La Bellezza che salva.

La vocazione cristiana consiste, infatti, nel fare della propria vita un'opera d'arte e di portare bellezza (santità) in ogni azione. Nell'amore, cifra sintetica della santità, il vero e il bello fanno uno.

La Bellezza che salva.

 

Parlando delle nuove generazioni molti adulti, oggi, osservano che il loro livello di attenzione si è abbassato, che i ragazzi fanno fatica a concentrarsi, che vivono molte esperienze ma mettono tutto sullo stesso piano. Genitori e adulti notano le difficoltà dei più giovani a durare negli impegni, il predominio dell’indifferenza e della disattenzione, l’eccesso degli stimoli che poi si rovescia nella demotivazione e nella passività.

Gli educatori e gli osservatori dei fatti sociali spesso riportano questi comportamenti alla crisi dell’educazione, al vuoto lasciato dall’evaporazione del codice paterno.

Quando, però, si trattano questi argomenti davanti a un pubblico di adolescenti (assemblee scolastiche, campi scuola, riunioni di oratorio) normalmente i giovani reagiscono con determinazione, rifiutando queste considerazioni. Rispondono piuttosto di non sentirsi capiti e accolti nella loro individualità. Dicono di non essere compresi nella loro originalità e non considerati nella fatica della loro condizione. Pensano di essere solamente etichettati. 

Nella società complessa i luoghi comuni crescono alla pari della standardizzazione dei costumi. Sono, in fondo, scelte «economiche» legate al risparmio. I tempi della vita sono diventati frenetici e lo spazio della comunicazione si è ridotto, la relazione con l’altro deve adattarsi alle esigenze della velocità. L’etichetta che risparmia la fatica del pensiero, la sentenza che scioglie il dubbio, così come il prodotto che stimola l’immaginazione e la moda che colpisce la vista s’impongono con immediatezza. La singolarità della persona, le qualità interiori, le sicurezze affettive non hanno la rapidità della battuta o del comportamento conforme.

La pubblicità, la televisione, il cinema, la stampa popolare favoriscono non soltanto i luoghi comuni ma anche la standardizzazione delle emozioni. Le immagini del corpo bello, desiderabile e seduttivo enfatizzano l’importanza dell’apparenza e del look. Le forme del piacere, i modi del godimento, le regole del soddisfacimento, le pratiche sexy sono rigorosamente «prescritte» e controllate. L’ade­gua­mento non è inteso, però, come imposizione o condizionamento ma come adattamento, liberamente acconsentito.

Quando il valore e l’unicità della persona non affondano le loro radici nella capacità di stabilire relazioni autenticamente interpersonali e di fare comunione con gli altri, il radicamento di sé viene demandato all’esteriorità: il luogo comune, l’immagine, la forza. Il bisogno di riconoscimento comunicativo è soddisfatto nei «valori acquisitivi» (le cose che si comprano, l’etichetta che si acquisisce, il look di cui ci si adorna).

La crisi educativa non è certa estranea alla diffusione dei luoghi comuni e all’omologazione dei costumi e delle emozioni. Nella crisi della famiglia s’instaura un «circolo vizioso» che si alimenta nel tempo: il peggioramento dei legami familiari produce personalità fragili e facilmente condizionabili dalle consolazioni del «fan tutti così» e dalle seduzioni degli acquisti, e subordinati alle regole rigide e impersonali del lavoro. Nello stesso tempo questi stili di vita condizionano e riducono lo spazio educativo delle famiglie e la loro possibilità di formare persone autonome. Le gratificazioni del denaro, della carriera, del guadagno e degli acquisti sicuramente possono distrarre, fino a diventare l’attività principale della vita. Non riescono, certo, a compensare i vuoti affettivi, i sensi di colpa, le frustrazioni, al contrario, diminuiscono nelle persone la disposizione alla condivisione, alla sopportazione e a fare sacrifici per gli altri.

Negli adolescenti lo stimolo all’originalità e all’individuazione è forte ed evidente. Anche quando si conformano alle mode, lo fanno per essere «se stessi». Nessuno, meglio dell’adolescente, sa che per essere qualcuno occorre essere riconosciuto dagli altri. Senza amici non c’è vita. Nello squallore relazionale di oggi, l’attesa di autenticità (essere se stessi in modo vero) può essere considerato un segno dei tempi. Sorretta dalla formidabile propensione e capacità di autoespressione, si sviluppa nei nuovi adolescenti una sensibilità sempre più esplicita al valore della bellezza. In una cultura segnata profondamente dall’immagine, dalla prestazione e dalla competizione, diventa più immediato riferirsi al valore della bellezza, al buon gusto, alla cultura dei valori umani. È bello tutto ciò che conferisce pienezza alle persone e le libera dalla superficialità, dalla tirannia delle etichette e del soggettivismo, rendendole più recettive e meno egoiste. La bellezza, come l’arte, rende unici tutti i suoi prodotti. Valori che oggi non si riescono a proporre come norma etica, sono compresi e accettati quando diventano esperienza di bellezza e di grazia.

Il piacere del bello aggiunge una nuova e diversa esperienza della realtà che non contraddice l’esigenza della verità, ma la trasforma in esperienza umana affidabile. Il godimento della bellezza richiede anche una sua disciplina: regolare gli impulsi attraverso il rispetto per gli altri, sviluppare l’empatia con la comunicazione affettiva, combattere la noia mediante l’intelligenza creativa.

La bellezza si sottrae a tutti i tentativi di definirla, per questo è il medium più adatto per fare segno al mistero e alla trascendenza. Molti oggi non avvertono più il mistero se non attraverso la bellezza, come esperienza che stimola, rasserena, guarisce. La rivelazione di Dio, infatti, esiste solo se diventa esperienza. Nella bellezza il «tutto» (la trascendenza, il completamento, il mistero) si rivela nel frammento (l’esperienza sensibile). Allo stesso modo, la religione, rappresentazione dell’inesprimibile, trascende la sensibilità ma non la abbandona, perché, attraverso di essa, diventa creazione di bellezza: il Tutto (di cui non è dato fare esperienza diretta perché «chi vede Dio muore», dice la Bibbia) si dona nell’esperienza estetica del sacro, così come si esprime nel rito.

La nuova sensibilità all’esperienza emozionale ed estetica dei giovani offre quindi nuove strade all’evangelizzazione. Ogni esperienza di autentica bellezza diventa preziosa, a partire dall’ordine e dal buon gusto degli ambienti che accolgono i ragazzi. Ogni iniziativa che coinvolga la Chiesa, deve lasciare un’eco interiore e contenere un rimando verso ciò che è bello, buono e degno. Non sarebbero consone alla loro natura di segno le proposte religiose che mancassero della cura della forma. La forza dell’ispirazione cristiana non si combina con la mediocrità e la banalità ma richiede l’ambizione e l’orgoglio della precisione, del lavoro ben fatto. Esige anche il discernimento: non tutto ciò che si presenta come religioso è genuino, non tutto ciò che si dice spirituale è cristiano. La vocazione cristiana consiste, infatti, nel fare della propria vita un’opera d’arte e di portare bellezza (santità) in ogni azione. Nell’amore, cifra sintetica della santità, il vero e il bello fanno uno.

 

 

Domenico Craverotesto

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