Come ci definiscono i media, qual è il nostro 'identikit'?
del 12 dicembre 2002
IDENTIKIT DEL GIOVANE DEL 2000
Precoci, colti e intelligenti, ma paurosi di fronte alla realtà e smarriti davanti al futuro. E ancora: concentrati su se stessi fino al narcisismo e perennemente in cerca di approvazione, temono il rifiuto e l’abbandono, sono sempre più annoiati e finiscono per 'flirtare con la morte'.
Carlotta Ricci, Corriere della Sera
GLI ANALFABETI DELLE EMOZIONI
È difficile pensare di poter governare la propria vita senza un'adeguata conoscenza di sé: quell'educazione dei sentimenti, delle emozioni, degli entusiasmi, delle paure, che mette al riparo da quell'indifferenza emotiva, oggi sempre più diffusa, per effetto della quale non si ha risonanza emozionale di fronte ai fatti a cui si assiste o ai gesti che si compiono. E chi non sa sillabare l'alfabeto emotivo, chi ha lasciato disseccare le radici del cuore, si muove nel mondo pervaso da un timore inaffidabile. […]
Più soli e più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più aggressivi e quindi impreparati alla vita , perché privi di quegli strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti quali l'autoconsapevolezza, l'autocontrollo, l'empatia, senza i quali saranno sì capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i conflitti, di cooperare.
Umberto Garimberti, La Repubblica
E tutto questo perchè Erika, Omar, Mattia, Nicola, Pietro, Marco, Stefania sono i protagonisti di atrocità che ogni giorno riempiono le cronache quotidiane.
Ci colpiscono ma poi ce ne dimentichiamo.
…la domanda è ovviamente retorica! Non siamo qui per dare lezioni di morale, e nemmeno per un esame di coscienza. Ma solo perché crediamo sia giusto chiederci che cosa sta succedendo.
Persone che giocano con la vita degli altri e con la loro. Giovani che uccidono altri giovani. E sempre le solite analisi che ci dipingono senza valori, vuoti, vittime di una società che non tiene conto delle nostre fragilità.
Ma siamo davvero così? Anonimi, insignificanti?
Non ci possiamo accontentare di queste etichette. E non vogliamo neppure farlo.
D’altra parte non abbiamo risposte. E probabilmente non possediamo nemmeno gli strumenti per capire e spiegare che cosa davvero accade dentro a queste persone che arrivano a compiere atti estremi.
Abbiamo solo le nostre vite per testimoniare la preziosità del dono che ci è stato fatto, la nostra esistenza.
Non vogliamo essere tra quelli che ascoltano indifferenti. Non vogliamo abituarci alla 'normalità di gesti folli'
. E forse questa può essere un’occasione per fermarci e riflettere.E se uno di quei nomi fosse quello di nostro fratello o del nostro migliore amico?
Silvia Castagnoli, Elisabetta Prete
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