L'individuo è ritornato sul proscenio di Ernesto Galli della Loggia

Si è aperto nelle nostre società un grande problema che potremo definire di strutturazione ideologica del singolo. Il singolo è di nuovo al centro della scena, ma è come un vuoto che attende di essere riempito con contenuti ideali coerenti...

L'individuo è ritornato sul proscenio di Ernesto Galli della Loggia

da Quaderni Cannibali

del 02 novembre 2005

 

Basta dare un'occhiata anche distratta agli scaffali di una libreria per accorgersi della moltiplicazione negli ultimi anni dei libri che in un modo o nell'altro manifestano un atteggiamento polemico nei confronti della sfera religiosa e della Chiesa cattolica in particolare. A parte il dato quantitativo, che pure è inedito e rilevante, mi sembra che più inedito e rilevante sia il tono che circola: si pensi a un titolo come Trattato di ateologia di Michel Onfray (Fazi editore) che senza mezzi termini auspica 'una scristianizzazione radicale della società'.

La spiegazione ultima di questo ravvivarsi perlopiù polemico del discorso intorno a temi religiosi e al cattolicesimo, e alla sua Chiesa in specie, è ricavata soprattutto dalla vicenda italiana. Nella rovina della prima Repubblica e dei suoi partiti, nonché nella scomparsa della Democrazia Cristiana, la Chiesa avrebbe visto l'occasione propizia per un proprio impegno diretto, impegno che è cresciuto e che si sarebbe fatto via via più aggressivo in ragione dell'arrendevolezza altrui e dei tempi favorevoli a ricollocare al centro il fatto religioso.

Da qui la sottolineatura da parte del fronte che ostenta l'etichetta 'laico doc' di una sorta di deriva temporalistica della Chiesa, della sua supposta trasformazione in Chiesa 'combattente', in instrumentum regni, e così via seguitando. Un modo di leggere ciò che sta accadendo, questo, che nel nostro paese è consacrato da un'importante tradizione culturale, quale è per l'appunto quella del laicismo. Che a me sembra però una lettura molto limitata e ristretta, la quale non riesce a cogliere i termini più veri della questione, legati, viceversa, alla particolare situazione storica generale che il mondo sta vivendo.

È la situazione caratterizzata dalla fine del XIX secolo, che a dispetto delle apparenze si è avuta solo nel 1991 con la scomparsa dell'Urss. In realtà, infatti, il Novecento non è stato per nulla il secolo breve. Esso ha rappresentato viceversa la lunghissima prosecuzione di quello precedente almeno per un aspetto importantissimo, quello ideologico. L'Otto e il Novecento insieme hanno assistito, infatti, al dominio (fino alla degenerazione) delle ideologie per così dire sociali, cioè di quelle visioni del mondo che assegnavano una centralità assoluta alla dimensione collettiva, deducendo da essa il singolo. L'affermazione combinata della nazione, della grande industria, unitamente a quella della città-metropoli, hanno radicato per due secoli l'idea della preminenza ormai definitiva del sociale. Il liberalismo stesso, pur essendo nato e sviluppatosi in una prospettiva opposta, cioè in quella individuale, è stato spinto dalla pressione delle cose a mutarsi a suo tempo in democrazia: cioè, per l'appunto, ad accettare di muoversi lungo una direttrice non individualistica, per molti aspetti anzi antindividualistica.

Insomma, nel panorama continentale la nazione (in certi casi la razza), la classe, le masse e l'industria sono stati i grandi involucri sovraindividuali che hanno dominato il XIX e XX secolo, conducendo così ad enfatizzare in vario modo il ruolo dello Stato. Nell'Europa continentale anche la democrazia è stata fino ad oggi statalista.

Come non vedere, però, che questo panorama è giunto ad esaurimento già durante gli anni '70-'80 del secolo scorso, ed è stato definitivamente accantonato con la caduta del muro di Berlino? La fine dell'esperienza sovietica, infatti, ha voluto dire il tramonto definitivo delle ideologie di tipo social-collettivista. In generale, esso ha significato un grande passaggio di fase storica caratterizzato che nelle società dell'emisfero settentrionale del pianeta (ma non solo: si pensi al caso emblematico della Cina) dal ritorno in forze di una prospettiva centrata sull'individuo. L'individuo è ritornato sul proscenio: l'individuo con i suoi gusti, le sue idee, i suoi specifici bisogni, tra cui, principale, quello della autodeterminazione, della 'libertà' in tutte le varie accezioni (comprese le più discutibili) in cui questa può essere declinata. Piacciano o meno, le cose sembrano essere andate così, ed è precisamente questo sfondo epocale che spiega anche lo scontro accesosi improvvisamente nelle nostre società - e dunque anche in Italia - intorno al fatto religioso.

La crisi delle ideologie otto-novecentesche incentrate sul sociale non ha certo implicato, infatti, la fine delle ideologie in quanto tali, il venir meno dell'importanza della dimensione dei valori, degli orientamenti ideali, delle visioni del mondo. È accaduto e accade il contrario, anzi. Proprio a causa della fine del vecchio panorama ideologico si è creato un grande vuoto che chiede di essere colmato. Solo che oggi, in armonia con la nuova situazione storica, è soprattutto l'ambito dell'individuo che richiede di essere riempito e strutturato ideologicamente. È la sfera della soggettività, non più occultata dietro lo schermo del sociale, che richiede con urgenza una sorta di inedita Bildung, centrata sì sull'individuo ma diffusa a livello di massa. In seguito al tracollo degli assetti precedenti, insomma, si è aperto nelle nostre società un grande problema che potremo definire di strutturazione ideologica del singolo. Il singolo è di nuovo al centro della scena, ma è come un vuoto che attende di essere riempito con contenuti ideali coerenti con la nuova prospettiva 'meta-sociale'. Accade così che oggi l’individuo si presenti come un campo di battaglia, nel quale si trovano a contendere le uniche due prospettive valoriali, e dunque ideologiche sopravvissute ai tempi e che anzi la fine delle vecchie ideologie ha contribuito a rafforzare: da un lato la religione dall'altro la scienza.

Religione e scienza sembrano essere le sole in grado oggi di incontrarsi con i bisogni profondi della soggettività, di strutturarla valorialmente. Il punto è che, naturalmente, esse lo fanno secondo due prospettive diversissime: la prima, la religione, legando il singolo a qualcosa di saldissimo, di non materiale e di eticamente vincolante, ad una tradizione e insieme ad una escatologia, a fare da snodo tra le quali sta la centralità, direi la fissità, della persona immagine del Dio-uomo. La seconda, invece, la scienza, promettendo al singolo l'ampliamento concreto della sua sfera di autodeterminazione (fin quasi ai limiti della fantascienza), il soddisfacimento potenzialmente illimitato dei suoi desideri indipendentemente da ogni remora rappresentata dal passato o da confini etici invalicabili.

Si disegnano in tal modo due opposti scenari: uno dominato da un'ideologia della persona, l'altro da un'ideologia del progresso; uno scenario che assume la naturalità e in particolare la naturalità umana come qualcosa di dato e di non manipolabile, l'altro scenario, viceversa, che considera la naturalità umana come qualcosa di continuamente articolabile e modificabile in relazione ai mutamenti del progresso scientifico-tecnico.

Nel tramonto delle ideologie sociali otto-novecentesche, le due ideologie  quella della persona e quella del progresso  appaiono, insomma come le uniche capaci di interpretare il senso nuovo dell'epoca, dominata per un verso dalla centralità dell'individuo e per l'altro dall'impeto straordinario della ricerca scientifica in campi totalmente inediti. Non stupisce, naturalmente, che quelle due ideologie trovino la loro rappresentanza elettiva nelle due 'istituzioni' più predisposte storicamente  e vorrei dire vocazionalmente  ad assumere la titolarità delle due prospettive suddette, vale a dire la Chiesa e la scienza.

Ma il cattolicesimo e la Chiesa non coprono affatto l'intero schieramento incline a riconoscersi nella priorità accordata alla persona e alla naturalità, allo stesso identico modo che lo scientismo non può essere certo considerato il comun denominatore obbligato di tutti coloro inclini a riconoscersi nella priorità accordata al progresso. Lo schiacciamento di chiunque, rispettivamente o sulla Chiesa o sullo scientismo - operazione che va per la maggiore sui giornali o nel dibattito politico - è solo frutto di superficialità polemica. Le cose, in realtà, sono ben più complicate e profonde di quello che pensa chi crede di poter ridurre tutto ad 'arroganza della Chiesa', a 'libera Chiesa in libero Stato', o ad altre vetustà politico-culturali del genere. In gioco, se non lo si è capito, è l'orizzonte culturale dei tempi e in fin dei conti l'avvenire di noi tutti: non la riverita memoria del conte di Cavour.

Ernesto Galli della Loggia

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