Gesù ci risponde: se dovete passare la vita a sistemare questo e quello per potermi seguire, lasciate perdere da ora. C'è sempre qualcosa da sistemare: sicché se uno si mette in cammino in questo modo, continuerà a camminare con lo sguardo rivolto altrove, in attesa di trovare il tempo per sistemare tutte le sue cose...
del 20 maggio 2005
Il vangelo registra alcune scene, tratteggiate in poche battute, che riguardano la richiesta di seguire Gesù per diventare suoi discepoli. “Il primo disse: Ti seguirò dovunque tu vada. E Gesù rispose: le volpi hanno le loro tane, gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo” (cfr Lc 9,57-58). Piuttosto scoraggiante, vero? Ma verso la fine del suo viaggio verso Gerusalemme ( per capire bene questo episodio è necessario che allunghiamo lo sguardo più avanti), Gesù racconterà questa parabola: “Se uno di voi decide di costruire una casa, che cosa fa prima di tutto? Si mette a calcolare la spesa per vedere se ha abbastanza soldi per portare a termine i lavori. Altrimenti se getta le fondamenta e non è in grado di portare a termine i lavori, la gente vedrà e comincerà a  ridere di lui, e dirà: Quest’uomo ha incominciato a costruire e non è stato capace di portare a termine i lavori… La stessa cosa vale anche per voi: chi non rinuncia a tutto quello che possiede non può essere mio discepolo” ( cfr Lc 14,28-30.33).Non sarebbe successo nulla, e nessuno avrebbe detto niente se non avessero dichiarato il loro progetto. Non ci hanno pensato seriamente. Qualche volta anche noi ci rappresentiamo la scena del nostro incontro decisivo con il Signore come l’effetto di un magico impulso del momento. E desideriamo che accada così, perché allora saremmo pronti a tutto. Saremo pronti se ci abbiamo pensato bene. E ci penseremo bene, solo se lo avremo voluto. Se vogliamo veramente seguire Gesù, domandiamoci dove va. Forse va in un posto dove non si può più dormire, in cui si sta scomodi, in cui accadono cose difficili da sopportare. Gesù non ha alcuna intenzione di sedurre persone inesperte, approfittando dell’entusiasmo del momento: “questo Gesù mi piace”. Bisogna che ciascuno ci pensi bene, dopo sarà tardi: forse molti, che ora uno avverte ammirati per la propria audacia, rideranno di lui, considerando quello che rimane del suo patetico slancio di buoni sentimenti. E infine egli stesso, che si sarà trovato a seguire il Signore per un incauto slancio, giovanile o meno, privo di adeguato discernimento, finirà per sopportare la sua sequela sentendosi tradito: magari a motivo del guanciale al quale bisogna saper rinunciare quando è necessario. Non è affascinante questa trasparenza della vocazione del Signore? Non è pur essa, nel suo limpido rigore, una forma di tenerezza e di protezione verso la nostra sprovvedutezza? Ma questa è anche misura della fede: Gesù non cattura seguaci, non recluta discepoli ad ogni costo. Egli sa che la voce del Padre ha in se stessa la sua persuasiva autorevolezza. Ed essa soltanto è affidabile per la vita. Solo sul fondamento della fede si edificano la fedeltà e la letizia del servizio all’evangelo. La fede è il contrario della paura: anche di quella che induce il timore di rimanere “senza discepoli”, se si “mortifica l’entusiasmo” di coloro che si offrono.
 
Dunque bisogna pensarci bene!
 
Ma con la stessa onestà e con la stessa rigorosa limpidezza con la quale si presenta la chiamata. “Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre”. “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti”. E ancora: “… lascia che mi congedi da quelli di casa”. “Nessuno ha messo mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto al regno di Dio”. (cfr Lc 9,59-62). Qui la “musica” sembra diversa: il tono di queste risposte sembra infatti sollecitare una immediatezza priva di riflessività e di ripensamento. Il contrasto però è soltanto apparente: è l’altro lato dell’istruzione di Gesù, che corregge un possibile difetto del nostro modo di intendere l’invito alla seria considerazione del passo richiesto dalla sequela del Signore. Dobbiamo riflettere seriamente sulla decisione di seguire il Signore. Ma dobbiamo anche evitare di fare richieste – di per sé affatto giuste - , soltanto per ritardare ancora un po’ il momento decisivo. “Se posso sistemare tutto il resto, anche questo andrà meglio”. Gesù ci risponde: se dovete passare la vita a sistemare questo e quello per potermi seguire, lasciate perdere da ora. C’è sempre qualcosa da sistemare: sicché se uno si mette in cammino in questo modo, continuerà a camminare con lo sguardo rivolto altrove, in attesa di trovare il tempo per sistemare tutte le sue cose. Non si può neppure arare un campo in questo modo. Ma poi c’è un sottile atto di profonda incredulità in questo atteggiamento, che merita di esser portato alla luce. Esso in fatti non suppone soltanto che, invece di guardare bene l’urgenza di cui tratta l’evangelo, si continui a considerare l’importanza di tutto il resto che si pensa di dover fare. Ma rivela altresì la persuasione che la dedicazione all’evangelo è come una prigionia che impedirà di fare anche le cose ritenute importanti e giuste. Come se la sequela del Signore fosse essenzialmente vista nella forma del sequestro, della privazione, dell’alienazione: invece che come la strada che consente di compiere ogni giustizia. Così accade che non si rifletta abbastanza, oppure che si interroghi il Signore per guadagnare tempo. Cioè, per perderlo. “Se qualcuno viene con me e non ama me più del padre e della madre, della moglie e dei figli, dei fratelli e delle sorelle, anzi, se non mi ama più di se stesso, non può essere mio discepolo. Chi mi segue senza portare la sua croce non può esser mio discepolo” (Lc 14,26-27). Il fatto è che chi vuole seguire Gesù deve sapere che la sequela di lui non è alternativa all’esercizio delle opere dell’amore. Ma deve riflettere con serietà sul fatto che è proprio l’accoglienza dell’evangelo che le porta a salvamento e ne assicura il frutto.
Pierangelo Squeri, Senza voltarsi indietro, Ed. Vita e Pensiero, 2002.
Pierangelo Sequeri
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