Presentiamo alcuni stralci delle omelie fatte dal Rettor Maggiore Don Pascual Ch√°vez il Giovedì e il Sabato Santo.
del 01 gennaio 2002Dall’Omelia del Giovedì Santo
[…] Servire è un progetto completo di vita che abbraccia la totalità dell'esistenza. Non è una fase della vita, né una funzione. […] Servire è una scuola di vita, qualcosa che bisogna imparare. Ci porta a valorizzare gli altri per quel che sono, per quanto attendono da noi, non per ciò che noi vorremmo che fossero; significa comprendere i ritmi e la storia delle persone cui siamo inviati. […] Servire vuol dire essere responsabile degli altri, superando la tentazione e il peccato di Caino: 'Sono forse io custode di mio fratello?' (Gn 4,9b). Significa non disinteressarsi di ciò che accade a coloro che vivono con noi, a coloro che ci sono stati affidati. […] Servire, pertanto, significa avere più cura delle persone che delle cose o delle strutture. È questa la connotazione che porta in sé la parola 'riscatto': qualcosa che bisogna pagare per liberare un familiare e ridonargli la libertà perduta. […]
Non si può celebrare l'Eucaristia degnamente mentre non c'impegniamo fino in fondo a distruggere tutte le barriere che dividono le nostre famiglie, le nostre comunità, la nostra società, il nostro mondo. […] L'amore cristiano è un'arte che si impara alla scuola di Gesù, al Cenacolo, all'Eucaristia. Esso implica la volontà di:
-Amare tutti, senza procedere in base a simpatie o antipatie, o appartenenze etniche diverse.
-Amare per primi, facendo sempre il primo passo, andando incontro per primi ai più lontani, senza aspettare di essere prima cercati o riveriti, o di farsi cercare.
-Amare come se stessi, secondo la 'regola d'oro del vangelo', che ci invita a trattare gli altri come noi stessi vogliamo essere trattati (cf. Lc 6, 31).
-Amare solidalmente, portando i pesi gli uni degli altri, soffrendo con chi soffre e godendo con chi gode (cf. Gal 6,2; 1 Cor, 12,26).
-Amare anche il nemico, quello che non la pensa come noi e forse anche vuole il nostro male.
-Amare bene, imparando a rinnegare se stessi pur di arrivare all'unità.
Dall’Omelia del Sabato Santo
[…] Gesù con la sua risurrezione rompe il ritmo della vita umana. É normale per noi nascere, vivere, morire ed essere sepolti; ma Dio fa diventare il sepolcro la culla di una vita nuova.
Con la risurrezione è rotto anche il limite imposto all’uomo dal suo peccato: Dio non vuole più punizioni, ma perdono. La capacità di perdonare diverrà, d’ora innanzi, il segno della fede dei discepoli di Gesù nella risurrezione: «Ricevete lo Spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi» (Gv 20,23). […]
È chiaramente un invito alla conversione: siamo chiamati a passare da un rito di imbalsamazione alla missione di annunciare la vita. Abbiamo bisogno di vincere la paura o la incredulità e aprirci alla radicale novità introdotta nella storia da Dio.
Il Dio di Gesù è un Dio che crede nella vita e crea la vita, e dunque i suoi credenti devono credere nella vita e creare vita, lottando contro ogni forma di morte, ad incominciare dall’aborto e passando per ogni volto terribile della morte (fame, terrorismo, guerra, sopruso, stupefacenti…) fino a raggiungere la morte provocata. Risorgere significa insorgere contro ogni volto della morte!
Il Dio di Gesù, quello che egli chiamava con il tenero nome di Abba, è un Dio fedele che non delude la fede e la speranza dei suoi credenti e non li lascia che essi conoscano la corruzione e la morte eterna nella tomba. Perciò i suoi credenti devono resistere alla tentazione di consegnarsi ad altri dèi, che non salvano, anzi, e fidarsi totalmente di lui che non tradisce le aspettative. […]
Gesù, con la sua risurrezione, è stato fatto Cristo e Signore, il che vuol dire che è diventato per noi criterio di vita e misura nostra, perciò dobbiamo seguirlo radicalmente ed imitarlo fedelmente. Tocca a noi, suoi discepoli, essere testimoni credibili ed eloquenti della sua vita nuova.
Redazione GxG
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