Non soltanto san Benedetto: tra i «modelli» dichiarati di Ratzinger c'è anche don Mantiero, umile parroco veneto che all'abbondanza di strumenti per evangelizzare preferiva il «metodo di Abramo». «I convertiti erano e sono sempre una conquista della preghiera e del sacrificio di fedeli ignoti - è una delle frasi di Mantiero-. Cristo guadagnava le anime non con la forza dei suoi meravigliosi discorsi, ma con la sua preghiera ininterrotta».
del 10 settembre 2005
Papa Ratzinger ha un santo in Veneto, anzi ne ha «Dieci». Un 'suggeritore' poco conosciuto con il quale però mantiene consuetudine (anche gastronomica...) da ormai 15 anni, un parroco umile ma così stimato da citarlo frequentemente in libri e discorsi; fors'anche l'ispiratore remoto di una tattica pastorale per la Chiesa intera: «La storia di Abramo ha valore pratico e concreto: il mondo vive dei silenziosi giusti, nei quali splende l'umiltà di Cristo. E dove essa non c'è più, città e Paesi cadono in pezzi e si consumano in una caotica frenesia di distruzione non più domabile». Or è un decennio l'allora cardinale Joseph Ratzinger firmava tali parole a prefazione del libro dedicato dalla storica polacca Ludmila Grygiel a La 'Dieci' di don Didimo Mantiero (San Paolo): racconto dell'avventurosa pretesa con cui un semplice sacerdote veneto prendeva alla lettera la storia del patriarca Abramo (sta nella Genesi) che contratta furbamente con Dio per salvare le città peccatrici Sodoma e Gomorra : «Forse vi sono 50 giusti nella città: davvero li vuoi sopprimere?... Forse là se ne troveranno 40...» e giù al ribasso fino a dieci soltanto. Don Mantiero era parroco nella città del celebre ponte dove - secondo la canzone alpina - «ci darem la mano», Bassano del Grappa, tra il 1953 e il 1979, quando venne costretto dal Parkinson a ritirarsi a vita privata (morirà il 13 giugno 1991, a quasi 89 anni); fu inoltre cappellano partigiano e fondò il «Comune dei Giovani», tuttora attivo anche attraverso una Scuola di cultura cattolica. Soprattutto però il sacerdote ancor giovane, essendo nel 1941 curato di prima nomina nei pressi di Schio, aveva avuto l'intuizione della sua creatura certo più originale, la «Dieci»: «Un'associazione ecclesiale - recita lo statuto - che si propone di unire alcuni fedeli (dieci) nella parrocchia, con il vincolo della preghiera e della penitenza». Il fine era chiaro: «Associare le energie migliori per ottenere dalla divina misericordia la 'salvezza' della ci ttà e della parrocchia». Il mondo non si converte con forze umane, era l'assunto; solo Dio può farlo, se qualcuno glielo chiede incessantemente. Don Mantiero - che di figura assomigliava un po' a don Primo Mazzolari e non voleva che i suoi ragazzi giocassero a calcio esattamente come don Lorenzo Milani - intrattenne stretta confidenza spirituale con don Giovanni Calabria e con il sommo giurista Francesco Carnelutti; don Luigi Giussani ne ha prefato i diari giovanili (pubblicati da Rizzoli tre anni fa) nelle cui prime pagine il protagonista dichiara: «Non volli mai essere un 'uno qualunque'... Volevo fare di me un 'uno'». E, per poter essere quell'«uno», il «doppio» (Didimo significa curiosamente «gemello»), s'inventò appunto «La Dieci». Il cui primo aderente fu Stelvio Vitella, operaio che aveva un passato assai poco santo; ma di quella decina di giovani parecchi ebbero il destino - strano o provvidenziale - di morire in guerra: offrendo appunto la vita in nome del Vangelo. Dell'originale associazione il cardinale Ratzinger conobbe l'esperienza nel 1989, quando fu invitato a Bassano per una conferenza, poi prolungata in una gita in montagna (tuttora i membri della «Scuola» veneta gli inviano a Roma ogni anno le primizie dei locali asparagi...); e nel 1992 i «figli» di don Mantiero assegnarono proprio a lui - primo straniero nell'albo d'oro - il Premio della cultura cattolica che è tra i maggiori riconoscimenti del genere nella Penisola. Ma l'attaccamento dell'ex Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede a quella figura di parroco non appare strumentale, configura anzi un'assonanza spirituale paragonabile a quella (dimostrata fin dal nome) per san Benedetto patriarca del monachesimo. Lo confermano un discorso molto ufficiale del 2000 in cui Ratzinger tornava su «don Didimo, ottimo sacerdote del nostro secolo», nonché un passaggio in un libro del 2002 sulla Comunione nella Chiesa (San Paolo) in cui ancora si ricorda «uno dei più umili e nella sua umiltà più grandi parroci del nostro secolo». C'è da chiedersi piuttosto che cosa, di tale simpatia per la «spiritualità dell'intercessione» o comunque per il modello del giusto che si offre in nome e al posto degli altri, sia rimasto nell'ideale e nella prassi pastorale del timido Pontefice, non a caso definitosi in uno dei primi discorsi un «umile servitore». «L'idea di 'sostituzione' è un dato originale della testimonianza biblica, la cui riscoperta nel mondo attuale può aiutare la cristianità a rinnovare e approfondire in modo decisivo la coscienza che ha di se stessa», scriveva infatti il teologo Ratzinger fin da una voce dell'Enciclopedia della fede uscita in Germania a ridosso del Concilio. E il Papa, pur essendo uomo di cattedra e di curia (anzi, forse proprio per questo), ha sempre voluto sottolineare nel metodo di don Didimo la relatività attribuita agli strumenti umani per l'evangelizzazione: «I convertiti erano e sono sempre una conquista della preghiera e del sacrificio di fedeli ignoti - è una delle frasi di Mantiero citate da Ratzinger -. Cristo guadagnava le anime non con la forza dei suoi meravigliosi discorsi, ma con la sua preghiera ininterrotta». Di suo il teologo ha parafrasato: «Non si possono ricondurre a Dio delle persone vive con la forza della convinzione o con la discussione... Abbiamo bisogno di minore discussione e più preghiera... Tutti i metodi ragionevoli e moralmente accettabili sono da studiare. Ma le parole e tutta l'arte della comunicazione non possono guadagnare la persona umana in quella profondità alla quale deve arrivare il Vangelo». Un «programma-non-programma» niente male, per chi sembrerebbe giocare proprio sulla parola i suoi umani atout - e tuttavia non ha mai nascosto un'attitudine anti-burocratica, anche nella Chiesa. Per la quale, chissà, forse il Papa-professore punterà secco sul metodo «Dieci».
Roberto Beretta
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