Il mio incontro con La Viarte, comunità educativa per minori multiproblematici

Volevo infatti capire dove dovessi giocarmi la mia vita, almeno a livello lavorativo…pretesa ambiziosa per un ragazzo di vent’anni, ma, come canta Guccini, «a vent’anni si è stupidi davvero»

Il mio incontro con La Viarte

 

 

Il mio incontro con La Viarte, comunità educativa per minori multiproblematici, a Santa Maria la Longa (UD), è avvenuto sotto le mentite spoglie di un volontariato di due settimane. Dico così perché in realtà la mia, più che un’offerta d’aiuto, era una ricerca di senso. Volevo infatti capire dove dovessi giocarmi la mia vita, almeno a livello lavorativo…pretesa ambiziosa per un ragazzo di vent’anni, ma, come canta Guccini, «a vent’anni si è stupidi davvero». L’ambito sociale mi aveva sempre attratto, ma oltre l’animazione non avevo grande esperienza. Bisognava dunque provare, confrontarsi con la realtà per mettere alla prova quella che per me era solo una bella idea. E così ho accettato il consiglio di provare a fare questa esperienza.


Pensando a cosa raccontare mi vengono in mente tanti volti e tante storie, che, anche per rispetto delle fragilità dei ragazzi eviterò di raccontare. Dico tante storie non perché le abbia viste in due settimane, ma perché poi (SPOILER) l’esperienza di volontariato si è protratta nel tempo, trasformandosi prima in un anno di servizio civile e poi in un lavoro che va ormai avanti da quasi un anno e che mi ha portato da San Donà di Piave a trasferirmi in Friuli…direi che la strada lavorativa (ed anche esistenziale e di vita) questa esperienza mi ha aiutato a trovarla. Però non si è fermata a questo. 


La Viarte è stata e continua ad essere una scuola di umiltà. Una scuola (viva la sagra dei luoghi comuni…ma non banali se uno vi è immerso e ne vede i frutti) in cui non si finisce mai di imparare e in cui si ricomincia sempre, ogni giorno: sono arrivato con la pretesa sciocca di sapere già tutto, come fare educazione, pensando che farsi strada nel cuore dei ragazzi e conquistarmi la loro confidenza sarebbe stata una passeggiata; sono arrivato pensando che quell’esperienza fosse per me, per capire chi fossi davvero, quale fosse la mia strada, da raggiungere anche a discapito di tutti e tutto, pretendendo il confronto con i salesiani e gli educatori per capirlo. Questo ero io, imberbe sandonatese di vent’anni. A quasi tre anni di distanza (con un po’ di barba in più e meno maschere) invece ho capito quanto sia difficile il rapporto con i ragazzi, quanto sia complicato il capire dove finisca il mio narcisismo e dove inizi il loro vero bene, che magari molte volte mi chiede di fare un passo indietro; ho capito di come non sia davvero importante capire chi siamo, o meglio, che questa esigenza deve essere riletta sempre e nuovamente a partire dal per chi siamo. 


A San Donà sapevo, o credevo di sapere, chi fossi. Una volta venuta meno questa convinzione è stato necessario uscire dalle mie sicurezze e incontrare davvero la povertà…ma non solo e non primariamente quella dei ragazzi, ma la mia povertà: i miei egoismi e la mia superbia…insomma fare i conti con le mie fragilità. 

 

Tanti volti e tante storie, dicevo. Accennerò solo a una, perché non è ancora conclusa e merita di essere raccontata. Alex, un ragazzino di 13 anni che viene in comunità come diurno da due. Un terremoto. Appena arrivato era una delle più grandi fonti di angoscia mie e degli altri educatori. Non sapevi mai dove fosse, era arrogante verso tutti e non aveva cura degli altri e delle cose. In due anni (non di sola comunità, ma anche di altre esperienze, come i campi scuola a Pierabech) il cambiamento è stato radicale. Non perché non sia più un tornado e a volte arrogante e irrispettoso, ma perché si è lasciato voler bene, si sente voluto bene e si è fidato…e questo ha fatto sì che anche lui, pian piano, stia riuscendo a voler bene agli altri, soprattutto (e sorprendentemente) ai ragazzi più fragili. È proprio vero che «in ogni ragazzo c’è un punto accessibile al Bene», che non significa che quel ragazzo sia buono di per sé (in fondo, chi può dirsi buono-di-per-sé?), ma che esiste sempre la possibilità perché il Bene entri nella vita di un ragazzo, di una persona e gli permetta di iniziare un cammino faticoso per comprendere dove stia non solo il suo bene, ma anche e soprattutto quello degli altri. 

 

I fallimenti in educazione, se così davvero si possono chiamare, sono all’ordine del giorno. Ma come Alex, grazie a Dio, ci sono tanti altri ragazzi che, invece, si fidano e si lasciano voler bene e, con tutte le loro fragilità, iniziano a voler bene (e bene davvero) a loro volta.

 

Leonardo

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