Forse una certa difficoltà ad accettare questa scelta nasce dall'incapacità di digerire certe aperture a cui la Chiesa ci invita da cinquant'anni. C'è da augurarsi che non si tratti solo di un fuoco d'artificio inaugurale ma che l'account @Pontifex sia utilizzato anche in futuro per stabilire un contatto reale e non solo per...
L'annunciato esordio di Benedetto XVI su Twitter, uno dei social-network più frequentati al mondo che incarna meglio le nuove dinamiche orizzontali della comunicazione digitale 2.0, è un evento mediatico senz'altro incoraggiante per il futuro della Chiesa. Allo stesso tempo, però, mette in luce alcuni punti deboli del pensiero cattolico contemporaneo.
È confortante perché dimostra, nonostante le ricorrenti accuse di oscurantismo, l'immutata capacità della Chiesa di intuire i segni dei tempi e farsi presente nei nuovi luoghi di comunicazione, non per svolgere mera propaganda ma per incontrare l'uomo. Lo è ancor di più per la formula rischiosa adottata dal Vaticano per i primi tweet papali, quella delle risposte alle domande sulla fede che arriveranno dal variegato popolo della rete. Una dinamica che sembra invertire quella ecclesialmente consuetudinaria della predica "dal pulpito all'assemblea" per sposare quella della condivisione dei contenuti attraverso le relazioni tipica del web 2.0. C'è da augurarsi che non si tratti solo di un fuoco d'artificio inaugurale ma che l'account @Pontifex sia utilizzato anche in futuro per stabilire un contatto reale e non solo per elargire perle di indubbia saggezza pastorale e spirituale. Il card. Gianfranco Ravasi, frequentatore già da tempo della piattaforma di Twitter, sa bene come la mancata risposta ai commenti dei tuoi 'follower' - coloro che seguono il tuo account - possa trasformarsi in un boomerang. "Sua Santità arriva su Twitter - scrive in queste ore un utente sulla pagina del presidente del dicastero della cultura - spero soltanto che non sia come Sua Eminenza il card. Ravasi che parla da solo!". A destare qualche critica è stata già la scelta dei gestori dell'indirizzo di Benedetto XVI di non "seguire" - almeno per ora - nessuno. Ma è ovvio che l'account papale non può essere considerato un indirizzo personale, ha caratteristiche, per così dire istituzionali, che rendono difficili certi passaggi.
Invece estremamente interessante è la reazione negativa che l'approdo del Pontefice nel luogo informatico per eccellenza, dove i più seguiti sono Lady Gaga e Cristiano Ronaldo, ha provocato in alcuni osservatori cattolici. A più di uno è sembrato solo un cedimento alla moda del momento, un pericoloso tributo alla modernità, o, peggio, uno scadimento di livello. Insomma, sembra quasi che per distinguersi dal Dalai Lama, o da altri leader religiosi, già da tempo presenti in questo luogo smaterializzato, ma nient'affatto virtuale, il Papa avrebbe dovuto snobbarlo. Sono prese di posizione che riflettono da una parte il vecchio vizio culturale di attribuire ogni male alla tecnologia, quasi che questa non fosse opera di una creatura di Dio come l'uomo. E dall'altra tradiscono l'ossessione per la lentezza e l'approfondimento e l'ingiusta associazione fra velocità, sintesi e superficialità. Quasi non fosse vero che - soprattutto in campo ecclesiale - è molto più faticoso e producente essere brevi ed efficaci, piuttosto che parlare a lungo, esibendo tanto nozionismo, senza dire nulla di pastoralmente utile. Ma è possibile anche che questa chiusura al mondo del web, da tanti auspicata, oltre a contraddire frontalmente il magistero papale sul tema, sia riflesso di un rifiuto della logica del Concilio cominciato 50 anni fa. "La chiesa deve venire a dialogo col mondo in cui si trova a vivere. ... Ancor prima di convertire il mondo, bisogna accostarlo e parlargli" scriveva Paolo VI nell'enciclica Ecclesiam suam, nel 1964. Forse una certa difficoltà ad accettare il Papa su Twitter nasce dall'incapacità di digerire certe aperture a cui la Chiesa ci invita da quell'epoca. Eppure è proprio il Pontefice a darci l'esempio...
Fabio Colagrande
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