La vocazione alla vita di speciale consacrazione è certo “rottura” con la famiglia di origine: ma si tratta di uno sradicamento che presuppone il radicamento per svellere le radici, queste radici bisogna prima di tutto averle. La vocazione non nasce dal vuoto, ma da un'appartenenza che si supera in vista di un ideale più grande.
del 19 novembre 2005
La famiglia resta un fondamentale punto di riferimento di ogni animatore vocazionale. È lì, infatti, che - sin dalla prima infanzia e a livello di esperienza diretta - si formano gli orientamenti e le tendenze che costituiranno l’ossatura della personalità, a partire da quel fondamentale mezzo di comunicazione che è il linguaggio. In futuro sarà possibile staccarsi dal ceppo originario e percorrere la propria strada, ma si sarà indelebilmente segnati da quell’esperienza. La vocazione alla vita di speciale consacrazione è certo “rottura” con la famiglia di origine: ma si tratta di uno sradicamento che presuppone il radicamento per svellere le radici, queste radici bisogna prima di tutto averle. La vocazione non nasce dal vuoto, ma da un’appartenenza che si supera in vista di un ideale più grande. In questo senso la famiglia può preparare il terreno alla scelta vocazionale formando persone mature, capaci poi di una libera e responsabile decisione. Il problema che si pone oggi, di fronte alla realtà della famiglia in occidente (diverso è il contesto in altri paesi del mondo, qui non presi in considerazione, anche se nell’attuale contesto i rapporti fra le diverse aree del pianeta si fanno sempre più intensi) è quello della “qualità” complessiva degli uomini e delle donne formati in questa specifica realtà. Una serie di cambiamenti in atto - e di altri che si annunziano per i prossimi decenni - mettono in discussione gli antichi modelli e pongono una serie di nuovi problemi.    
 
LA RIDUZIONE NUMERICA DELLA FAMIGLIA
Il primo e più evidente dato con il quale occorre confrontarsi è quello della, per ora progressiva, riduzione numerica dei componenti la famiglia.
Sulla base degli ultimi dati - che rivelano un sostanziale arrestarsi della fecondità a 1,2 figli per donna - si può affermare che in circa la metà delle famiglie italiane si afferma il modello del figlio unico, mentre la rimanente metà è suddivisa fra le coppie con due figli e quelle (sempre meno numerose) con tre o più figli; queste ultime, tradizionale “serbatoio” delle vocazioni ecclesiastiche, rappresentano appena il 12 per cento del totale. Il dato di per sé sembrerebbe esclusivamente numerico: ovviamente la voce di Dio si fa sentire tanto nelle famiglie ristrette quanto in quelle di ampie dimensioni; di fatto però occorre misurarsi con il forte radicamento affettivo che contraddistingue i rapporti fra genitori e figli, soprattutto nella famiglia a figlio unico: su questi, infatti, si caricano le attese relative alla continuazione del ceppo familiare, alla prosecuzione dell’attività professionale dei genitori, alla trasmissione del nome, del patrimonio, della tradizione. La scelta per il celibato rappresenta in un certo senso la fine di un sogno e pone la famiglia a figlio unico di fronte alla propria fine. In generale, nella famiglia contemporanea, caratterizzata dal basso tasso di fecondità, i rapporti fra genitori e figli si fanno sempre più stretti ed intensi, sino a determinare fenomeni di marcata e prolungata dipendenza dalla famiglia di origine (è noto il fenomeno, non solo italiano, ma accentuato nel nostro paese, della permanenza in casa di trentenni ed ultratrentenni). Anche in questo caso svellere le radici diventa sempre più difficile.
 
LA FRAGILITÀ DELLE FAMIGLIE
L’altro aspetto della famiglia contemporanea, che coinvolge da vicino l’animatore vocazionale, è la relativa fragilità della famiglia contemporanea. Se in complesso in Italia la struttura familiare appare ancora robusta (ma fino a quando, considerata la forza corrosiva dei messaggi della comunicazione di massa?), la stabilità che caratterizzava in passato il matrimonio è ormai alle nostre spalle. Si calcola che circa una coppia su cinque sia assoggettata al dramma della separazione (per lo più entro i primi dieci anni di matrimonio), dando luogo poi alle cosiddette “famiglie ricostituite” in cui la convivenza dei figli con i genitori “naturali” viene sostituita da rapporti complessi e spesso problematici. Non si può affermare, in linea di principio, che robuste e mature vocazioni non possano sorgere anche all’interno di famiglie segnate dalla separazione o dal divorzio, anche perché è sempre possibile raggiungere un nuovo equilibrio; ma l’osservazione della realtà rivela che spesso le famiglie divise (e, prima ancora, conflittuali, perché senza la conflittualità non vi sarebbe stata la divisione) sono anche famiglie problematiche, e che i figli si trovano di fronte a complessi problemi di identità e incontrano maggiori difficoltà nel conseguimento della piena maturità personale. Là dove vi è immaturità umana è meno facile che si verifichino quelle scelte vocazionali che sono normalmente riconducibili ad una ragionevole maturità umana. In questo senso vi è una stretta connessione fra l’equilibrio interno della famiglia, e una stabilità fondata non sulla semplice convenienza, ma sull’amore reciproco, e la capacità di fare della propria vita un dono da spendere per gli altri in una via di totale consacrazione a Dio e ai fratelli.
 
L’IMPATTO DELLA SECOLARIZZAZIONE
I fenomeni di cambiamento prima ricordati si pongono nel contesto generale di una forte e diffusa secolarizzazione, appena incrinata da periodici (ma talora spurii ed equivoci) “ritorni del religioso”. Il dato relativo ai matrimoni civili - pure in costante crescita e che in molte aree sfiorano il numero dei matrimoni celebrati con rito religioso - non deve essere letto superficialmente nell’ottica della secolarizzazione, in quanto esso è determinato anche, ed in parte consistente, da un lato dai secondi matrimoni dei divorziati (il divorzio agisce, di fatto, come “moltiplicatore dei matrimoni civili), ed in parte dai sempre più frequenti matrimoni fra cattolici e non cattolici, spesso celebrati col solo rito civile. Operati questi correttivi, si deve tuttavia riconoscere che i matrimoni civili sono, nella loro linea di tendenza, un chiaro segnale di distacco dalla fede e dalla comunità cristiana e preludono ad un modello di famiglia all’interno del quale difficilmente ci si porrà il problema di una seria e responsabile educazione ai valori cristiani; anche se non sono infrequenti i casi in cui il matrimonio civile è accettato con sofferenza da coniugi che hanno conservato la fede e che avvertono un’acuta sofferenza per la loro parziale emarginazione dalla comunità cristiana a seguito dell’intervenuto divorzio. Non si deve tuttavia ritenere che la secolarizzazione non penetri anche nelle famiglie fondate sul sacramento: il drammatico divario fra i giovani adulti praticanti e coloro che celebrano le nozze con il rito religioso è, sotto questo profilo, eloquente e porrà in futuro problemi pastorali sempre più seri e forse drammatici. Fino a che punto sarà possibile accettare l’attuale divaricazione e ammettere alla celebrazione sacramentale coppie manifestamente lontane dalla vita cristiana e talora da qualsiasi sensibilità religiosa? Nell’uno e nell’altro caso - quello della secolarizzazione manifesta e quello della secolarizzazione strisciante - è evidente che mancano in famiglia le premesse per una seria e responsabile formazione religiosa dei figli.
 
MISURARSI CON LA REALTÀ
È compito e responsabilità dell’animatore vocazionale confrontarsi con questa nuova realtà ed abbandonare gli stereotipi di ciò che la famiglia è stata o di ciò che essa dovrebbe essere, per misurarsi con la famiglia italiana degli anni Duemila quale essa è, con la sua forza ed anche con la sua debolezza, con le sue ricchezze e con le sue povertà. Vale anche per la famiglia di oggi quanto è mirabilmente espresso nella parabola del “buon seminatore”. Fra le famiglie vi sono i terreni fertili e quelli impervi ed aridi; eppure in tutti i terreni occorre continuare a seminare, perché nessuno può sapere quale sarà la risposta. In questo senso la pastorale vocazionale deve concernere tendenzialmente tutte le famiglie, ma soprattutto quelle fondate sul sacramento del matrimonio, perché nessuna di esse è esclusa dai misteriosi disegni di Dio. Una particolare attenzione dovrà tuttavia essere dedicata alle famiglie maggiormente coscienti del senso e del valore del sacramento ricevuto e addirittura impegnate nella vita della comunità cristiana a servizio dei fratelli. Famiglie ragionevolmente numerose, tendenzialmente unite, normalmente aperte all’incontro con gli altri e al servizio agli altri. Si tratta - lo si deve riconoscere con schiettezza - di una minoranza, e talora, in alcune aree, di una esigua minoranza; ma esigua minoranza sono anche le vocazioni di speciale consacrazione. Più che la forza dei numeri vale, in questo caso, la qualità e soprattutto l’autenticità delle persone. Proprio perché si ha a che fare, in questa azione, con famiglie attente e sensibili, spesso fortemente impegnate nella comunità cristiana, proprio per questo le famiglie cristiane non possono essere escluse dal cammino vocazionale: un cammino da percorrere non contro le famiglie, ma con le famiglie, nella consapevolezza che dove vi è autentica vita cristiana ivi è anche la tendenziale disponibilità al dono totale della propria vita per il Regno.  
 
 Rogate ergo N. 10 / 2005
 
Giorgio Campanini
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