Non vi è vita da santi che non narri l'intervento degli angeli. Essi portano il pane agli eremiti nel deserto dell'Egitto; guidano le barche dei monaci d'Irlanda. Si dice che i santi angeli lavoravano in cucina per san Gerardo; che impastarono il pane per santa Zita; che gli angeli custodivano il gregge di santa Germana di Pibrac...
Occorrerebbe un massa di grossi volumi per contenere il racconto di tutti gli interventi degli angeli nelle vite dei santi. Noi abbiamo visto come i giusti di Israele nella Bibbia li incontravano nel deserto od all’ombra di un santuario. Si sa ch’essi annunciarono ai pastori la nascita del Salvatore cantando” Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini di buona volontà”, che servirono il Signore dopo la Tentazione nel deserto e che uno di essi lo consolò durante la sua agonia; che due altri, vestiti di bianco, rovesciarono la pietra del sepolcro al mattino della Resurrezione, che accompagnarono l’Ascensione del Signore mentre uno di essi esortava gli Apostoli. È inutile infine rammentare l’intervento di Gabriele nell’Annunciazione e l’avvertimento angelico dato ai Magi ed a san Giuseppe.
Gli Atti degli Apostoli riportano come un angelo liberà san Pietro, prigioniero di Erode. La storia dei primi cristiani ci mostra gli angeli che sostengono il coraggio dei martiri e talvolta guariscono le loro piaghe. Uno di questi primi cristiani, Saturnino, compagno delle sante Perpetua e Felicita, raccontò prima di morire questa visione: “Noi abbiamo subito il martirio ed eravamo usciti dalla carne; quattro angeli cominciarono a portarci verso Oriente, le loro mani non toccavano i nostri corpi. Giungemmo allora in un luogo vasto che rassomigliava ad un vigneto, con dei roseti ed ogni tipo di fiori. Là vi erano altri quattro angeli, più luminosi dei primi. Come ci videro, ci salutarono e dissero ai quattro angeli: eccoli, eccoli!, con ammirazione”.
Santa Cecilia, sposata ad un giovane pagano chiamato Valeriano, seppe convincerlo a farsi cristiano ed a consacrarsi a Dio come lei, e due angeli apparvero per deporre sulla testa degli sposi delle corone di rose, così come riporta una pia tradizione.
Non vi è vita da santi che non narri l’intervento degli angeli. Essi portano il pane agli eremiti nel deserto dell’Egitto o nelle foreste della Gallia e della Germania; guidano le barche dei monaci d’Irlanda, che solcarono l’Oceano per estendere il regno di Cristo. Aiutano quelli che lavorano a beneficio dell’umanità, come l’abbiamo già narrato a riguardo di san Giovanni di Dio. Si dice così che i santi angeli lavoravano in cucina per san Gerardo Maiella e per altri ancora; che impastarono il pane per santa Zita, una povera serva che viveva a Lucca, in Italia; che gli angeli ancora custodivano spesso il gregge di santa Germana di Pibrac; che menavano i buoi di sant’Isidoro il lavoratore: questi viveva nel XII secolo vicino a Madrid. “La bontà del suo cuore, si dice, si estendeva a tutti i poveri, ed anche agli uccellini ch’egli nutriva col grano durante l’inverno”. Tutto questo accadeva molto tempo fa; ma, molto più vicini a noi, interventi dei santi angeli si sono prodotti e si producono ancora certamente. Così fu aggiustata per miracolo la cella della piccola suora Maria Céline, clarissa al monastero di Talence, vicino a Bordeaux.
Ma come non ammirare le prove di tenerezza angelica che ci riportano le antiche cronache? Noi abbiamo già visto l’arcangelo Raffaele aiutare santa Maria Francesca a spostare la sua sedia od a tagliare il suo pane. Ecco una religiosa del XV secolo, la beata Elisabetta, soprannominata “la Serva” (la si chiama anche la Beata Elisabetta di Reute e la si festeggia il 25 novembre). Ella è malata e nessuno la cura, la si dimentica. Dio ha permesso un tale abbandono per provare la pazienza di Elisabetta. Questa non testimonia né amarezza né angoscia; al contrario, ella rende grazie a Gesù di soffrire abbandonata come Lui. Allora, gli angeli giungono, aggiustano il suo letto, la ripongono dolcemente sulla sua branda, ed ella guarisce.
Gli angeli consolavano con celesti melodie la beata Margherita di Savoia. Avvisavano santa Solange, la pastorella del Berry, che era tempo di rientrare le sue pecore quando era assorta nella sua preghiera, così vicina a Dio che avrebbe dimenticato quello che accadeva sulla terra. Ed anche, gli angeli venivano a giocare con una bambina che si chiamava Lucia di Narni e che viveva in Italia, nel XV secolo: le persone del vicinato la vedevano danzare in girotondo, con le braccia tese, come se facesse parte di una catena di amiche invisibili; ella si divertiva con gli angeli e trovava ciò così naturale che si meravigliava molto di essere la sola nel vederli e sentirli. I vicini avevano finito col comprendere e dicevano: “Vedete dunque la piccola Lucia che fa il girotondo con gli angeli!”.
Più tardi, dopo aver molto sofferto, ella è diventata Beata.
Verso la stessa epoca, a Mantova, viveva un’altra fanciulla molto pia, chiamata Osanna, od Ozanna; ella anche riceveva spesso la visita degli angeli. Un giorno, una voce mormorò molto dolcemente al suo orecchio: “Fanciulla, la vita a la morte consistono nell’amare Dio”.
E, subito, ella si trovò in Paradiso, dove scorse tante meraviglie che sarebbe impossibile descriverle.
“Bambina mia, disse l’angelo, questa grande gioia non ti sarà data a meno che tu ami veramente e con tutto il cuore il nostro Padre del cielo. Tutte le creature cantano la sua gloria, e quello che dicono gli uccelli, quello che si può leggere sui fiori, è: Amate Dio, poiché egli ha tratto dal nulla tutte le cose per ottenere il vostro amore”.
Santa Rosa da Lima, che fu la prima santa americana. Ella amava Dio con un sì grande amore che faceva continuamente penitenza per espiare i peccati che si commettono in ogni istante nel mondo. Ella viveva nella sua famiglia, ma come avrebbe vissuto una religiosa nel suo convento. Per devozione per la Santa Vergine, ella aveva preso il nome di Rosa di Santa Maria. Pregava, meditava, rinchiusa nella sua stanzetta e, attraverso la sua finestra, ella non vedeva altro che un grande albero.
Ora, durante la quaresima in cui Rosa faceva più mortificazioni del solito, nell’ora in cui il sole cala, un uccellino si poggiava sull’albero e cantava con voce incantevole. Rosa dimenticava allora la sua fatica, la sua debolezza e si chiedeva se l’uccello fosse un angelo o l’inviato di un angelo: di certo, veniva dal cielo.
Talvolta, nel suo ardore di mortificarsi, Rosa rischiava di nuocere alla sua salute ed ella non vi prestava attenzione.
Una sera, una delle sue migliori amiche, la signora Usatégui, ebbe l’idea di inviare a Rosa una grande tazza di cioccolata calda: subito quell’idea le sembra ridicola: la sua amica non prende normalmente cioccolato e non ne ha certamente bisogno. L’idea ritornò comunque e la perseguì come se qualcuno, giù, gliela ispirasse.
“Presto, comanda alla sua serva, fate del cioccolato e portatelo alla mia amica Rosa di Santa Maria”.
In quel momento, Rosa, nella sua cella, era sul punto di svenire. Ella digiunava da così lungo tempo che le sue forze l’avevano lasciata al punto che non poteva neanche chiedere soccorso. Nessuno, a casa sua, pensava che fosse malata. Si era abituati ai suoi prolungati ritiri nella sua stanzetta e nessuno veniva a vedere quello che avveniva. Come ondeggiava, pronta a cadere, la porta si apre: è la serva della Signora Usatégui, con una tazza d’argento pieno di cioccolato ben caldo. Quando quella signora apprese in quale stato la sua serva aveva trovato Rosa, ella gridò: “Sono ben certa ora che è il mio angelo che mi ha ispirato quel pensiero!”.
Gli angeli, che non hanno corpo, che non hanno mai né fame, né sete, né freddo, che non sono mai stanchi, non dimenticano comunque che noi conosciamo tutte queste pene. Così, santa Rita, molto malata e non sopportando nessun nutrimento, si augurava, in pieno inverno, di mangiare dei fichi freschi. Un cesto di fichi giunse misteriosamente al convento.
Santa Rosalia, una principessa italiana discendente da Carlo Magno, che si era ritirata in un deserto, ebbe un giorno l’incantevole sorpresa di un mazzo di rose. Gli angeli, per consolarla, per mostrarle quella che era la bellezza del Paradiso, le portavano dei fiori del cielo. Erano essi, d’altronde, che l’avevano condotta in quella grotta sulla cima di una montagna, affinché potesse consacrarsi a Dio.
Gli angeli hanno anche permesso talvolta a delle sante anime di riunirsi insieme. La piccola Lucia di Narni di cui abbiamo prima parlato era diventata religiosa a Ferrara; dapprima, si ammirava molto la sua santità, ma il buon Dio volle provare la sua umiltà e la sua pazienza: la si accusò di mentire, di immaginare le visioni celesti da cui ella era favorita; finalmente, la si rinchiuse in una cella molto scura e non si autorizzò nessuna visita. Abbattuta dal rimpianto, malata, Lucia si augurò un giorno di vedere un’altra religiosa, Caterina di Racconigi, di cui lei aveva molto sentito parlare. La cosa sembrava del tutto impossibile, non avendo Lucia nessun mezzo per comunicare con Caterina che non abitava neanche a Ferrara. Ora, Caterina, da parte sua, desiderava conoscere Lucia. Per miracolo, ella si trovò trasportata nella sua cella, e le due sante poterono consolarsi vicendevolmente, incoraggiarsi nell’amore di Dio. Questo è il fine di ogni vera amicizia, e gli angeli sono felici che noi abbiamo tali amicizie.
Essi si compiacciono soprattutto nell’assistere i sacerdoti che celebrano l’ufficio divino, come si vede, tra molti altri esempi, nella vita di san Bonnet, un vescovo ancora popolarissimo in Alvernia dove diversi villaggi portano il suo nome.
La storia accadde a Clermont. Il giorno calava ed il pio Bonnet pregava ancora mentre il sagrestano percorreva la chiesa San Michele agitando le sue chiavi. Poi ritornò il silenzio. Le porte erano chiuse ed il buon vescovo non si accorgeva di nulla, poiché non aveva cessato di possedere il silenzio nella sua anima, un meraviglioso silenzio in cui mormoravano già le voci del cielo.
La notte avvolgeva ora Clermont. Bonnet pregava. Egli non sapeva più distinguere quando era giorno e quando era la notte poiché una luce infinita era nella sua anima.
Improvvisamente ode dei canti che non provenivano dalla terra e la chiesa si riempie di chiarore. Il sant’uomo alza la testa e vede discendere verso l’altare la Santissima Vergine stessa. Quant’era bella! Non si sarebbe potuto dire se la sua veste fosse rosa, bianca o blu; quella veste rassomigliava ai cristalli di neve impagliuzzati da mille sfumature al sole. Intorno a Maria, vi era tutta una scorta luminosa: gli Angeli.
Un trono si trovò subito vicino all’altare, e la Vergine si sedette mentre gli angeli disponevano tutto per la santa messa. L’altare era preparato, infiorito, i ceri accesi, l’incenso fumava nell’incensiere, il messale era aperto, segnato da un bel segnalibro d’oro. Eppure gli angeli s’interrogavano: “Non vi è sacerdote… Chi sarà l’officiante?”.
La Vergine replicò sorridente: “Il mio servitore Bonnet non è lontano”.
Egli aveva paura, l’uomo di Dio, per tutte quelle meraviglie. Per salvare la sua umiltà, egli si nascose dietro un grosso pilastro, semplicemente, come se credesse che gli angeli non potessero scoprirlo; ma, come dice la cronaca, “gli angeli serventi di Maria, non ebbero grande difficoltà nel riprendere quel fuggitivo!”. Essi lo portarono davanti alla loro Regina.
“Io voglio, Bonnet, che tu celebri ora la santa messa”.
Beninteso, egli non poteva che obbedire, ma tremava con tutto il suo corpo. Gli angeli lo rivestirono dei paramenti sacri, poi servirono la messa. L’emozione di san Bonnet svaniva a poco a poco. Egli si ricordava che gli angeli sono sempre vicino al Tabernacolo, e che è una ben più grande meraviglia ancora che Dio stesso discenda sull’altare, cosa che si produce ad ogni messa. Completato l’ufficio, Bonnet lasciò i paramenti. La Santa Vergine allora gli fece dono di una casula, poi tutto scomparve.
Al tempo di Madre Jacqueline de Blémur, una Benedettina del XVII secolo che ha scritto questa bella storia, si conservava ancora a Clermont la casula della messa degli Angeli. Essa era d’un tessuto così ricco e fine che nessuna seta, nessun ricamo potevano esserle paragonati. Leggenda ancora, diremmo? Ma perché Dio non avrebbe così ricompensato il fervore di san Bonnet, in un tempo in cui una fede più viva permetteva più miracoli?
don Marcello Stanzione
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