Il racconto di Giulia, della sua esperienza in missione fra i Malgasci.
papa Francesco
Mi chiamo Giulia, ho 22 anni e vengo dalla realtà di Schio. Questa estate sono partita per un’esperienza particolare: ciò che mi ha spinto a partire è il desiderio che sento di aiutare gli altri e verso la missione, all’essere “ultima, con gli ultimi”, quegli ultimi dimenticati da tutti, a cui nessuno da una possibilità, di cui nessuno si prende cura, quegli ultimi a cui volevo dare un volto e una storia. E così per dare concretezza a tutto quello che sentivo, ho deciso di partire. Il cammino e il discernimento vocazionale fatto durante l’anno, e un po' di pazzia, mi hanno fatta volare in Madagascar, dove ho svolto un mese di servizio in un orfanotrofio a Fianarantsoa.
Grazie ai salesiani, che mi hanno anche ospitata per i primi giorni, ho conosciuto l’“Orphelinat Catholique di Ankufafa”, struttura gestita da 10 suore dell’ordine delle Nazarene. 10 suore per 180 bambini e ragazzi, dai 3 mesi ai 18 anni, che sono stati affidati a queste religiose per vari motivi (nella maggior parte dei casi, a causa della morte della mamma). Catapultata in una realtà completamente diversa dalla mia, i primi giorni sono stati un po' faticosi. Durante la giornata mi occupavo dei bambini più piccoli, (dai 3 mesi ai 2 anni), che non andando a scuola, rimanevano tutto il giorno in casa. Questo mi ha permesso di trovare la mia quotidianità, che trascorreva tra un canto e l’altro, il bucato, colazioni, pranzi e cene, la messa domenicale, andare a prendere i ragazzi più grandi a scuola in autobus, i giochi, il riso nei capelli, pulizie, merende, preghiera e lunghe chiacchierate, confronti e racconti delle suore sulla situazione malgascia. Una quotidianità a cui mi sono ben presto abituata e trovata a mio agio. Questo è stato possibile grazie alle suore, a Lara (un’altra ragazza Svizzera, li per volontariato) e soprattutto grazie ai bambini. L’accoglienza che mi hanno riservato e il clima di disponibilità, senso di pace e libertà, la libertà di essere sé stessi nel cuore di qualcun altro, mi hanno fatta sentire a casa, nel posto giusto. Si può dire che loro hanno aiutato me, e non il contrario.
Il Madagascar è terra di risaie, di caffè, di thè, di tramonti magnifici ma anche di povertà. Girando per le strade trovi persone di tutti i ceti sociali e tanti, tantissimi bambini, che purtroppo non hanno la possibilità di esserlo ma devono diventare fin dalla più tenera età, degli adulti, soprattutto per lavorare. Si trova chi cammina senza scarpe e chi può permettersi vestiti più lussuosi, 2 lati della stessa medaglia. Ma la bellezza sta nelle relazioni tra di loro: nei sorrisi che si allargano nei loro volti, che riescono ad illuminarsi persino al buio e che mi hanno salvata, non c’è cattiveria, non c’è egoismo, c’è un profondo rispetto per le persone come per il cibo e le cose. I bambini di cui ho potuto prendermi cura, erano meravigliosi: sono la prova che non è necessario parlare la stessa lingua per capirsi, aiutarsi, volersi bene.
Le suore conoscono ogn ragazzo, tutta la sua storia, ogni sua paura, attitudine, sogno, desiderio, particolarità. Sono dei bambini che hanno davvero tanto bisogno di qualcuno che certamente li ami, ma che sappia sostenerli nelle scelte della loro vita, li incoraggi, li guidi e creda nei loro sogni e dia loro la possibilità di realizzarli. Sanno che l’istruzione li renderà liberi, e per questo si impegnano davvero tanto a scuola e nessuno si lamenta per andarci. È chiarissimo come abbiano dei grandi sogni, che spero potranno portarli lontano, ed è bello come siano tutti sogni rivolti agli altri, per aiutarli, perché non vogliono che nessuno soffra più come loro. Nella mia permanenza, ho avuto la possibilità di conoscere tantissime associazioni sia laiche che religiose, e di conseguenza tutte le persone che aiutano questa terra. Ho potuto conoscere delle persone fantastiche, a cominciare da salesiani, fma e le suore nazarene, che donano e spendono la loro vita in modo totalmente gratuito e completo per tutti questi “ultimi”. Senza di loro, molte cose non funzionerebbero, molti più bambini rischierebbero di morire o di non avere nessuno che si prende cura di loro né tantomeno un tetto sopra la testa o qualcosa da mangiare nel piatto. Grazie a loro i Malgasci hanno ancora speranza. Parlando con alcuni volontari e missionari laici, è emerso come anche loro abbiano sentito la mia stessa spinta a partire, il sentirsi fuori posto, non completi. Sentivano la mancanza di rapporti veri, e mi hanno parlato di come nella nostra realtà occidentale, non si comprenda più l’immenso valore di un abbraccio, di sentirci accolti e capiti in esso, di una carezza, uno sguardo. Di come viviamo nella nostra bolla di benessere, ci crogioliamo nei nostri confini, nel nostro egoismo, ci rinchiudiamo dietro i nostri telefoni, diamo ogni cosa per scontata. E tutto questo ci rende irrimediabilmente infelici.
Questi atteggiamenti richiedono un cambiamento: di cuore, di sguardo. “Ogni giorno scegli tu dove guardare”, ci dice Marco Gallo. E infatti, ogni giorno puoi cambiare la tua vita, fare delle scelte importanti che la rivoluzioneranno. Ogni giorno scegli se accorgerti e ringraziare per quello che hai, o arrabbiarti per ciò che ti manca. Ogni giorno decidi se accorgerti dell’abbondanza che ti circonda, del cibo che hai in tavola, dell’acqua che puoi utilizzare, dalle scarpe che hai ai piedi, del tetto sopra la tua testa, del letto su cui dormi, della cartella con cui vai a scuola, dei vestiti che indossi . E delle cose importanti che caratterizzano la tua vita, delle persone che ti accompagnano, di chi ti vuole bene, del sorriso dei tuoi figli, fratelli, amici, nonni, genitori, della famiglia che ti accoglie al tuo rientro. Non credo che il mio desiderio di donarmi agli altri possa togliermi qualcosa, ma anzi. Credo che non possa fare altro che rendermi davvero felice, come in questa esperienza, e farmi sentire finalmente al mio posto. Credo fermamente che solo amando, ci si possa donare completamente. E che donarsi sia la forma più pura dell’amore. Solo donandoti agli altri puoi stare bene con te stesso. Perché la vita, più la fai circolare e più è tua. Più la trattieni più ti si sbriciola in mano. Più la fai circolare e più fiorisci dentro.
Ed essendo figli di un padre che ha donato tutto sé stesso per noi, non possiamo far altro che amare e donarci come lui ha fatto con noi. Non più io al primo posto, ma gli altri. “Ama il prossimo tuo, come te stesso”. È quello che voglio provare a fare, ogni giorno. E chiedo al Signore di darmi la forza e la perseveranza di riuscire a farlo per tutta la mia vita.
Volevo ringraziare chi mi ha dato questa opportunità dandomi grande fiducia, tutte le persone che mi sono state vicine, chi mi ha incoraggiata, chi mi ha accompagnata, anche con la preghiera, chi ha capito la mia scelta, chi mi ha aiutata a camminare e a maturare questa scelta in questi mesi, chi ha pensato di raccogliere un contributo economico da lasciare all’orfanotrofio, chi tutt’ora mi sta aiutando nel muovere i prossimi passi. Grazie a tutti i ragazzi che ho incontrato in Madagascar e a tutti quelli che incontro in oratorio.
Grazie al Signore, che mi custodisce e mi accompagna sempre, camminando per me nei momenti in cui la vita diventa più difficile. Grazie perché mi ami per ciò che sono e nonostante le mie mancanze mi sei sempre fedele.
Mi sento infinitamente riconoscente.
“Il nome tuo è chiamato ad essere meraviglioso dono, che con stupore nasce dalle mani tue”
Giulia
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