E la madre? Dov'era? E i fratelli, altri parenti? E lei, lei, creatura sacrificale, perché non ha mai, mai osato fuggire, gridare, sola, sola in quel carcere. Non aveva amici, amiche, la scuola sua dov'era? Una parrocchia, qualche vicino di casa perbene. Quali adulti avrebbero dovuto intuire, capire, prendersi cura di lei? Soltanto il silenzio, a coprire la paura e il vuoto dentro.
Neanche le fantasie popolari più morbose, neppure le pagine più perturbanti e cupe di Verga avevano raccontato una storia come quella che ci arriva dalle cronache di una Palermo atavica, sospesa in un tempo primordiale e belluino, ferina e ottusa ad ogni minimo richiamo di umanità e civiltà. Un padre ha costretto per anni la figlia minorenne ad avere rapporti sessuali con lui, l’ha odiosamente obbligata alla più turpe violenza. La ragazzina, silente e oppressa da umiliazione e colpa, rimane incinta, ed è l’occasione, non tragica, ma salvifica, di un riscatto, di una possibile via di salvezza. Un bimbo è un bimbo, dovrò dire chi è il padre, dovrò far sapere, ci sono gli strumenti medici, oggi, per far capire la verità orrenda. E la ragazza, contro l’omertà vile e obbrobriosa di una famiglia succube e complice che la spinge all’aborto, dà alla luce il suo bambino.
La storia è stata scoperta dagli agenti della polizia di stato, che hanno scavato sgomenti nel baratro di diverse malate psicologie. Sforziamoci di immaginare. Il padre, 46 anni, che tornava a casa la sera (da dove? Da un lavoro? E’ lecito dubitarne) e socchiudeva la porta della camera da letto, chiamando a sé la figlia. E la madre? Dov’era? E i fratelli, altri parenti? E lei, lei, creatura sacrificale, perché non ha mai, mai osato fuggire, gridare, sola, sola in quel carcere. Non aveva amici, amiche, la scuola sua dov’era? Una parrocchia, qualche vicino di casa perbene. Quali adulti avrebbero dovuto intuire, capire, prendersi cura di lei? Soltanto il silenzio, a coprire la paura e il vuoto dentro.
Noi non sappiamo i particolari di questa storia impossibile. Particolari non indifferenti, ad esempio, se il padre era malato di mente, se la figlia era malata di mente, e quindi maggiormente inerme e incapace di reagire. E’ possibile perfino come ipotesi che la figlia fosse consenziente, e poi irata per un tradimento sospettato, e vogliosa di vendetta. In fondo, il mito ci ha prospettato amori vietati eppur desiderati, e si può ricordare il re assiro Cinira, sedotto dalla figlia Mirra, tramutata non a caso dagli dei nell’omonimo albero odoroso, dopo aver dato alla luce il bellissimo figlioletto Adone. C’è il sesso sfrenato dell’ebbro Loth con le sue figlie, nell’Antico testamento. Ma sappiamo che significato catartico avessero i miti più turpi, come forzassero disumanità e follia per preservare la mente e il cuore di un pubblico da educare, anche attraverso l’orrore. Non la realtà, ma una realtà deformata, per far emergere raccapriccio e paura.
La vicenda di Palermo, al di là di nuove, possibili indagini che potranno svolgere inquirenti e psicologi, mostra il buio vicino a noi, l’abominio a due passi dai salotti del centro, dalle vie dello shopping, dalla determinazione di tanti giovani che osano cambiarsi il futuro, dalla fermezza di chi sceglie la giustizia e la libertà dalle costrizioni dei criminali.
Davanti allo stupro di un padre nei confronti di sua figlia, nessun delitto di mafia appare più incomprensibile e orribile (e ci si chiede come mai il nostro codice penale, articolo 564, ancora punisca l’incesto con condanne risibili, da 1 a 5 anni di carcere. Una norma che dovrebbe suscitare la vergogna del nostro sistema giudiziario).
C’è poi la vicenda del bambino, ostinatamente voluto contro la volontà della famiglia, un nido di amore e tenerezza trasformato in una gabbia oppressiva. E’ un’eroina, la giovane vittima palermitana, una santa? Non avrebbe fatto meglio ad abortire, e ricrearsi una vita serena, lontano dal padre orco? Siamo certi che per la mentalità comune questa sarebbe stata la soluzione più semplice, e ragionevole. E non potremmo giudicarla, se avesse scelto diversamente, liberamente. Ci sono anime così distrutte che nessuna colpa può essere loro imputata, neppure l’omicidio di un bimbo. Nessuna battaglia pro life avrebbe potuto varcare la soglia di una coscienza così ferita. Ma forse la ragazza di Palermo ha sentito che le memorie non si allontanano, non ci si libera dagli incubi strappandosi la propria carne, sventrandosi le viscere. Per salvarsi, non doveva essere sola. Per salvarsi, doveva saper guardare il suo bimbo, e ricominciare a vivere, per lui, per quell’unica ricostituita vera famiglia, lontano, tra uomini buoni e donne amorevoli, capaci di darle il bene che mai, mai aveva provato.
Monica Mondo
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