Il giogo cinese.

Intervista con il vescovo di Hong Kong, Giuseppe Zen Ze-kiun.

Il giogo cinese.

da Attualità

del 14 gennaio 2006

D. – Eccellenza, c'è chi ammira la Cina per il suo impetuoso sviluppo economico e chi la ritiene una minaccia per il mondo. Dal suo punto d'osservazione come la giudica?

 

R. – “Al di là di tante analisi, s'impone una constatazione: in Cina continua ad esistere un giogo molto pesante. Il partito comunista vuole controllare tutto, non solo le strutture ma anche la mente e il cuore dei cittadini. Oggi i metodi sono un po' cambiati ma la realtà di fondo è rimasta la stessa. Nessuno osa dire davvero quello che pensa. Prenda il caso di Hong Kong: il governo di Pechino ne garantisce formalmente l'autonomia e siamo ancora liberi di fare sentire la nostra voce. Ma giorno dopo giorno sta estendendo il suo controllo in modo molto netto e deciso. Non vorrei però sembrarle troppo pessimista. Da questo giogo ci si può anche liberare”.

 

D. – A chi si riferisce?

 

R. – “Alla Chiesa, evidentemente! La mia convinzione, che cerco di esprimere in modo sommesso perché potrebbe provocare la dura reazione di Pechino, è che i cattolici stanno vincendo. Con pazienza e tenacia stanno conquistando significativi spazi di libertà. Il governo comunista controlla le strutture, non più i cuori e le menti dei fedeli. Dopo tanti anni di separazione forzata in Cina la Chiesa cattolica di fatto è ormai una sola, tutti vogliono stare uniti al papa”.

 

D. – Chiesa ufficiale e Chiesa sotterranea rimangono però ancora distinte. Che cosa manca alla piena riconciliazione?

 

R. – “L'ostacolo è, come sempre, il controllo esercitato dal partito . Mi spiego. La Chiesa ufficiale cinese fa capo a due grandi strutture, la conferenza episcopale e l'Associazione patriottica dei cattolici, che in realtà è la longa manus del partito comunista per controllare la Chiesa. La conferenza episcopale da due anni è senza presidente; dopo la morte del titolare non riescono a trovarne uno che sia ‘affidabile’. Il capo dell'Associazione patriottica, il vescovo di Pechino Michele Fu, è malato e soprattutto è molto screditato agli occhi dei fedeli. Insomma, le due strutture ufficiali sono senza vertice. Chi comanda è il signor Liu Bai Nie, il segretario esecutivo dell'Associazione patriottica. Ma è un padrone che rischia di rimanere senza seguito”.

 

D. – Che cosa è successo?

 

R. – “Molti vescovi, nominati dal governo di Pechino, non avevano pace nel loro cuore e desideravano essere riconosciuti dalla Santa Sede. A partire dagli anni Ottanta Giovanni Paolo II, con grande generosità, ha accolto tali richieste. Attualmente l'85 per cento dell'episcopato della Chiesa ufficiale cinese ha ottenuto la legittimazione dal Vaticano. Ormai i vescovi che non sono approvati da Roma si sentono emarginati, sono rifiutati dal clero e dai fedeli. La cosa nuova è che, mentre in passato erano i vescovi già nominati dal governo a chiedere l'approvazione pontificia, adesso sono i candidati all'episcopato della Chiesa ufficiale che si preoccupano d'avere la nomina della Santa Sede. È una situazione interessante ma non priva di rischi, in quanto non sempre il candidato scelto dal governo è il nome ideale per il Vaticano”.

 

D. – La Santa Sede ha ribadito recentemente la disponibilità ad allacciare rapporti diplomatici con la Cina comunista, rompendo con Taiwan e trasferendo il nunzio da Taipei a Pechino. Siamo vicini ad uno storico accordo?

 

R. – “La Chiesa universale è attenta ai milioni di fedeli della Cina comunista ed è pronta a compiere un passo molto doloroso. Ma dobbiamo spiegare bene ai fedeli di Taiwan che [il trasferimento della nunziatura] non è un tradimento ma una necessità imposta dalle cose. Insomma, non è una decisione da sbandierare a cuor leggero. E poi, cosa ci viene dato in cambio? Il governo di Pechino è pronto a concedere la libertà religiosa? Questo è il punto”.

 

D. – Qual è la sua impressione?

 

R. – “Io noto che, mentre il Vaticano spinge per un accordo, i comunisti cinesi non hanno alcuna fretta. Prima vogliono sistemare alcuni problemi, ad esempio le nomine episcopali in molte diocesi che sono vacanti. Ed ho l'impressione che l'Associazione patriottica tenterà di piazzare i suoi uomini per contrastare le nomine che ha dovuto subire negli ultimi tempi, come quella del vescovo ausiliare di Shanghai. Non vedo un'intesa dietro l'angolo, ci vuole ancora tempo”.

 

D. – È vero che papa Karol Wojtyla le chiese aiuto per realizzare un suo grande desiderio, quello di visitare la Cina?

 

R. – “Era l'inizio del 1997, conversammo a lungo ed il Santo Padre non faceva altro che ripetere: Voglio andare in Cina! Ma io risposi: Non posso fare nulla! Si parlò di un possibile viaggio a Hong Kong per la conclusione del sinodo asiatico. Ma il governo di Pechino disse subito di no”.

 

D. – La Cina ha sempre più peso e prestigio sulla scena internazionale, è entrata nella WTO e ospiterà le Olimpiadi nel 2008. Tutto questo può influenzare positivamente i rapporti con il Vaticano?

 

R. – “Non c'è una risposta univoca. La Cina non dev'essere isolata, d'accordo. Ma dobbiamo valutare attentamente gli effetti delle aperture internazionali. Ad esempio, quando Pechino organizzò i Giochi asiatici non ci fu una ventata di libertà. Anzi, ci furono vescovi e preti incarcerati. E ancora oggi le repressioni continuano contro i cattolici e i dissidenti”.

 

D. – Eccellenza, lei è sceso in piazza un mese fa insieme con i dimostranti che vogliono la piena democrazia per Hong Kong. Non teme l'accusa di coinvolgere la Chiesa in questioni strettamente politiche?

 

R. – “Mi ascolti bene: la Chiesa cattolica di Hong Kong ha preso parte alle manifestazioni di due anni fa contro il famoso articolo 23, il progetto di misure anti-sovversive che limitavano fortemente la libertà dei cittadini e delle associazioni e che alla fine fu ritirato. Adesso c'è in gioco la questione del suffragio universale. Secondo la legge fondamentale [che fa da costituzione per Hong Kong] esso poteva essere introdotto in modo graduale entro il 2008. Ma le autorità hanno bloccato tutto, proponendo un pacchetto di riforme che non ha alcun nesso con il suffragio universale. Io ho voluto semplicemente porre una domanda e l'ho fatto pubblicamente: Quando potremo arrivare a questo obiettivo? Ci avete detto: Non ora. Va bene, accettiamo, ma vogliamo sapere quando. È un diritto dei cittadini, un diritto che la Chiesa non può non difendere”.

Luigi Geninazzi

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