Fin dall'inizio della sua attività pubblica nella zona del lago di Galilea Gesù chiama alcune persone a condividere il suo progetto e il suo stile di vita. A questo nucleo originario di discepoli si aggiungono altri, uomini e donne, che lo seguono nei suoi spostamenti da un villaggio all'altro e lo accompagnano nei viaggi a Gerusalemme in occasione delle grandi feste.
del 03 giugno 2009
7. IL CRISTO
Secondo la testimonianza dei Vangeli e di san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (5,7), la condanna di Gesù alla morte di croce è avvenuta in prossimità della festa ebraica della Pasqua, in una primavera degli anni trenta dell’era cristiana. A partire dalla morte di Gesù i suoi discepoli danno un nuovo significato alla celebrazione pasquale: non più la festa in cui si rivive la liberazione dei figli di Israele dall’Egitto, ma è la celebrazione della sua vittoria sulla morte. Essi proclamano apertamente che Gesù di Nazaret, condannato alla morte di croce dal prefetto romano Ponzio Pilato, è stato risuscitato da Dio. Grazie a questo intervento potente dall’alto, essi riconoscono apertamente che Gesù è il Cristo, colui che Dio ha “consacrato” e scelto per liberare il suo popolo, il Signore di tutti gli esseri umani.
Sul piano storico la missione di Gesù è un fallimento, perché egli è messo a morte dal rappresentante dell’imperatore di Roma, che occupa militarmente la terra di Israele. Il motivo della condanna di Gesù, scritta nel titulus della croce, dice: “Gesù Nazareno re dei Giudei”. Le autorità ebraiche avvertono questa iscrizione, voluta da Pilato, come un insulto alla propria identità di popolo libero consacrato a Dio, unico loro re. I fondatori del movimento di resistenza antiromana, che sfocerà nella guerra del 66-70, si rifiutavano di pagare le tasse agli occupanti romani, appunto perché sostenevano di non avere altro re se non Dio solo. Per i discepoli la crocifissione di Gesù è una prova terribile, uno scandalo di fronte a cui la reazione naturale è la fuga.
 
L’incontro col Risorto
I discepoli superano lo scandalo della morte di Gesù in croce, riservata ai ribelli e ai criminali, facendo appello all’iniziativa di Dio che lo ha risuscitato dai morti. La fede nella risurrezione non è estranea al modo di pensare degli ebrei suoi contemporanei. A contatto con la cultura persiana, a partire dal tempo dell’esilio nel quinto secolo a.C., essi avevano elaborato l’idea della risurrezione dei giusti, soprattutto dei martiri uccisi a causa della loro fedeltà alla legge di Dio, collocandola nell’orizzonte della loro fede tradizionale: Dio, che ha creato il mondo con la forza della sua parola, farà risorgere dalla polvere della terra quelli che sono morti, reintegrandoli nella loro condizione di viventi.
Nel caso di Gesù, però, i suoi discepoli non dicono che Dio lo risusciterà alla fine del mondo, come farà con i martiri e i giusti. Essi affermano che Dio lo ha già risuscitato, perché egli si è fatto vedere e li ha incontrati come il Signore che appartiene al mondo di Dio. Perciò concludono che Gesù non è solo il Messia promesso da Dio per liberare Israele, ma è il Messia che da sempre è in relazione con Dio. Gesù non è un altro Dio, concorrente con quello della tradizione biblica, ma è il Figlio di Dio in piena comunione di amore con il Padre.
Come è avvenuto che i fuggiaschi del Venerdì Santo sono diventati i coraggiosi testimoni del Risorto, pronti a dare la vita per lui? Che cosa è successo fra l’ora dell’abbandono di Gesù sulla croce e l’inizio sorprendente dello slancio missionario della Chiesa nascente? Secondo quanto riferiscono i racconti delle apparizioni del Risorto, Gesù si è presentato ad alcune donne e uomini, mostrandosi “a essi vivo, dopo la sua passione” (Atti degli Apostoli 1,3). Questi incontri sono avvenuti in luoghi e in tempi non facilmente armonizzabili tra loro. Una medesima sequenza, tuttavia, emerge in tutti i racconti, consentendoci di riconoscere i caratteri propri dell’incontro con il Signore risorto.
L’iniziativa è sempre del Risorto: è lui che appare. Al principio della fede cristiana non c’è l’emotività di un’ora estrema, ma l’azione di Dio che si offre all’uomo. La fede nasce dall’annuncio; essa ci è donata dal di fuori, attraverso l’ascolto della Parola che salva, in cui ci raggiunge il Verbo della vita. L’incontro col Risorto non è qualcosa che diviene nell’intimo dei discepoli, ma qualcosa che avviene a loro.
In tutti i racconti delle apparizioni è poi presente un processo di riconoscimento da parte dei discepoli, che li porta dal dubbio iniziale alla confessione gioiosa: “È il Signore!”.
L’incontro con il Cristo che cambia la vita si compie attraverso una maturazione che rispetta la libertà dell’assenso e comprende il rischio del combattimento e la resa della fede.
Infine, dall’incontro col Signore vivente nasce la missione: le persone cui il Risorto si mostra non sono più le stesse dopo l’incontro con lui. La loro vita è cambiata: sono ormai i testimoni, coraggiosi e fedeli, del Cristo Gesù, gli innamorati apostoli della buona notizia.
L’incontro è un’esperienza trasformante, che inaugura una vita nuova, piena di coinvolgimento e di passione.
Questa esperienza dei primi discepoli, che sfocia nel riconoscimento e nella proclamazione coraggiosa che Gesù è il Cristo, il Signore, suscita tensioni e alla fine provoca la rottura con la tradizione e la comunità ebraica. Paolo di Tarso, un ebreo persecutore dei cristiani nell’area siro-palestinese degli anni trenta, grazie all’iniziativa di Dio scopre che Gesù crocifisso è il suo Figlio. Attraverso questa esperienza di incontro con Gesù Cristo risorto
Paolo si sente chiamato a portare il Vangelo a tutti, senza distinzione fra ebrei e greci, invitando ognuno a una scelta decisiva. È una scelta che ci riguarda tutti, anche oggi, perché la qualità della nostra vita si costruisce scegliendo tra una modalità egoistica di condurre l’esistenza e il dono totale di sé nell’amore verso Dio e verso gli altri, che spinge a tessere rapporti di solidarietà con i più deboli nell’orizzonte del Regno di Dio.
 
La risurrezione illumina le origini di Ges√π
Nella sua attività pubblica Gesù è conosciuto come originario e abitante di Nazaret, dove vive la sua famiglia. Nazaret è un villaggio della Galilea collinare, nel settentrione della terra d’Israele. Qui Gesù passa quasi trent’anni, continuando il lavoro di artigiano di Giuseppe, che a Nazaret tutti conoscono come suo padre. Quando rientra nel suo paese, dopo la prima attività nella cittadina di Cafarnao sulla riva del lago di Galilea, la gente lo riconosce come “il figlio di Maria”. In effetti, Giuseppe compare solo nel racconto della nascita e nell’unico episodio di Gesù adolescente che, a dodici anni, sale a Gerusalemme per la festa di Pasqua.
Il racconto delle origini di Gesù è riportato nei Vangeli di Matteo e di Luca, che riferiscono della sua nascita a Betlemme da Maria, sposa di Giuseppe. Gesù nasce al tempo del re Erode, cioè prima del 4 a.C., anno della sua morte. Attraverso la narrazione della nascita di Gesù, gli evangelisti Matteo e Luca esprimono la fede della comunità cristiana che lo riconosce come il Messia, discendente di Davide, e il Figlio di Dio concepito “per opera dello Spirito Santo”. In questa prospettiva di fede, Giuseppe è il giusto che si preoccupa di compiere la volontà di Dio, assicurando a Gesù la discendenza davidica, e Maria è la credente, che si affida totalmente alla Parola del Signore.
 
La comunità dei discepoli
Fin dall’inizio della sua attività pubblica nella zona del lago di Galilea Gesù chiama alcune persone a condividere il suo progetto e il suo stile di vita. A questo nucleo originario di discepoli si aggiungono altri, uomini e donne, che lo seguono nei suoi spostamenti da un villaggio all’altro e lo accompagnano nei viaggi a Gerusalemme in occasione delle grandi feste. Tra i discepoli Gesù sceglie un gruppo di “dodici”, che rappresentano i figli di Giacobbe, capostipiti delle dodici tribù di Israele. I “dodici” discepoli sono chiamati “apostoli”, cioè “inviati”, perché condividono e prolungano la missione di Gesù. Nella tradizione dei Vangeli i dodici discepoli sono il prototipo della comunità cristiana, che sarà chiamata “chiesa” dopo la Pasqua di Risurrezione.
Ai discepoli Gesù dà uno statuto e traccia per essi un programma di vita. Nello stile dei profeti, egli proclama “beati”, fortunati e felici, i poveri e i derelitti, perché Dio, re giusto e fedele, interviene a loro favore. Egli invita i discepoli a condividere il suo destino, anche a costo di perdere la vita e i beni, per partecipare alla vita piena e definitiva promessa da Dio a quanti compiono la sua volontà.
In contrasto con il modo di pensare del suo ambiente, Gesù propone una nuova maniera di vivere la relazione di coppia. L’unione dell’uomo e della donna per formare un solo essere vivente corrisponde al progetto originario di Dio creatore. Anche i ruoli all’interno della comunità dei discepoli sono rovesciati rispetto al modo di pensare comune. Chi è più grande e il primo, diventa il servo di tutti e l’ultimo. Gesù nella comunità dei suoi discepoli si presenta come colui che serve fino al dono della sua vita.
Nelle “beatitudini” che aprono il discorso sul monte, Gesù inaugura il cammino dei discepoli e traccia il loro programma di vita:
“Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi
discepoli. Si mise allora a parlare e insegnava loro dicendo:
Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati.
Beati i miti, perché avranno in eredità la terra.
Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.
Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.
Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta
di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi”
(Matteo 5,1-12).
Quale speranza suscita in noi oggi questo annuncio, illuminato dalla vita, dalla morte e dalla risurrezione di Ges√π?
Conferenza Episcopale Italiana
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