Il mercato in due piccole storie d'agosto

Sì, il profitto è troppo poco

Dietro quei rigatoni e quelle olive c’è la vocazione imprenditoriale, c’è la dignità di un mestiere spesso non capito, essenziale per il bene comune.

«Tutto bene?», chiede il cassiere della pizzeria a Domenico. E lui: «In realtà, no: la pizza non era buona». Arriva subito il proprietario insieme al pizzaiolo e commentano: «Ha ragione: ieri l’impasto è uscito male, ci dispiace molto, la prossima volta vedrà che buone pizze facciamo!». Dopo questo dialogo il mio amico paga, e nel conto le pizze erano state addebitate al prezzo normale del menu. «Non metterò più piede in quella pizzeria», è stato il suo ultimo commento.

Sono stato con mio fratello a visitare un borgo marchigiano. Cerchiamo un ristorante, il proprietario ci accoglie dicendoci che servono soltanto il menu turistico: rigatoni "alla castignanese" e spiedini alla brace. Arriva la pasta ed era una tagliatella ai funghi (buona). Quando arrivano gli spiedini, non ascolto il consiglio di mio fratello ("lascia stare"), chiedo alla cameriera il perché di quel cambio di piatto, e lei si scusa per l’errore. Subito dopo ci arriva dalla cucina un assaggio di rigatoni. Esce poi il proprietario per scusarsi personalmente e ci fa portare delle (ottime) olive ascolane. Chiaramente nel conto non sono entrati né l’assaggio di rigatoni né la porzione di olive, e noi abbiamo lasciato una mancia.

Il pizzaiolo non ha fatto nulla di illegale né ha violato il contratto, e se il ristoratore non avesse offerto rigatoni e olive non avrebbe fatto nulla di riprovevole. Il possibile sconto del pizzaiolo e il "di più" del ristorante non erano dovuti, entrambi non erano necessari. Ma sta proprio in questi comportamenti non-necessari uno dei segreti del difficile mestiere dell’imprenditore, forse la sua dimensione più importante.

Una domanda: perché il proprietario è uscito personalmente a scusarsi e poi ci ha offerto i rigatoni e le olive? Perché, semplicemente, voleva anche che io e mio fratello Ivan andassimo via contenti. La nostra soddisfazione gli interessava veramente, nella sua scelta c’era qualcosa di intrinseco, di sincero e di genuino. Il suo solo guadagno era per lui troppo poco.

E qui si apre un discorso importante per l’impresa, per l’economia e per la società. Gli economisti fondatori e maestri della scienza economica (A. Smith, A. Genovesi, D. Ricardo, V. Pareto, A. Sen) hanno sempre ripetuto che la legge aurea dell’economia di mercato è il mutuo vantaggio, non l’interesse personale. È la reciprocità la pietra angolare dell’economia di mercato. Questi discorsi, che ogni tanto (purtroppo non sempre) si insegnano agli studenti di economia, possono sembrare astratti o poco utili alla vita concreta della gente, finché non si entra nelle pizzerie, nei ristoranti, nelle industrie metalmeccaniche, nelle agenzie assicurative o immobiliari, nel mercato del gas. Il buon imprenditore sa che la soddisfazione reale (non finta né ingannata) di chi sta dall’altra parte del contratto (clienti, fornitori, lavoratori) è parte essenziale del suo mestiere. Perché sa che se un cliente esce scontento dal locale non si è verificato semplicemente un inconveniente.

In quella mancata soddisfazione reciproca c’è il fallimento del suo lavoro, non è accaduto qualcosa di marginale o di secondario, ha agito contro la natura (il telos, dicevano i greci) del suo lavoro. Per il buon imprenditore il suo profitto è troppo poco, e quindi cerca intenzionalmente anche il benessere di chi interagisce con lui, con lei, perché ne ha un bisogno vitale. Quando salutiamo e al nostro "grazie" il negoziante risponde "grazie a lei", ci stiamo dicendo qualcosa di più di una parola gentile: stiamo riconoscendo la natura reciproca dell’economia.

Far uscire i clienti soddisfatti non è soltanto una strategia intelligente nel lungo periodo (il cliente soddisfatto può tornare) né semplicemente una faccenda di reputazione. C’è molto di più: dietro quei rigatoni e quelle olive c’è la vocazione imprenditoriale, c’è la dignità di un mestiere spesso non capito, ma essenziale per il bene comune. La vera customer satisfaction – la soddisfazione del cliente – è nata nelle città italiane del Duecento e del Trecento, quando dal cuore dei nuovi Comuni si comprese che commerciare era l’altro nome della civiltà, che il buon mercante era soprattutto un costruttore di reciprocità civile, e quando si spezza questa reciprocità riconosciuta e voluta si smarrisce lo spirito buono dell’intera società.

I pizzaioli come quelli del mio amico e i ristoratori come quello di Castignano vivono e operano l’uno accanto all’altro, lo sappiamo e lo vediamo tutti; ma il giorno in cui i primi dovessero diventare più numerosi dei secondi, magari convincendo tutti che comportamenti come quelli del mio ristorante sono soltanto romanticismo dannoso, quel giorno sarebbe un’ora molto triste per la società e per l’economia. Nei mercati di tutti i giorni c’è molta più anima di quella che riusciamo a vedere, e anche i politici che si candidano a guidare il Paese dovrebbero aiutarci a custodirla.


Tratto da avvenire

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