La legge 40 va difesa col referendum. Il dibattito sulla manipolabilità dell'embrione deve essere vero, non finto come quello tra Reale e Severino. «Comincio ad affermare, a differenza di Reale e di Severino che l'embrione non è un essere umano in potenza, ma un essere umano in atto. √â in potenza adulto, bambino o vecchio, ma è in atto un essere umano, e in quanto essere umano è anche persona...».
del 01 gennaio 2002
In una pagina del Corriere della Sera del 6 gennaio, a margine del pezzo di cronaca sulla decisione del governo di difendere davanti alla Consulta la legge 40/2004, sono comparsi due brevi saggi riguardanti l'identità dell'embrione, a firma di Giovanni Reale e di Emanuele Severino; il primo rispondeva a un precedente intervento di Severino sulle medesime colonne di qualche giorno prima, e riceveva una replica contestuale. E' singolare che, nonostante la pagina fosse costruita sotto l'ampia qualifica di 'dibattito', le posizioni dei due filosofi non siano apparse così diametralmente divergenti: per entrambi, infatti, non si può sostenere la tesi che il concepito sia un uomo. Scrive infatti Reale, che nella dialettica avrebbe dovuto difendere le ragioni del nascituro: 'Ha ragione (Severino) nel ritenere errato affermare - come qualcuno fa - che l'embrione sia un uomo (addirittura persona) già in atto'; a suo avviso invece 'l'embrione (l'ovulo fecondato dallo sperma) ha in sé la capacità strutturale di diventare uomo e, quindi, è in potenza uomo'. Ovviamente - sulla scorta di quanto già sostenuto nel suo intervento originario - neanche questa affermazione ha convinto Severino, il quale ha invocato a suo sostegno perfino San Tommaso. Poiché la questione interessa non solo sul terreno, pur importante, della disputa filosofica, tant'è che trova spazio in una pagina non culturale di un quotidiano, spero sia lecito, in punta di piedi, inserirsi nel 'dibattito' e indossare la toga dell'avvocato del concepito, senza rimettersi genericamente alla clemenza della corte e tentando di seguire la strada degli argomenti adoperati dai due insigni pensatori.
1. La riflessione bioetica.
Comincio ad affermare, a differenza di Reale e di Severino che l'embrione non è un essere umano in potenza, ma un essere umano in atto. E' in potenza adulto, bambino o vecchio, ma è in atto un essere umano, e in quanto essere umano è anche persona, dal momento che non si vede come la dimensione personale possa subentrare in epoca successiva all'inizio della vita umana, cioè al concepimento. Severino fa coincidere - e Reale sorprendentemente non fa una piega - il termine essere umano con essere umano adulto, quasi che l'unico 'vero' modo di essere uomini sia l'essere cresciuti e maturi. Seguendo il discorso di Severino, non solo non sarebbe uomo l'embrione, ma nemmeno il neonato, il bambino o l'adolescente. Bisogna anche intendersi sul termine adulto: se 'adulto' ha un senso biologico, vuol dire cioè colui che ha raggiunto la maturità fisica, allora comprende pure i disabili mentali che, quanto a espressione della razionalità, hanno competenze inferiori a un quattordicenne non fisicamente maturo, e dunque secondo tale ipotesi non 'uomo'. Se invece si diventa 'adulto' col compimento e con l'esercizio delle capacità intellettive, allora nel termine bisogna includere i quattordicenni ed escludere i disabili psichici e tutti coloro che perdono irrimediabilmente tali capacità, per esempio a causa di malattie neurodegenerative o per demenza senile. Ma perché non includere occasionalmente nei 'non uomini' anche coloro che non sono in grado temporaneamente di esercitare le funzioni intellettive, per uno stato di coma, per anestesia, per ubriachezza? Se poi si considera la coscienza il tratto tipico dell''uomo', dovremmo riconoscere che durante il sonno tale coscienza è solo potenziale. Vale la pena intraprendere una strada così pericolosa? Un valore semantico corretto di 'uomo come adulto' è, nella lingua italiana, quello di espressioni del tipo: 'Non piangere, sii uomo!'; ovvero: 'Luigino è sempre più responsabile'; o ancora:' E' vero, è ormai un uomo', 'Sei un vero uomo'; tutto questo per indicare che una persona manifesta o dovrebbe manifestare i tratti tipici della virilità. E' chiaro che non si può identificare questo senso del termine 'uomo' col termine 'essere umano'. Una spiegazione adeguata è offerta dalla prospettiva bioetica del personalismo fondato ontologicamente, radicato cioè nell'essere dell'uomo: 'Nell'ambito del personalismo ontologico (...) l'essere persona non dipende (...) dal grado di presenza e di realizzazione empirica di certe qualità e funzioni, ma da una posizione d'essere, cioè dalla natura ontologica (essenza) di determinati individui [cioè gli esseri umani]. Ne consegue che dall'identica essenza scaturisce l'ugual valore di ogni persona, in modo indipendente dal possesso attuale di certe proprietà o funzioni. (...) [È] contraddittoria una distinzione tra vita organica e vita personale perché fino a quando c'è vita in atto, in senso unitario e vivificante, quella è vita di una persona umana' . Lucas Lucas precisa che 'l'essere umano è persona in virtù della sua natura razionale, non diventa persona in forza del possesso attuale di certe proprietà, dell'esercizio effettivo di certe funzioni. [...] I caratteri essenziali della persona non sono soggetti a cambiamento' .
2. La riflessione metafisica.
Reale, nella sua critica, concorda con Severino che 'nell'embrione risulta essere in atto solo la struttura e, quindi, il progetto formale, che richiede una sua attuazione ontologica'. Il progetto formale di che cosa? Di essere umano o di uomo adulto? Al di là dell'improprio e improvvido utilizzo di san Tommaso, l'essenza o natura si può indicare tomisticamente come quel 'qualche cosa' (la quidditas) che rimane invariabile e immutato al di sotto delle modificazioni dell'essere, che lo definisce in quanto tale differenziandolo da 'altro', e che in quanto universale è 'potenza di essere', attualizzata dall'esistenza. L'embrione esiste, dunque è atto di un'essenza o natura, che ha avuto pertanto 'attuazione ontologica'. Dove c'è corpo umano c'è un essere dotato di un principio vitale che gli consente, con il normale progredire dello sviluppo psico fisico, di pensare e di volere liberamente. Ma la biologia insegna che lo zigote e l'embrione hanno corpi umani, dunque non possono avere un'essenza diversa da quella umana. In altre parole, 'ciò che per essenza distingue un essere umano da ogni altro essere è anche la sua dignità propria, e tale dignità non coincide con la materia biologica che compone il corpo dell'uomo, o con le singole dimostrazioni di bontà, di intelligenza, di sensibilità, di passione. Tale dignità è piuttosto qualcosa che sussiste al di sotto di tutti gli aspetti osservabili dell'uomo, e che ha a che fare con l'unione indissolubile di elemento materiale (corpo) ed elemento spirituale (anima) di cui già parlava Aristotele' . In realtà, tutte le attività umane sono frutto dell'unica anima razionale umana, anche quelle di tipo vegetativo, di tipo sensibile, di tipo emotivo, perché unico appunto è il principio vitale di un essere, e universale (dunque identica in tutti gli uomini) l'essenza che lo caratterizza. Individuale, anzi unica, è invece la sostanza, cioè il particolare spirito incarnato (Lucas Lucas), caratterizzato da unitotalità (Sgreccia) di anima e corpo. Di qui le note definizioni di persona come 'rationalis naturae individua substantia' (Boezio) o analogamente come 'subsistens in rationalis natura' (san Tommaso d'Aquino).
3. Postilla sui referendum.
Torno 'in terra', a ciò che ha occasionato gli interventi di Reale e di Severino. Proprio perché sono convinto che la legge 40 sulla fecondazione artificiale sia da mantenere in vita, sono altrettanto convinto che vadano celebrati i referendum proposti dai radicali, confrontando compiutamente e fermamente, con argomenti scientifici e non confessionali, le posizioni contrastanti, senza scelte di modifica normativa, da parte di quella maggioranza parlamentare, più ampia della maggioranza che sostiene il governo in carica, che poco meno di un anno fa ha varato la nuova legge. Tali scelte sarebbero politicamente suicide, perché consentirebbero a chi ha promosso i referendum di conseguire lo scopo della raccolta delle firme senza colpo ferire, cioè senza affrontare quella discussione, nelle piazze e sui mass media, sui punti qualificanti della normativa: è ciò che vogliono i Ds, il cui obiettivo è che la stessa maggioranza parlamentare, a distanza di qualche mese, torni sui propri passi. Ma ciò che ha spinto l'esecutivo a conferire all'avvocatura dello Stato l'incarico di difendere la legge 40 davanti alla Consulta in sede di ammissibilità dei quesiti referendari non può essere messo sullo stesso piano rispetto al tentativo, interno ed esterno alla maggioranza, di cambiare in Parlamento le nuove disposizioni. Ci sono ragioni di principio e ragioni di opportunità: - a differenza di quanto è accaduto nella passata legislatura, quando i governi che si sono succeduti dichiararono la loro neutralità in sede di discussione sulla procreazione assistita, in questa legislatura l'esecutivo Berlusconi ha aderito alle proposte di iniziativa parlamentare unificate, approfondite e quindi approvate. Sostenere le ragioni della legge davanti alla Corte costituzionale, sia pure in quell'area dialettica circoscritta costituita dal vaglio di ammissibilità di quesiti referendari, è del tutto coerente con la posizione assunta in Parlamento. Ed è qualcosa di diverso dalla ricerca di un pasticciato compromesso teso a evitare i referendum: infatti, se - come è improbabile - le ragioni del governo dovessero bloccare uno o più quesiti, ciò avverrebbe salvando per intero la legge 40, non eliminandone o correggendone qualche parte; - prima o poi la legge 40 finirà davanti alla Consulta per l'esame della legittimità costituzionale. E' vero che la scelta attuale del governo non pregiudica la costituzione e la difesa nel futuro giudizio; ma è altrettanto vero che, poiché i quesiti riguardano tutti gli aspetti essenziali della legge 40, al momento della valutazione di ammissibilità dei referendum potrebbero essere discusse questioni rispetto alla quali la Corte potrebbe prendere posizione, in qualche modo precostituendo delle valutazioni. Nel futuro giudizio di legittimità tali valutazioni rappresenterebbero dei precedenti, rispetto ai quali la parte la pubblica, non costituendosi oggi nel giudizio di ammissibilità dei referendum, non avrebbe avuto la possibilità di interloquire per esteso. Se, per concludere, la discussione sul punto è necessaria, non deve saltare, nella pienezza del contraddittorio, nessun passaggio istituzionale, incluso quello del giudizio di ammissibilità dei referendum. Perché il dibattito non assomigli a quello, ospitato dal più prestigioso quotidiano italiano, fra Reale e Severino.
Alfredo Mantovano
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