Il coraggio di trasformarsi

Trasformazione implica che tutto può esistere in me, che tutto è buono e ha un significato, che le mie passioni e le mie debolezze hanno un senso anche se a volte mi opprimono. Le mie passioni e le mie debolezze rimandano sempre ad un bene prezioso, vogliono indicarmi che in me vuol vivere qualcosa che io non ho ancora accettato.

Il coraggio di trasformarsi

da L'autore

del 01 gennaio 2002

IL CORAGGIO DI TRASFORMARSI

di Anselm Grun

C’è differenza tra cambiamento e trasformazione, nel senso che il cambiamento comporta qualcosa di violento, mentre la trasformazione avviene molto più dolcemente. Se pensiamo di dover cambiare e modificare continuamente noi stessi, rispecchiamo in fondo la convinzione che così come siamo non va bene, che dobbiamo fare di noi un’altra persona. Trasformazione, invece, implica che tutto può esistere in me, che tutto è buono e ha un significato, che le mie passioni e le mie debolezze hanno un senso anche se a volte mi opprimono. Le mie passioni e le mie debolezze rimandano sempre ad un bene prezioso, vogliono indicarmi che in me vuol vivere qualcosa che io non ho ancora accettato. Se queste mie passioni e debolezze vengono trasformate, troverò in esse una nuova qualità di vita, una nuova vitalità e autenticità.

A causa di un’estenuante lavoro su noi stessi e dell’ossessione di cambiare, rischiamo di dimenticare che è Dio che opera l’essenziale, che è Lui che trasforma le piaghe e le ferite, le debolezze e i conflitti. Avvertiamo che le piaghe della vita e gli stessi conflitti richiamano l’attenzione su un prezioso tesoro, che si deve scoprire e recuperare con l’aiuto della preghiera e dell’accompagnamento spirituale.

La Bibbia è permeata di immagini di trasformazione. Dio rivela il Suo nome e il mistero del Suo essere nel roveto ardente. Trasformando il roveto in fuoco ardente, Dio dimostra ciò che Egli è per noi. Il roveto, come l’ultima erbaccia che cresce nel deserto, è simbolo di ciò che è disprezzato e disseccato, del non valore e del vuoto, di tutto ciò che si ignora o che non si degna di uno sguardo. Proprio nel roveto senza valore Dio appare a Mosè e gli parla: “ho visto l’oppressione del mio popolo che è in Egitto… voglio scendere a liberarlo dalla mano dell’egiziano” (Esodo 3, 7-8). Dio appare in ciò che è debole e lo trasforma. Per mezzo del fuoco dell’amore di Dio proprio ciò che in noi è insignificante e debole, represso e non amato, viene mutato in un luminoso splendore. La luce di Dio può penetrare la nostra vita e di colpo essa diventa splendente e bella, pur rimanendo come siamo.

Quando gli Israeliti, nel loro cammino, attraverso il deserto, rischiano di morire di sete, Mosè colpisce la roccia sull’Oreb con il bastone (Esodo 17, 6). Subito sgorga acqua di modo che tutto il popolo possa bere. Mosè deve colpire la roccia dura e asciutta per farne scaturire acqua che disseti il popolo. La roccia può essere un’immagine di tutto ciò che dentro di noi è rigido e indurito, seccato e inaridito. Siamo capaci di reprimere talmente l’inconscio, che tutto dentro di noi diventa duro e arido. Mosè allora tocca la roccia con il bastone, crea di nuovo un legame tra il conscio e l’inconscio. La trasformazione, qui avviene tramite il contatto. Nel Nuovo Testamento Gesù guarisce gli ammalati toccandoli. Ciò che Gesù tocca, si trasforma. Al contatto con Gesù, l’uomo ammalato diviene partecipe della forza divina; qualcosa dello Spirito di Gesù passa nella piaga e la trasforma in un luogo di esperienza di Dio. Nei sacramenti la Chiesa continua a praticare la trasformazione tramite il contatto.

Dio trasforma il cuore di pietra in un cuore di carne. “Darò loro un altro cuore e infonderò in esso uno spirito nuovo, rimuoverò il cuore di pietra dal loro corpo e metterò in essi un cuore di carne” (Ez 11, 19). Il cuore, per gli antichi, è la sede dei sentimenti e dei pensieri. Il cuore di pietra è senza sentimento, freddo, viscido, chiuso e morto. Ha perso la sua propria qualità. Se Dio immette il Suo Spirito nel nostro cuore, questo cuore si trasforma, può nuovamente palpitare, sentire. E’ di nuovo umano. Il cuore è fatto per sentire. Ma l’uomo può indurire il suo cuore. Con il peccato esso diviene duro come una pietra. Allora l’amore di Dio deve scioglierne la durezza e trasformarlo.

In 2 Cor 3, 18 la nostra trasformazione in immagine di Cristo è opera dello Spirito: “noi dunque riflettendo senza il velo sul volto la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine di gloria in gloria, conforme all’azione del Signore che è Spirito.” Guardando a Cristo veniamo sempre più trasformati a Sua immagine. La trasformazione avviene quindi con il vedere. Ciò che Paolo descrive qui è stato sviluppato dalla tradizione spirituale della Chiesa d’Oriente con la teologia dell’icona. Mentre guardo l’icona, essa mi trasforma. L’immagine dell’icona si imprime dentro di me. Lo sguardo di una persona che ama illumina anche i miei occhi. Quando guardiamo l’immagine di Cristo, Dio stesso ci guarda. Il Suo sguardo d’amore ci penetra e ci conduce alla verità, risveglia in noi amore e nostalgia e ci trasforma così nell’immagine di Suo Figlio. Paolo, dunque, intende il nostro cammino spirituale come cammino di trasformazione, che è insieme opera di Dio e compito nostro. Vivere in modo spirituale significa trasformarci sempre di più finchè l’immagine di Cristo divenga visibile in noi.

La via della trasformazione del cristiano non è diritta, sempre in salita ma essa conosce molti tornanti, salite e strapiombi, conosce progressi e contraccolpi. Anche il peccato ha una funzione particolare in questo processo di cambiamento, può divenire l’impulso affinché l’uomo si incammini verso Dio, può spingere l’uomo fuori da una falsa sicurezza e portarlo alla conoscenza della verità su se stesso, può distruggere in lui le illusioni che si è fatto di se stesso e risvegliare la fame del vero bene.

La via del cambiamento della vita spirituale passa soprattutto attraverso la preghiera e la meditazione. Nella meditazione si tratta di lasciarci sempre più trasformare dalla Parola di Dio. Mentre mi ripeto continuamente una parola della Scrittura, Dio stesso mi trasforma per mezzo della Sua Parola, nella quale è presente e attivo. Le parole che io medito sempre più mi trasformano, affinché lo Spirito di Dio formi il mio pensiero.

La trasformazione ha bisogno anche dello spazio del silenzio. “Ciò che cresce non fa tanto chiasso”. Il silenzio è lo spazio materno nel quale l’uomo vuole sempre nuovamente rinascere. L’antifona d’ingresso della domenica dell’ottava di Natale parla del silenzio che avvolge ogni cosa. In mezzo a questo silenzio veniva al mondo la Parola di Dio. Noi possiamo accoglierla solo se accettiamo il silenzio. Dio può nascere in noi, solo se dentro di noi facciamo silenzio. Se Dio nasce in noi, allora tutto diventa nuovo: le spine incominciano a portare rose, la roccia diviene sorgente di acqua che scorre, il deserto fiorirà e la nostra oscurità diverrà luminosa.

[ Tratto da 'Il coraggio di trasformarsi. Alla scoperta del dinamismo della vita interiore' di Anselm Grun ]

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