Il monte Golgota

In questo percorso di Quaresima vogliamo presentare alcuni luoghi che segnano la vita cristiana. Oggi presentiamo il monte Golgota, in cui Gesù fu crocifisso.

Il monte Golgota

Il monte Golgota in realtà è solo uno sperone roccioso di sei o sette metri, tant’è vero che è stato inglobato all’interno della basilica crociata del Santo Sepolcro, come scoprono i pellegrini che lo incontrano una volta entrati nel tempio, a destra, salendo una breve scala. Ora questo promontorio rupestre è, infatti, coperto da una cappella distribuita tra i Francescani e gli ortodossi.

Il suo nome in aramaico significa «cranio», probabilmente per la sua forma tondeggiante o forse perché lì vicino c’erano le sepolture dei condannati a morte. In Occidente tutti, anche coloro che non hanno nessuna fede in Cristo, sanno che cos’è il Calvario, che è la traduzione latina dell’aramaico Golgota, tant’è vero che si è persino creato un modo di dire comune, «un calvario di sofferenze». La sua irrilevanza orografica è stata invece superata dalla fantasia popolare e dalla creazione artistica che lo ha trasfigurato in una montagna alta e arida sulla quale svettano le croci dei tre condannati, Gesù e i due malfattori.

Monte della morte, quindi, segno di una realtà profondamente umana com’è appunto il morire e il soffrire. Monte del silenzio assordante del Padre divino nei confronti del Figlio, come si intuisce nel grido estremo di Cristo, basato sull’avvio del Salmo 22: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?».

Padre Turoldo in uno dei suoi Canti ultimi rappresentava con forza quel silenzio sconcertante: «Fede vera / è al venerdì santo / quando Tu non c’eri lassù! / Quando non una eco / risponde al suo alto grido / e a stento il Nulla / dà forma / alla tua assenza». Eppure, nel Vangelo di Giovanni il Golgota diventa anche il monte della vita piena, perché quella croce è già il segno della gloria, dell’esaltazione pasquale, della risurrezione.

Lo aveva annunciato lo stesso Gesù: «Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me» (Giovanni 12,32). E lo aveva fatto balenare anche davanti a quel capo dei Giudei, Nicodemo, nel loro incontro notturno: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna» (3,14-15). L’ultima parola che Cristo pronuncia lassù è nel greco dei Vangeli un solo verbo: tetélestai, tutto «è compiuto» (19,30), tutto è giunto alla sua pienezza. Aveva perciò ragione lo scrittore greco Nikos Kazantzakis quando nella sua opera L’ultima tentazione di Cristo (1952) commentava: «Levò un grido di trionfo: Tutto s’è compiuto! Ma fu come se dicesse: Tutto comincia!».


Tratto da: Il Golgota, monte della morte e della vita - Famiglia Cristiana

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