privilegiare rispetto agli impegni della vita ordinaria? A cercare dei momenti eccezionali di espressione e di interazione come occasioni di sfogo o di compensazione di una tensione che grava sulla loro esistenza?

È sufficiente al riguardo osservare ciò che capita nelle grandi discoteche e in altri luoghi di consumo del tempo libero, ma anche nel modo stesso di interpretare i rapporti amicali e quelli di coppia e persino il vissuto religioso. In questi casi ampie quote di giovani sono alla ricerca di emozioni compensative di una vita ordinaria che sembra pesare – ancor più a livello simbolico che nella realtà – per il solo fatto di rappresentare un richiamo alla normalità. C’è dunque un diffuso bisogno nei giovani d’oggi di ridurre le tensioni della vita quotidiana, di uscire dal cliché di una normalità che costringe e mortifica. La vita quotidiana può rappresentare un handicap per soggetti del tutto ancorati sul presente, carenti di ampie prospettive di realizzazione. L’accorciarsi delle aspettative può rendere difficile l’accettazione di una quotidianità che appare senza fine. Anche la vita ordinaria ha bisogno di squarci e di grandi richiami per ritrovare il senso della sua normalità.

 

 

La centralità delle emozioni e dei sentimenti

 

Un altro tratto culturale emergente è rappresentato dalla grande rilevanza assunta dai sentimenti come criterio guida, non solo nella sfera privata (e in particolare nel campo dell’affettività e della sessualità), ma anche nell’orientamento nella realtà e nelle scelte decisive.

Qui l’idea del sentimento richiama – nell’accezione del senso comune – «ciò che si sente», «si percepisce», le emozioni che nascono da un’esperienza, lo stato d’animo. È ricorrente l’ammissione che i sentimenti (cioè gli stati affettivi che si producono in un soggetto) sono una verifica del valore di un momento di vita, di un’esperienza, di un rapporto di coppia, ecc. L’individuo ha in sé, nel proprio stato d’animo e nelle emozioni che prova, una conferma empirica della significatività o meno dell’esperienza in cui è coinvolto.

Che i sentimenti dominino nella sfera privata è un fatto scontato. Meno scontato è che essi svolgano una funzione dominante nel processo di orientamento delle giovani generazioni. Pare cioè sufficiente affidarsi al proprio sentire (a come le esperienze vengono intimamente vissute e percepite) per operare delle scelte di fondo, maturare conferme o disconferme di sé e delle situazioni che si stanno vivendo, rinsaldare i rapporti interpersonali o ipotizzare una rottura, abbracciare una causa o abbandonare un impegno, ecc. Ovviamente, come osservano gli psicologi, questi stati emotivi non sono delle reazioni scollegate dalla realtà, dal momento che esse – pur in termini embrionali e immediati – richiamano i «valori» di riferimento. Sovente, però, ci si ferma a questo stadio dell’esperienza, senza troppo approfondire le situazioni.

Quanto avviene nelle dinamiche affettive e sessuali risulta emblematico della diffusione nei giovani di questo tratto culturale, che – come si è detto – coinvolge anche altre sfere dell’esistenza. Come emerge da recenti ricerche, i giovani fanno ampio ricorso ai sentimenti per descrivere i fondamenti o la condizione di un rapporto di coppia. La rilevanza di un rapporto sembra verificabile dal feeling che si stabilisce tra i partner, dal provare le stesse emozioni, dalla consonanza degli stati d’animo, dal condividere sensazioni «uniche» e speciali. Per contro, è dai sensi di vuoto, di routine, di noia, di insoddisfazione, che si coglie anzitutto la problematicità di un rapporto.

I sentimenti sembrano avere un ruolo rilevante anche nella costruzione dell’identità di coppia. Nel riflettere sulla qualità della propria coppia e sui fattori che la rendono coesa, molti giovani fanno riferimento anche in questo caso a un feeling particolare, a sensazioni speciali, a una conoscenza intima e esclusiva, ad «uno stare bene reciproco»; mettendo l’accento molto più sull’affinità emotiva e dei sentimenti che sulla condivisione di particolari valori e ideali. Non si tratta solo di un modo «gergale» di esprimersi, che può nascondere significati più ampi. Di fatto sembra scarso tra i giovani partner il richiamo a comuni interessi, a valutazioni affini della realtà, a progetti condivisi, alla costruzione di un comune sistema di significato, a una qualche affinità ideologica, a una qualsiasi fede (religiosa o non). L’affinità emotiva sembra avere il sopravvento rispetto ad altri tipi di convergenze. Tra l’altro, il primato dei sentimenti sui progetti potrebbe rappresentare una valida spiegazione del «fiato corto» che caratterizza molti rapporti di coppia giovanili, con soggetti che dopo un periodo più o meno lungo di convivenza avvertono che il rapporto si sta esaurendo senza troppo comprenderne le ragioni.

Saremmo dunque di fronte a una generazione post-ideologica, che anche nel modo in cui si orienta nella realtà e nel proprio modello di realizzazione sembra riflettere più il primato dei sentimenti e delle emozioni che quello della condivisione di ideali e di progetti.

 

 

Vivere ai margini della società

 

In un contesto sociale carente di punti di riferimento collettivo emerge poi una diversità culturale sempre più diffusa e strisciante. Nella società contemporanea non c’è solo il fenomeno della devianza manifesta, della violazione e trasgressione di norme e leggi che alimentano il clima di insicurezza sociale. L’incertezza e l’insicurezza emergono anche in rapporto al diffondersi di stili di vita e di modelli di comportamento diversi o alternativi rispetto a quelli prevalenti. Sembra questo il caso di quanti vivono intenzionalmente ai margini della società, rifiutano l’inserimento nei ruoli sociali, praticano vistosamente costumi sessuali non conformisti, assumono atteggiamenti trasgressivi, non rispettano o rifiutano varie norme su cui si regge la collettività, non si identificano nelle mete sociali prevalenti e nei mezzi socialmente previsti per conseguirle. Si assiste, in altri termini, ad una sorta di sfilacciamento del tessuto sociale e normativo della società, fatto questo ricorrente nelle società molto differenziate, soprattutto in quelle – come la nostra – caratterizzate da uno sviluppo troppo accelerato per non dar adito a vari squilibri.

La propensione al permissivismo e alla trasgressione non riguarda solo il campo dell’etica individuale e familiare, ma si estende anche alla sfera dei doveri civili. C’è ormai uno zoccolo duro di italiani adulti (circa il 12-15% della popolazione, con punte più elevate in alcune regioni) che non condanna (o condanna assai poco) comportamenti quali: l’assenteismo dal lavoro senza validi motivi, l’utilizzo di mano d’opera in nero, il viaggiare sui mezzi pubblici senza pagare, l’evasione fiscale. Ovviamente, l’allentamento della doverosità civile appare assai più marcato tra i giovani che tra gli adulti.

La diversità culturale – ma potremmo anche chiamarla estraneità culturale – è infatti una pratica che si sta diffondendo soprattutto tra le giovani generazioni.

Gli squatters, gli autonomi, i frequentatori dei centri sociali o le subculture spettacolari (di chi esprime con simboli vistosi un’immagine sociale alternativa) sono solo la punta dell’iceberg di un fenomeno culturale più diffuso di quanto si pensi tra i giovani e i cui effetti potrebbero essere devastanti.

Collocarsi ai margini della società «ufficiale» è un tratto culturale emergente, che coinvolge anche giovani che possono contare su varie risorse di realizzazione. Attualmente, ampie quote di giovani non sono particolarmente propensi a farsi carico di una presenza sociale costruttiva, preferendo perlopiù stare ai margini del sistema sociale, ricercando tra le pieghe di esso le proprie possibilità espressive senza impegnarsi a modificare le situazioni. I giovani contano poco oggi nella società, ma non sembrano interessati a contare di più. Più che scendere in campo con una partecipazione attiva, preferiscono assumere una posizione defilata o poco identificata, magari pronti a dare il meglio di sé negli spazi autonomi e extra-istituzionali di partecipazione. Si sta all’interno della società ma con «la testa da un’altra parte»; si usufruisce dei vantaggi e delle opportunità offerte dal sistema sociale (a livello di formazione, di tempo libero, di consumo, ecc.) ma senza identificarsi in esso; si frequentano i luoghi ordinari ma ci si sente pienamente vivi e partecipi perlopiù nei «non luoghi», tra cui spiccano in particolare gli ambienti di evasione e di trasgressione e il fascino della notte. «Abitare la notte» indica anzitutto un atteggiamento mentale, una disposizione dello spirito.

Questo atteggiamento di presenza-assenza, borderline, è ovviamente comprensibile da parte di una generazione che ha comunque l’esigenza di dare un senso al proprio vivere pur in una situazione che avverte come difficile e densa di vincoli. Ma esso rischia a lungo andare di privare la società dell’apporto positivo e costruttivo di una parte vitale di essa, rappresentata appunto dalle risorse delle nuove generazioni.

Nessuna società può permettersi – se non vuole votarsi al declino irreversibile – di fare a meno dell’apporto innovativo e partecipe delle generazioni più giovani, chiamate a trovare una propria collocazione all’interno dei rapporti sociali, a maturare una specifica coscienza generazionale, a ripensare collettivamente le vicende che caratterizzano la propria epoca, a interagire dialetticamente e anche criticamente con chi detiene le responsabilità pubbliche e con le generazioni che le hanno precedute.

 

 

Assenza di valori?

 

La questione se i giovani siano carenti di valori è di antica data, in quanto in molte società (da quel che sappiamo) le nuove generazioni sono state considerate come potenziali sovvertitrici dell’ordine costituito e dei valori ad esso sottesi. Questa idea è ricorrente anche nel nostro immaginario collettivo, che in vari casi non disdegna descrivere i giovani come amorali, privi di riferimenti etici, fortemente inclini alla tolleranza e alla permissività. Di recente questa idea è stata ripresa anche da alcuni studiosi, che considerano i giovani d’oggi come «eticamente neutri», poco propensi e formati a leggere la propria esperienza e a orientarsi sulla base dei criteri di bene-male, di giusto-sbagliato, di positivo-negativo. In effetti, pur senza cadere in toni di allarmismo sociale, si riscontrano tra le nuove generazioni vari segni di abbassamento della tensione morale, individuabili nella tendenza a produrre autonomamente i propri codici etici; nella propensione ad attribuire valore al dato dell’esperienza, allo stato di fatto, alle pratiche ricorrenti; nel venir meno dell’idea di perfezione; nell’attenuarsi della dialettica tra essere e dover essere, ecc. Tuttavia non tutta l’esperienza dei giovani risulta improntata al relativismo morale.

Pur all’interno di una elaborazione soggettiva dei criteri di bene e di male, sembra prodursi tra i giovani un tacito consenso attorno ad alcuni valori di riferimento, che costituiscono il riverbero a livello personale di istanze culturali prevalenti nella modernità avanzata. Tra questi, l’orientamento ad essere autentici, a mirare a un proprio modello di realizzazione, a vivere delle esperienze umanamente significative, a salvaguardare l’»integrità» di se stessi (come di una persona composta da esigenze sia fisiche che «mentali»), a ricercare il benessere per sé e per gli altri, ecc.

Affettività, piacere, autenticità, sperimentazione, ecc. sono tutti concetti che si iscrivono in un modello di realizzazione certamente individualistico (che esprime l’autonomia del singolo) ma non privo di valori e di contenuti. Il fondamento della morale è sì soggettivo, ma non per questo carente di un orientamento di valore. A ben guardare, i giovani condividono alcuni valori essenziali o criteri guida, lasciando poi a ognuno un’ampia libertà di tradurre queste istanze nelle scelte pratiche. In altri termini, saremmo di fronte ad un orientamento morale più centrato sui valori che sui modelli di comportamento, più su una sensibilità di base che sulle norme etiche. Prevale l’idea che questi valori possano essere perseguiti in modo assai diverso dai soggetti, a seconda della loro condizione sociale, orientamento culturale, inclinazione, sensibilità. Da un lato, dunque, si attribuisce grande rilevanza a un insieme di valori di fondo; dall’altro lato si riconosce al singolo ampia autonomia di scelta circa il modo in cui tradurli nella vita quotidiana, a seconda delle situazioni. Sembra questo il solo modo possibile per ritrovare una ragione di senso (e di convergenza) in una società fortemente pluralistica come l’attuale, in cui il singolo rivendica un’ampia autonomia di giudizio circa le proprie scelte e il proprio modello di realizzazione.

 

 

Tratti culturali dei giovani e proposte educative

 

Va da sé, che la presa di coscienza di questi e di altri tratti culturali di fondo delle nuove generazioni può offrire molti stimoli per meglio orientare le proposte educative nei confronti dei giovani. Quanto detto ha permesso almeno in parte di comprendere in che direzione stanno cambiando e perché le domande dei giovani. Si tratta di un fenomeno che non interessa soltanto i giovani che gli ambienti ecclesiali definiscono un po’ riduttivamente come «lontani», in quanto non frequentano in genere gli spazi religiosi o esprimono una visione di vita che prescinde da un riferimento di fede.

Le istanze culturali di cui sopra pervadono sovente anche i giovani che pur risultano più vicini alla Chiesa, che cercano di vivere con coerenza la fede religiosa, che appartengono alla galassia dell’associazionismo religioso. Ciò in quanto essi sono – prima ancora che appartenenti ai gruppi ecclesiali – dei figli della loro epoca, per cui riflettono nel bene e nel male il linguaggio della modernità.

Sulla base allora della descrizione effettuata, quali adulti e quali ambienti sono più adeguati per interagire con questa generazione e con i suoi tratti culturali distintivi? Come è possibile inserire i giovani in una proposta formativa rispettosa sia del protagonismo che essi intendono vivere sia della frammentarietà e del primato dei sentimenti che attraversa la loro cultura e condizione? Ancora, gli ambienti religiosi – per «incontrare oggi i giovani» – devono privilegiare la pastorale dei grandi eventi o la pastorale della vita quotidiana? E «che fare» dell’oratorio, una formula assai efficace nel passato e che oggi richiede una nuova definizione, in un tempo attraversato da istanze contradditorie, tra cui la crisi delle appartenenze territoriali e un grande bisogno di aggregazione di base?

Sono interrogativi che a partire dall’analisi vengono consegnati agli operatori, ai formatori e agli studiosi di pastorale e di pedagogia. Non perché il sociologo non abbia idee in proposito. Ma per rispetto delle competenze, e nella convinzione che il ruolo di chi è chiamato ad analizzare la situazione è già propositivo nella misura in cui riesce a far emergere alcuni punti critici che devono essere tenuti presenti da quanti hanno il compito della proposta.

 

 

 

Articolo tratto da: NOTE DI PASTORALE GIOVANILE. Proposte per la maturazione umana e cristiana dei ragazzi e dei giovani, a cura del Centro Salesiano Pastorale Giovanile - Roma.

Franco Garelli

http://www.cnos.org/cspg/npg.htm

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