Il coraggio di definire i mafiosi «adoratori del male»

Non era mai accaduto che un Papa dicesse pubblicamente, senza giri di parole, che «i mafiosi sono scomunicati». Papa Francesco l'ha fatto dal pulpito, in una terra di mafia...

Il coraggio di definire i mafiosi «adoratori del male»

 

Non era mai accaduto che un Papa dicesse pubblicamente, senza giri di parole, che «i mafiosi sono scomunicati». Papa Francesco l'ha fatto dal pulpito, in una terra di mafia. Dopo quello alla frontiera di Lampedusa, terra d'approdo di rifugiati e immigrati, dopo quello tra i disoccupati della Sardegna, un nuovo viaggio italiano di Francesco nelle periferie del Paese, in Calabria. È la «geografia» di un Papa che predilige gli ultimi e che ieri è sceso a Cassano allo Jonio, per manifestare la sua vicinanza a chi vive in una terra piagata dalla criminalità organizzata e incoraggiare chi attende segni di speranza e di riscatto. Nel carcere di Castrovillari, Bergoglio ha voluto abbracciare il papà e le due nonne di Cocò Campolongo, il piccolo di tre anni bruciato vivo in un agguato di 'ndrangheta e durante la messa nella piana di Sibari ha lasciato da parte il testo preparato per l'omelia dicendo che la «'ndrangheta è adorazione del male e disprezzo del bene comune». Ha ribadito che «questo male va combattuto e allontanato», ha invitato la Chiesa a impegnarsi di più in questo senso. Ha detto con forza che quanti seguono questa strada, «i mafiosi, sono scomunicati.

 

Non è però la prima volta che Francesco parla di mafia. Nel marzo scorso aveva incontrato i familiari delle vittime delle mafie, all'incontro promosso a Roma da «Libera», con don Ciotti. Allora aveva chiesto agli «uomini e alle donne mafiosi» di convertirsi e di cambiare vita «per non finire all'inferno», che «è quello che vi aspetta se continuate su questa strada... Il potere, il denaro che voi avete adesso da tanti affari sporchi, da tanti crimini mafiosi è denaro insanguinato, è potere insanguinato e non potrete portarlo all'altra vita». Questa volta l'appello, chiaro e forte, con il richiamo alla scomunica, viene pronunciato dal Pontefice dall'altare in una terra di mafia. Una scelta che si pone in continuità con quella del famoso anatema di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento, nel 1993.

 

Per Bergoglio, non è una novità rispetto agli anni del suo episcopato a Buenos Aires. Nel 2009 don Pepe Di Paola, uno dei preti che aveva mandato a fare il parroco nella «villa miseria» di Barracas, venne minacciato di morte dai narcotrafficanti. Il futuro Papa disse al sacerdote: «Se deve succedere qualcosa a qualcuno dei miei, voglio che ammazzino me», lo allontanò per proteggerlo e lo difese pubblicamente dicendo che la responsabilità degli appelli contro la malavita e i narcos era sua, dell’arcivescovo.

 

«Nel Vangelo ci sono le risposte per tutti, anche contro la 'ndrangheta», ha detto il vescovo di Cassano e segretario della Cei, Nunzio Galantino. Francesco oggi l'ha ricordato non solo a chi lotta per cambiare le cose, ma anche a quelle «coscienze addormentate» che finiscono per essere conniventi.

 

 

Andrea Tornielli

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