Spesso si parla di islam e di fondamentalismo islamico, ma la confusione è molta e pochi conoscono ciò che li unisce e ciò che li divide. La situazione è complessa e diversificata: dall'Algeria dove il GIA ha provocato quasi una guerra civile alle scuole craniche pachistane dei Taleban, dai movimenti estremisti alla politica ambigua dell'Arabia Saudita che finanzia i gruppi armati stranieri pur di “farsi perdonare” i legami di amicizia con gli USA. In questo contesto abbiamo pensato di proporvi un vocabolario essenziale per conoscere qualcosa di più sull'origine e la realtà del fondamentalismo islamico. (continua...)
del 02 aprile 2003
Islam contro islam
L’islamismo è un movimento di rivolta contro “la tradizione lunga” dell’islam, che giustificava la relativa separazione tra politica e religione fin dall’ascesa della dinastia Ommayade nel 661.
Ma è proprio l’autonomia del politico che gli islamismi mettono in discussione, negando quattordici secoli di storia del mondo mussulmano. Governante “giusto” è colui che esercita il potere nel nome della Legge religiosa.
Il mondo mussulmano ha elaborato una teoria del potere che costituisce il nucleo portante della “tradizione lunga” dell’islam: il quietismo, una teoria dell’obbedienza al principe che legittima il governante che conquista e conserva il potere. Unica condizione: la difesa della comunità mussulmana dai nemici esterni e il permesso di assolvere gli obblighi di fede.
Tra Fine ottocento e inizio novecento il tema dell’islam politico è posto da alcuni movimenti di rinascita islamica, che si caratterizzano per il ritorno alle fonti e l’accusa agli esperti della Legge di leggere in modo statico i testi.
Alcuni diventano presto dei movimenti di massa, ad esempio i Fratelli Mussulmani.
Questi gruppi ritengono che non sia possibile uno stato islamico senza una profonda trasformazione della coscienza di ogni individuo. Lo stato ideale coincide con la “comunità dei credenti”.
Jihad
Nella tradizione ha due significati: ”Il grande jihad” indica lo sforzo sulla via di Dio, un processo essenzialmente spirituale: fare il Bene e combattere il Male; “il piccolo jihad” assume il significato di “difesa dalla fede” contro gli infedeli e ha carattere difensivo. Dal x sec. emerge però un’altra interpretazione, quella di un’azione militare giustificata religosamnte al fine di universalizzare la fede.
Gli islamismi radicali sposano questa concezione universalizzante del combattimento per la fede: l’islam è vissuto come combattimento non solo morale e spirituale ma anche militare e missionario.
La causa del jihad è un fine assoluto: quello della difesa dei diritti di Dio, lo jihad radicale è quindi un atto liberatorio nel suo molteplice aspetto d’epurazione e guerra civile, esperienza mistica ed evento politico-militare.
Il diritto dinamico.
Sayyid Qubt (1906 – 1966) è l’ideologo che più ha influenzato l’islamismo radicale. Egiziano, membro dei fratelli mussulmani, entra in opposizione con il regime di Nasser ed è quindi arrestato; è nel tempo del carcere che elabora i suoi scritti più importanti.
Ritiene che la rinascita dell’islam possa avvenire solo dalla piena comprensione e adesione militante al senso del messaggio cranico. Accusa i dottori della Legge di lettura formale del testo. Per Qutb i veri credenti sono quelli che si adoperano per favorire una società islamica dove l’islam è totalità e solo a Dio è data obbedienza, tutto il resto è ignoranza.
È necessaria l’elaborazione di un nuovo diritto islamico che consenta al movimento islamista di affrontare la difficile battaglia contro “l’ignoranza religiosa”. Qutb cerca di riaprire l’interpretazione personale della Legge, dichiarata chiusa alla fine del x sec. L’esperto di diritto islamico, per la tradizione, non può più innovare, semmai rendere applicabili ai nuovi casi le vecchie prescrizioni. Per Qutb, il vero diritto è invece un diritto dinamico creato da uno sforzo di interpretazione che ha come obiettivo la rinascita dell’islam. La teorizzazione del diritto di necessità apre spazi teologicamente nuovi ai combattenti islamisti che li autorizzano a comportamenti inauditi per la tradizione lunga mussulmana.
Il martirio
Negli anni ’80 si manifesta nel campo islamista un fenomeno che porta alle estreme conseguenze la concezione offensiva dello jihad. Nell’islam il suicidio è proibito. Il Corano afferma che coloro che sono stati uccisi “sulla via di Dio” non sono morti ma vivono nella grazia del Signore. Ma nella tradizione religiosa i martiri muoiono in battaglia, non si tolgono volontariamente la vita, sia pure in un suicidio “altruistico”.
“I martiri” islamici degli anni ottanta sono dunque un fenomeno nuovo dal punto di vista religioso. Compaiono per la prima volta in campo sciita, dove le giovani generazioni iraniane vivono in modo nuovo alcuni riti evocativi della lotta del principe che ha dato origine allo scisma contro il califfo, non li percepiscono più nel senso tradizionale e consolatorio ma come obbligo di lotta contro il male: si dicono disposti a morire per questa causa. La morte non è cercata ma accolta come esito possibile.
Nella lotta dell’Iran con l’Iraq si manifesta il sacrificio per la difesa della fede contro il “pagano” Saddam Hussein, allora alleato dell’occidente.
Giovani dai 12 ai 16 anni abbandonano le famiglie per testimoniare la loro fede.. L’iperpoliticizzazione della società iraniana rivoluzionaria travolge l’autorità delle famiglie, che si oppongono strenuamente.
La “comunità del fronte” è un luogo sociale in cui la battaglia è il vero rito di passaggio che porta all’età adulta. Chi ritorna a casa vi si sente straniero, c’è il rifiuto della quotidianità, la comunità del fronte dà un’esperienza mistica e di fede molto intensa. Questi giovani si offrono volontari in operazione pericolosissime, muoiono a migliaia. La comunità del fronte mentre rivolge le condoglianze alle famiglie porge anche le sue congratulazioni per il coraggio del martire.
Il martirio sciita in versione islamista assume caratteri più offensivi in Libano. In mancanza di battaglie in campo aperto il martire si sacrifica in attentati mirati. Dal 1983 gli uomini dell’Hezbollah, il partito di Dio, si sacrificano in attacchi suicidi scagliandosi a bordo di veicoli imbottiti di esplosivo contro il nemico.
In campo sunnita i martiri suicidi compaiono negli anni ’90 in Palestina, tra le fila di Hammas e della jihad islamica, movimenti impegnati nella lotta contro Israele.
I martiri sono prevalentemente giovani, una generazione cresciuta sotto l’occupazione israeliana che è stata vissuto come una serie ininterrotta di soprusi, umiliazioni, repressioni, lutti. La maggior parte di loro proviene da campi profughi.
Per saperne di più:
Il fondamentalismo islamico, Renzo Guolo. Ed.Laterza
( da cui sono anche state tratte anche queste pagine)
Dossier: Islam e Occidente,Dimensioni Nuove, marzo 2003
sr Francesca
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