La prima impressione che mi lasciò questa avventura fu quella della libertà. Una libertà nuova, ampia, autentica, gioiosa. L'aver scoperto che ero nulla, che non ero responsabile di nessuno, che non ero un uomo importante, mi diede la gioia di un ragazzino in vacanza.
La prima impressione che mi lasciò questa avventura fu quella della libertà. Una libertà nuova, ampia, autentica, gioiosa. L'aver scoperto che ero nulla, che non ero responsabile di nessuno, che non ero un uomo importante, mi diede la gioia di un ragazzino in vacanza. Venne la notte e non dormii. Mi allontanai dalla grotta e camminai sotto le stelle in pieno deserto. "Dio mio, ti amo; Dio mio, ti amo", gridavo verso il cielo nello straordinario silenzio. Stanco di camminare, mi stesi su una duna di sabbia e immersi gli occhi nella volta stellata. Come mi erano care quelle stelle; e come il deserto me le aveva avvicinate! A forza di passare le notti all'addiaccio, ero stato spinto a saperne il nome, poi a studiarle, a conoscerle ad una ad una. Ora ne distinguevo il colore, la grandezza, la posizione, la bellezza. Sapevo orientarmi su di esse al primo colpo d'occhio; e dalla loro posizione deducevo l'ora senza bisogno di orologio. Ecco la costellazione del Cigno, che sembra in conversazione con Altair, chiara come un brillante. Saetta e il Delfino sembrano ascoltare, chiusi nella loro umile piccolezza. Pegaso sta montando ad oriente col suo quadrato di stelle, mentre Perla scompare ad occidente. Tra poco la rossa Angol mi condurrà l'eleganza di Perseo. Ritorno con gli occhi su Andromeda. Ed è così chiara la notte, che incomincio a scorgere la nebulosa che porta il nome della costellazione. È il corpo celeste più lontano dalla terra, visibile ad occhio nudo: 800 mila anni luce. Tra quella enorme distanza e la più piccola - quattro anni luce di Proxima, che mi apparirà tra due anni nella costellazione del Centauro - ci sono le distanze di tutto questo ammasso di 40 miliardi di stelle a cui ammonta la Galassia alla quale noi - piccolo granello di sabbia chiamato Terra - apparteniamo. E al di là della nebulosa di Andromeda, altri milioni di nebulose e miliardi di stelle che i miei occhi non vedono ma che Dio ha creato. Perché non mi è mai saltato in testa che una pur piccola colonna che regge il cosmo non gravi sulle mie spalle? Ed è forse il cosmo diverso dagli uomini? Ed io l'avevo pensato. È vero che Gesù aveva detto: "Andate e istruite tutte le genti" (Mt 28, 18), ma aveva aggiunto: "senza di me non potete far nulla"(Gv 15, 5). È vero che S. Ignazio aveva detto: "Fate come se tutto dipenda da voi"; ma aveva aggiunto: "però aspettate come se tutto dipenda da Dio". Dio è il creatore del cosmo fisico, come è il creatore del cosmo umano. Dio è il reggitore delle stelle come è il reggitore della Chiesa. E se ha voluto, per amore, rendere gli uomini collaboratori suoi nella salvezza, il limite del loro potere è ben piccolo e determinato: è il limite del filo rispetto alla corrente elettrica. Noi siamo il filo, Dio è la corrente. Tutto il nostro potere sta nel lasciar passare la corrente. È certo: abbiamo il potere di interromperla, abbiamo il potere di dir di no; ma nulla di più. Non l'immagine, quindi, di colonna che sostiene, ma di filo che trasmette un potere. Ma altro è il filo, altro è la corrente; son di natura ben diversa; e il filo non può certo insuperbire, anche se è un filo che trasmette corrente ad alta tensione. Il pensare che le cose del mondo, come quelle degli astri, siano in mano a Dio - quindi in buone mani - , oltre ad essere la pura verità, è cosa che dovrebbe fare immenso piacere a chi ci tiene che le cose vadano bene. Dovrebbe essere fonte di fede serena, di speranza gioiosa e soprattutto di pace profonda. Che cosa posso temere, se il tutto è guidato e sorretto da Dio? Perché agitarmi tanto, come se tutti questi problemi dipendessero da me o dai miai colleghi, gli uomini; e non cercare, invece, di capire che ci sono altre vie più interessanti e più efficaci da battere? Eppure è così difficile credere radicolmente all'azione di Dio nelle cose del mondo! Ed è, penso, la tentazione più frequente e prolungata, a cui siamo sottoposti su questa povera terra. Tutta la Bibbia è là a testimoniare questo dramma; e, in fondo, la storia del popolo eletto non è altro che la storia d'un pugno d'uomini a cui Dio chiede continuamente e in ogni occasione: "Credi in me? Io sono il Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe. Io sono il Dio che con mano forte ti ho tratto dalla schiavitù d'Egitto, t'ho guidato in una terra riarsa, t'ho nutrito di manna dal cielo e t'ho dato a bere l'acqua scaturita dalla roccia. Per te ho colpito i primogeniti d'Egitto, per te ho atterrato re potenti. E che hai fatto per ricompensarmi di questi prodigi, di questa assistenza continua? Ti sei costruito idoli di legno e d'argento e ha abbandonato ma, tuo Dio". "Invece di adorare Colui che ti ha creato e salvato le mille volte dai tuoi nemici, su colli prominenti e in boschi sacri, hai bruciato incensi a dei stranieri; dei che nulla possono, nulla sanno; dei che hanno le mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, e nessun suono esce dalla loro bocca"(Sal 113, 5). Questa è la storia di sempre, storia d'Israele e storia nostra. Anche noi crediamo in Dio; ma poi ci fidiamo dei potenti, crediamo alle loro raccomandazioni e finiamo di pensare che le cose di questo mondo sono salde nelle loro mani e che a loro dobbiamo chiederle. Anche noi crediamo in Dio e lo preghiamo; ma poi ci convinciamo che sono i grandi predicatori a convertire le anime; e riduciamo la nostra preghiera per l'estensione del Regno a un qualche cosa di futile, come la petizione ad un ufficio da cui non speriamo quasi nulla. Così, sotto un cielo strano, in una penombra di fede e di sentimentalismo, in una equidistanza tra Dio e il mondo, trascorre la nostra povera vita religiosa mescolata di preghiere, di contraddizioni e di compromessi. Il pensare che le cose del mondo, come quelle degli astri, siano in mano a Dio - quindi in buone mani - , oltre ad essere la pura verità, è cosa che dovrebbe fare immenso piacere a chi ci tiene che le cose vadano bene. Dovrebbe essere fonte di fede serena, di speranza gioiosa e soprattutto di pace profonda. Che cosa posso temere, se il tutto è guidato e sorretto da Dio? Perché agitarmi tanto, come se tutti questi problemi dipendessero da me o dai miei colleghi, gli uomini; e non cercare, invece, di capire se ci sono altre vie più interessanti e più efficaci da battere? Eppure è così difficile credere radicalmente all'azione di Dio nelle cose del mondo! Ed è, penso, la tentazione più frequente e prolungata, a cui siamo sottoposti su questa povera terra. Tutta la Bibbia è là a testimoniare questo dramma; e, in fondo, la storia del popolo eletto non è altro che la storia d'un pugno di uomini a cui Dio chiede continuamente e in ogni occasione: "Credi in me? Io sono il Dio di Abramo, d'Isacco e di Giacobbe. Io sono il Dio che con mano forte ti ho tratto dalla schiavitù d'Egitto, t'ho guidato in una terra riarsa, t'ho nutrito di manna del cielo e t'ho dato da bere l'acqua scaturita dalla roccia. Per te ho colpito i primogeniti d'Egitto, per te ho atterrato re potenti. E che hai fatto per ricompensarmi di questi prodigi, di questa assistenza continua? Ti sei costruito idoli di legno e d'argento e hai abbandonato me, tuo Dio." "Invece di adorare Colui che ti ha creato e salvato le mille volte dai tuoi nemici, su colli prominenti e in boschi sacri, hai bruciato incensi a dei stranieri; dei che nulla possono, nulla sanno; dei che hanno le mani e non toccano, hanno piedi e non camminano, e nessun suono esce dalla loro bocca." (Sal 113, 5) Questa è la storia di sempre, storia d'Israele e storia nostra. Anche noi crediamo in Dio; ma poi ci fidiamo dei potenti, crediamo alle loro raccomandazioni e finiamo di pensare che le cose di questo mondo sono salde nelle loro mani e che a loro dobbiamo chiederle. Anche noi crediamo in Dio e lo preghiamo; ma poi ci convinciamo che sono i grandi predicatori a convertire le anime; e riduciamo la nostra preghiera per l'estensione del Regno a un qualcosa di futile, come la petizione ad un ufficio da cui non speriamo quasi nulla. Così, sotto un cielo strano, in una penombra irreale di fede e di sentimentalismo, in una equidistanza tra Dio e il mondo, trascorre la nostra povera vita religiosa mescolata di preghiere, di contraddizioni e di compromessi. Dio solo è, Dio solo sa, Dio solo può. Questa è la verità; e la mia fede me la fa scoprire di giorno in giorno più profondamente. Dio solo è reggitore del cosmo, Dio solo sa quando morrò, Dio solo può convertire la Cina. Perchè assumersi responsabilità che non abbiamo, perchè stupirci se l'Islam non ha ancora scoperto il Cristo e se il Buddismo regna senza inquietudini e crisi in milioni di fratelli? Verrà l'ora; ma questa non dipende da me. C'è o non c'è una geografia di Dio, una storia sacra per tutti i popoli, un procedere nel tempo verso una maturità? Abramo non conobbe il Cristo, se non nella speranza della promessa; ma non per questo andò perduto o fu dimenticato dal Padre. Non era giunto il tempo dell'Incarnazione; e se Gesu quando venne, e non prima, ha seguito certamente le indicazioni della Saggezza Eterna. Ci sono i piani di Dio, e questi contano; ci sono i piani umani, e questi non contano, o almeno contanoin rapporto al loro sincronizzarsi con i primi. Ma è Dio che precede, non l'uomo. Maria stessa poteva morire nell'attesa senza vedere il Cristo, se Dio non decideva esser giunta l'ora dell'Incarnazione. Gli uomini di Galilea avrebbero continuato a pescare nel lago e a frequentare la sinagoga di Cafarnao, se non fosse venuto Lui a dire: "Venite". Ecco la verità che dobbiamo imparare nella fede: l'attesa di Dio; e questo non è un piccolo sforzo come atteggiamento dell'anima. Questo "attendere"; questo "non preparare piani"; questo "scrutare il cielo"; questo "far silenzio" è la cosa più interessante che compete a noi. Poi verrà anche "l'ora della chiamata"; l'ora in cui si deve parlare, in cui la mano sarà stanca di battezzare; l'ora della messe, insomma. Ma ciechi, ciechi noi se in tale ora penseremo di essere gli attori di tali meraviglie; la meraviglia, semmai, è che Dio si serva di noi così miserabili e così poveri. Non volevo giungere a questo punto, perchè già sento nell'aria la tristezza di una domanda. E il solo fatto di porre una domanda è un errore o una mancanza di fede. "Pregare o agire? Attendere o partire? Scendere in piazza o entrare in Chiesa?" Ed eccoci da capo; là dove l'uomo trasforma tutto in problematica senza mai saziarsi, tanta è la brama di curiosità più che la buona volontà di realizzare la parola di Dio. Ma oggi non entro più in polemica; non voglio più discutere, non credo più al potere di convincere un uomo con la forza delle parole. Mi taccio sotto queste stelle d'Africa e preferisco adorare il mio Dio e Signore. Ma, cedendo all'insistenza vostra o giovani che mi avete scritto fin quaggiù, dico solo una parola che mi pare esatta e, in più, sofferta. Ricordatevi che al mondo tutto è problema, meno una cosa: la carità, l'amore. L'amore solo non è un problema per chi lo vive. Ebbene vi dico: vivete l'amore, cercate la carità. Essa vi darà la risposta volta per volta a ciò che dovete fare. La carità, che è Dio in noi, vi suggerirà la strada da percorrere; vi dirà: "ora inginocchiati" oppure "ora parti". È la carità che dà valore alle cose, che giustifica "l'inutilità di restare ore e ore in ginocchio a pregare mentre tanti uomini hanno bisogno della mia azione, e la inutilità della mia povera azione dinanzi alla considerazione che la morte distruggerà tutte le civiltà". È la carità che gerarchizza le intenzioni degli uomini e che uniforma ciò che è diviso. La carità è la sintesi della contemplazione e dell'azione, è il punto di sutura tra il cielo e la terra, tra l'uomo e Dio. Ripeto ancora, dopo aver conosciuto l'azione più sfrenata e la gioia della vita contemplativa nel quadro più sfolgorante del deserto, le parole di S. Agostino: "Ama e fa' ciò che vuoi". Non preoccuparti, fratello, di che cosa fare; preoccupati di amare. Non interrogare il Cielo con ripetuti e inutili: "Qual è la mia strada?"; studiati invece di amare. Amando, scoprirai la tua strada; amando ascolterai la Voce; amando, troverai la pace. È l'amore la perfezione della legge e la regola di ogni vita, la soluzione di ogni problema, lo stimolo di ogni santità. "Ama e fa' ciò che vuoi". No; non è più possibile fare ciò che voglio quando amo. Quando amo devo fare la volontà dell'amato. Quando amo sono prigioniero dell'amore; e l'amore è tremendo nelle sue esigenze, specie quando questo amore ha per oggetto Dio e un Dio Crocifisso. Non posso più fare la volontà mia; debbo fare la volontà di Gesù, che è volontà del Padre. E quando avrò imparato a fare questa volontà, avrò realizzato pienamente la mia vocazione sulla terra e raggiunto il grado della mia perfezione. La volontà di Dio: ecco ciò che regge il mondo, ciò che muove gli astri, ciò che converte i popoli, ciò che chiama alla vita e dona la morte. La volontà di Dio ha suscitato Abramo, padre della fede, ha chiamato Mosè, ispirato Davide, preparato Maria, sorretto Giuseppe, incarnato il Cristo e chiesto il suo sacrificio, fondato la Chiesa. E sarà ancora la volontà di Dio a continuare l'opera di redenzione fino alla fine dei tempi. Essa chiamerà i popoli ad entrare ad uno ad uno nel corpo visibile della Chiesa nel momento giusto della loro maturità dopo appartenuto a motivo della loro retta intenzione e volontà "buona" alla sua Anima invisibile. Che tu sia sulla sabbia in ginocchio ad espiare, ad adorare o che tu sia sulla cattedra ad insegnare, che conta se non lo fai nella volontà di Dio? E se la volontà di Dio ti spinge a cercare i poveri o a donare i tuoi averi o a partire per terre lontane, che conta tutto il resto? O se ti chiama a fondare una famiglia, a prendere un impegno nella città terrena, perché dubitare? "In la sua volontade è nostra pace" dice Dante; ed è forse l'espresione più riassuntiva di tutta la nostra dolce dipendenza da Dio.
Carlo Carretto
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