L'OSPITE D'INVERNO

Il film adora soffermarsi sui sussurri, i sussulti, le pause, i vuoti, gli sguardi, gli smarrimenti e gli evanescenti guizzi d'un racconto impressionista che dà il meglio di sé quando non premedita, quando si lascia andare...

L’OSPITE D’INVERNO

da Quaderni Cannibali

del 25 novembre 2005

Regia: Alan Rickman

Interpreti: Emma Thompson, Phyllida Law, Gary Hollywood

Origine: Gran Bretagna 1997

Durata: 110’

 

In una piccola città sul mare nel nord della Scozia, vive Frances, una fotografa da poco rimasta vedova che non vuole affrontare la nuova difficile situazione. Rifiuta di uscire di casa e lascia che il figlio sedicenne Alex si prenda cura di entrambi. Elspeth, madre di Frances, è però decisa a farla reagire: camminando faticosamente sulla strada ghiacciata e sfidando l’età avanzata, si dirige verso l’abitazione della figlia per riconquistarne l’affetto e la fiducia. Intanto due anziane amiche, Chloe e Lily, cominciano a leggere gli annunci mortuari sui giornali e, dopo aver deciso a quale funerale partecipare, vanno alla fermata ad aspettare l’autobus che le porterà sul posto. Elspeth convince la figlia ad uscire, e, mentre cominciano a passeggiare, Frances annuncia di voler partire per l’Australia per iniziare una nuova vita. Nel frattempo, due adolescenti, Tom e Sam, dopo aver rinunciato ad andare a scuola, arrivano sulla spiaggia per giocare, ma il freddo forte li fa stare seduti a parlare di genitori, famiglia, sesso. Rimasto solo a casa, Alex fa entrare Nita, una ragazza che da tempo lo aveva preso di mira. I due ragazzi, quando sentono crescere un’attrazione reciproca, capiscono che anche per loro sta arrivando il momento delle scelte. Continuando a camminare, Elspeth e Frances incontrano Tom e Sam, fanno amicizia, Frances scatta alcune foto, sembra riprendere fiducia e, quando si allontanano, comunica alla madre di non voler più partire.

 

 

Hanno detto del film

…una lunga passeggiata verso il mare delle due donne, l’incontro con due buffi ragazzini che han marinato la scuola le spinge ad avviare fra loro un dialogo. (…) La thompson e la Law, nel cogliere i mutevolissimi stati d’animo e nel sottolinearli, rivelano un’eccezionale bravura. La cosa buffa è che nella vita sono figlia e madre. Si ha l’impressione che, proprio nella finzione cinematografica, le due donne abbiano cominciato a confidarsi, a capirsi meglio.

                                                                     (Francesco Bolzoni – Avvenire – 09/01/1998)

 

 “(…) il film adora soffermarsi sui sussurri, i sussulti, le pause, i vuoti, gli sguardi, gli smarrimenti e gli evanescenti guizzi d’un racconto impressionista che dà il meglio di sé quando non premedita, quando si lascia andare ad una malinconica, patetica rappresentazione del tempo che fugge verso una tragica, conciliante e irreparabile assuefazione al vivere.”

                                                                     (Fabio Bo, ‘Il Messaggero’, 22 gennaio 1998)

 

“L’interesse del film, e della storia su cui si costruisce, è soprattutto in questo rapporto che Sharman MacDonald, autrice anche della sceneggiatura, ha costruito in modo fine, con molta attenzione per le psicologie, le ellissi, le allusioni, il non detto. (…) Pur indulgendo abbastanza agli schemi del teatro, riesce a dar forza ai personaggi delle due donne con incisività sufficiente, in cornici scozzesi particolarmente pittoresche. (…) A far la forza del film, comunque, bastano i momenti tesi e non di rado incandescenti in cui madre e figlia si fanno in primo piano: anche perché Phillida Law ed Emma Thompson guerreggiano in famiglia per dimostrare chi è più brava mettendo in difficoltà qualsiasi giuria che fosse chiamata a deciderlo”.

                                                                   (Gian Luigi Rondi, ‘Il Tempo’, 8 gennaio 1998)

 

La madre, petulante e inopportuna, vorrebbe aiutare la figlia, lacerata dalla morte del marito, ma non riesce a trovare né i toni né le parole appropriate. Solo nel prevedibile abbraccio finale entrambe comprenderanno il desiderio di prendersi cura l’una dell’altra.

                                                                    (Eliana Elia, Segnocinema 93, sett./ott. 1998)

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