Torniamo a casa con la consapevolezza che in quel momento potevamo raccontare noi stessi senza parole. Noi eravamo il Messaggio da portate e non potevamo risparmiare niente. Con la consapevolezza che abbiamo amato tanto, vissuto tanto.
Luglio 2012, Jaboatão (Recife), Brasile.
Noi sette partenti – Don Nicola, Marianna, Stefano, Fiorella, Luciano, Martina e Alice – attraversiamo l’Oceano alla volta di Recife (che significa “scogliera”), a nord-est del Brasile. E’ il 5 luglio.
Dopo un paio di giorni per ambientarci, cominciamo una magnifica quanto forte esperienza nel carcere minorile (detto Funase) di Jaboatão. Il nostro compito sarà quello di fare dei laboratori con ragazzi tra i 12 e i 17 anni.
Il primo giorno i ragazzi preparano per noi un piccolo spettacolino fatto di Capoeira, musiche tipiche e canzoni. È triste vederli costretti a vivere rinchiusi in un carcere, ma con il passare dei giorni (durante i laboratori di braccialetti e origami) ritroviamo in questi ragazzi tanta gioia di vivere.
Li vediamo spesso duri, seriosi e con il bisogno di dimostrarsi più grandi della loro età. Ma con il passare del tempo capiamo che sono pur sempre ragazzi. Davanti ad una partita di pallavolo tornano bambini, nonostante le difficoltà e le sofferenze della loro vita al di fuori di lì.
Più di tutto comprendiamo che non sono importanti le attività che gli proponiamo, ma il fatto che abbiamo voglia di essere con loro e che possiamo essere il bel diversivo alla loro giornata.
La secondo settimana di vita in Brasile veniamo travolti da una compagnia di animatori del luogo.
Dopo una domenica di formazione cominciamo una settimana di grest con i bambini che vivono nelle favelas intorno alla Colonia Salesiana. La giornata tipo prevede il momento del Buongiorno, fatto di preghiera, balli e qualche gioco. Segue un momento di lavoretti divisi per classi e, dopo la merendina, la giornata si conclude con un momento di sport. Pallavolo, calcio, salto alla corda, balli.
Animatori e bambini si rivelano amichevoli, gioiosi. Con la voglia di amarci, di giocare, di renderci partecipi di tutto ciò che ci circonda.
Momenti magnifici passiamo in quella Colonia… Perché non esiste niente di più bello del sorriso di un bambino.
Torniamo a casa con la consapevolezza che in quel momento potevamo raccontare noi stessi senza parole. Noi eravamo il Messaggio da portate e non potevamo risparmiare niente.
Con la consapevolezza che abbiamo amato tanto, vissuto tanto.
Con la consapevolezza che gli abbracci brasiliani sono uno dei modi più belli per dire “Io ci sono”.
Ma quello che più ci rimarrà impresso è la loro fede in Cristo. In quell’Amore per Qualcuno che ci sarà sempre, nonostante le sofferenze, le paure e le difficoltà.
Nella mente e nel cuore ci rimane una frase di Don Nicola: “Il Brasile comincia quando torni a casa”.
Speriamo ora di riuscire, giorno dopo giorno, di trasmettere tutto questo al prossimo e di essere capaci di inserire gli insegnamenti del Brasile nel nostro quotidiano.
Il Brasile ci mancherà. Già ci manca!
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