"Sarò sacerdote. Ma non sacerdote in una basilica. Sarò gesuita perché voglio uscire nei quartieri, nelle villas, per essere con la gente.”
del 21 settembre 2017
"Sarò sacerdote. Ma non sacerdote in una basilica. Sarò gesuita perché voglio uscire nei quartieri, nelle villas, per essere con la gente.”
“Non so che cosa sia successo.” Il giovane Jorge Mario Bergoglio aveva 16 anni, quando nel 1953 ebbe un’esperienza così decisiva da cambiare per sempre la sua vita e che trasmette ai giovani con discrezione e pudore.
Mercoledì 20 settembre 2017, vigilia della festa dell’apostolo ed evangelista Matteo, il Pontefice ha salutato come di consueto i giovani al termine dell’Udienza generale.
“La sua conversione sia di esempio a voi, cari giovani, per vivere la vita con i criteri della fede”, ha esortato papa Bergoglio.
Papa Francesco non ha mai dimenticato la confessione che cambiò la sua vita proprio il giorno della festa di san Matteo, il 21 settembre del 1953, a Buenos Aires. Nato il 17 dicembre del 1936, non aveva ancora compiuto 17 anni.
Austen Ivereigh racconta l’evento nella sua biografia di papa Francesco, “Tempo di misericordia. Vita di Jorge Mario Bergoglio”.
“Dio ‘lo precede’ il 21 settembre 1953 […]. Scendendo a piedi l’Avenida Rivadavia, passa davanti alla basilica San José (de Flores, ndr.) che conosce bene. Sente uno strano bisogno di entrarci. ‘Sono entrato, sentivo che dovevo entrare — queste cose che tu senti in te senza sapere cosa sono’, spiegherà a padre Isasmendi.”
E l’autore cita tutto il passaggio. “Ho guardato, faceva buio, era un mattino di settembre, forse le ore 9, e ho visto un sacerdote che camminava, non lo conoscevo, non faceva parte dei sacerdoti della parrocchia. E si siede in uno dei confessionali, l’ultimo sulla sinistra quando si guarda l’altare. Non so nemmeno cosa sia successo poi. Avevo l’impressione che qualcuno mi aveva spinto ad entrare nel confessionale. Certo, gli ho raccontato delle cose, mi sono confessato… ma non so cosa sia successo.
“Quando ho finito di confessarmi, ho chiesto al sacerdote da dove veniva, perché non lo conoscevo, e mi ha detto: ‘Vengo da Corrientes e vivo qui molto vicino […]. Vengo a celebrare la Messa qui ogni tanto’. Aveva un cancro — la leucemia — ed è morto l’anno successivo.
“Là, ho saputo che sarei diventato sacerdote. Ne ero più che certo. Invece di uscire con gli altri, sono tornato a casa, perché ero sopraffatto. Dopo, ho proseguito i miei studi e tutto il resto, ma sapevo ora dove andavo.”
“In una lettera del 1990, per descrivere l’esperienza, lui spiega come se fosse stato buttato giù dal suo cavallo”, continua Ivereigh.
“Ma a casa, Jorge Mario non ne parla con nessuno per più di un anno. Ha le idee chiare. Si confiderà a Oscar Crespo, del laboratorio chimico dove lavora: ‘Finirò il liceo professionale con voi, ragazzi, ma non sarò chimico. Sarò sacerdote. Ma non sacerdote in una basilica. Sarò gesuita perché voglio uscire nei quartieri, nelle villas, per essere con la gente.”
Già ci sono quindi le parole chiave della missione di Bergoglio: “uscire”, “con la gente”.
Ha raccontato di aver fatto “l’esperienza della misericordia divina” e di sentirsi “chiamato”, allo stesso modo di san Matteo e di sant’Ignazio di Loyola.
Il Vangelo della festa di san Matteo evoca la chiamata di Gesù e il suo sguardo: “In quel tempo, mentre andava via, Gesù, vide un uomo, chiamato Matteo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.” Il Pontefice è affascinato dallo sguardo di Cristo che si posa su Levi, su lui stesso, su ciascuno. Invita spesso a lasciarsi guardare da Cristo, ad agire sotto lo sguardo di Cristo.
Il suo motto episcopale e papale si spiega in questo modo: “Eligendo atque miserando”, l’elezione, la chiamata di Cristo che fa misericordia, perché il suo discepolo faccia altrettanto.
E quando veniva a Roma e viveva presso la “Casa del Clero” in Via della Scrofa, vicino a San Luigi dei Francesi, gli piaceva andare a contemplare il telo del Caravaggio (1571-1610), “La vocazione di san Matteo”, realizzata tra il 1599 e il 1600 per la cappella Contarelli della medesima chiesa, dove è finora conservata. (pdm)
Anita Bourdin
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