Uomo e donna sono due sessi diversi, non due generi. Le anomalie non dovrebbero mettere in discussione la prevalente e quasi esclusiva normalità, che è la differenza sessuale, ricevuta e vissuta come un dono, dato che è finalizzata all'incontro e all'arricchimento reciproco di due persone tanto più uguali quanto più diverse.
Più volte Papa Ratzinger si è espresso negativamente sulla sostituzione della parola «sesso» con «genere». La tradizione ebraico-cristiana è legata alla famosa espressione del Genesi (1, 27): «Dio creò l'uomo maschio e femmina».
La bipolarità sessuale è dunque una legge di natura perché nata con la creazione. Con precise differenze anatomiche, fisiologiche, psicologiche e sociali. La bipolarità sessuale era lo strumento della procreazione, scopo primario del matrimonio. Nel nostro secolo le cose sono cambiate. L'anatomia e la fisiologia hanno mostrato l'esistenza di forme sessuali intermedie, la chirurgia ha consentito il mutamento (vaginoplastica e falloplastica), la psicologia ha allentato le differenze tra l'animus maschile e l'anima femminile (Jung), la società ha riconosciuto ai due sessi gli stessi ruoli e gli stessi diritti, la moda ha creato l'unisex.
Anche quelle che un tempo erano chiamate «perversioni sessuali» non sono più tali e le leggi dei paesi occidentali le ammettono come diverse realizzazioni della sessualità. Cosa ovvia, se non c'è più la «normalità» non può esserci neppure la per-versione. Ecco allora il pensionamento della parola «sesso» sostituita da «genere» (gender): termine inventato in Usa negli anni Sessanta, aperto e fluido per farci rientrare tutto, il sesso stabile e quello mutevole, il sesso A e quello B, la transessualità, la bipolarità e i cambi di sesso a carico del SSN.
Era naturale che le carte d'identità dovessero adattarsi. Anche l'Unione Europea sta lavorando per applicare, entro il 2016, i «Principî di Jogjakarta» (città dell'isola di Giava, dove nel 2006 vennero formulati da un congresso fra associazioni dei diritti umani). Essi propongono, fra l'altro, di togliere l'obsoleta voce «sesso» e di sostituirla con «IG» (identità di genere). Ma quanti saranno i generi dichiarabili sulle carte? Tanti, visto che gli scienziati non sono concordi sul numero. La classificazione più seguita è quella di Anna Fausto Serling (The five sexes, 1993), ma c'è anche chi dice undici. Nei fatti la indicazione quasi esclusiva sulle carte d'identità rimarrà quella tra M e F, dato che le forme intermedie e ibride non raggiungono l'1 %.
La dicotomia maschio-femmina era fissa e immutabile, basata sulle differenze biologiche. Il genere non ha alcun fondamento oggettivo, si basa solo sulla «rappresentazione sociale». Con il genere (plurimo e mutevole) ciascuno si identifica soggettivamente: non «sono» un uomo o una donna, ma «mi sento» tale. Come scriveva nel «Secondo sesso» la Ninfa Egeria di Sartre, Simone de Beauvoir (più volte bersaglio della critica del papa): «Donna non si nasce, si diventa». Ecco perché deve avere anche il diritto di cambiare il sesso e il nome.
La sostituzione di «genere» a «sesso» avrebbe conseguenze rilevanti anche sulla attuale legislazione. Che contro il maschilismo e per «liberare» le donne ha inventato la «par condicio» e la «riserva dei posti». Due espedienti che stanno in piedi solo se esistono i sessi. Se ci sono solo i generi la par condicio diventa plurima e la riserva va estesa a tante altre categorie.
Senza dubbio rimarrebbe giusto trattare tutti alla pari, ma non più in base alla superata coppia maschio-femmina. Parità, certo, ma fra chi?
È giusto capire le intenzioni degli «antisessualisti». Non sempre, ma neppure di rado, la differenza sessuale è stata lo strumento del maschilismo e della soggezione delle donne. Anche nella nostra civiltà occidentale, l'unica che abbia raggiunto, forse troppo lentamente, la loro emancipazione. Ma la eliminazione del sesso, il suo uso indifferente, non producono liberazione, bensì confusione e squilibri psichici e sociali.
È certo giusto e umano riconoscere le difficoltà e i drammi di coloro che si trovano in quelli che già l'endocrinologo Gregorio Marañon chiamava «stati intersessuali» (1934). Ma queste anomalie non dovrebbero mettere in discussione la prevalente e quasi esclusiva normalità, che è la differenza sessuale, ricevuta e vissuta come un dono, dato che è finalizzata all'incontro e all'arricchimento reciproco di due persone tanto più uguali quanto più diverse. Perché uomo e donna sono due sessi diversi, non due generi.
Dall’Occidente un nuovo colonialismo «L’ideologia del gender»
Trieste, 28. «L’ideologia del gender» rappresenta «un nuovo colonialismo dell’Occidente sul resto del mondo». È questo il dato allarmante più significativo presente nel quarto rapporto dell’Osservatorio internazionale cardinale Van Thuân sulla dottrina sociale della Chiesa, presentato sabato 26 nel capoluogo friulano dal suo presidente, l’arcivescovo-vescovo di Trieste Giampaolo Crepaldi. Infatti, nel corso di un solo anno, il 2011 — arco temporale a cui si riferisce lo studio — «è emerso in tutta la sua forza sovversiva il fenomeno della “colonizzazione della natura umana”», ossia quell’insieme di enormi pressioni internazionali affinché i Governi cambino la loro tradizionale legislazione sulla procreazione, sulla famiglia e sulla vita. Sotto scacco sono soprattutto i Paesi dell’America latina. In particolare, viene citato il caso emblematico dell’Argentina, dove come ha evidenziato monsignor Crepaldi, nel breve giro di dodici mesi «quel grande Paese di tradizione cristiana ha avuto una legge sulla procreazione artificiale che ha denaturalizzato la procreazione, una legge sul riconoscimento sulla “identità di genere” che ha denaturalizzato la famiglia e una modifica del Codice civile per permettere l’”utero in affitto” che ha denaturalizzato la genitorialità».
L’ideologia del genere, viene sottolineato, «si è diffusa, senza incontrare una vera opposizione, nei Paesi avanzati e ormai viene anche insegnata nei manuali scolastici delle scuole pubbliche senza che questo faccia sorgere grandi contestazioni». Il dato nuovo è che «viene ora esportata con sistematicità nei Paesi emergenti e poveri». Si tratta di «una ideologia sottile e pervasiva, che si appella ai “diritti individuali”, di cui l’Occidente ha fatto il proprio dogma, e a una presunta uguaglianza tra individui asessuati, ossia astratti, per condurre una decostruzione dell’intero impianto sociale».
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