Una Chiesa come luogo di scambio e di relazione, dove ognuno mette ciò che può in termini di tempo, competenze, conoscenze, dove nessuno si senta escluso dal partecipare, seppur con piccole forze...
del 23 ottobre 2017
Una Chiesa come luogo di scambio e di relazione, dove ognuno mette ciò che può in termini di tempo, competenze, conoscenze, dove nessuno si senta escluso dal partecipare, seppur con piccole forze...
«Ultreya y Suseya!». Chi ha percorso il Cammino di Santiago di Compostela si ricorderà certamente di queste due strane parole («Vai oltre, vai su»).Sono diventate anche il motto della vita di Cristina De Lillo, e non solo perché anche lei nel 2008 ha fatto il percorso che era dei pellegrini medievali: «La fede è un cammino e la montagna, il pellegrinare, sono immagini che evocano il senso che ha per me il camminare in questo scostante dialogo che ho con Dio, pieno di difetti ma che cerca di avanzare sempre oltre e verso l’alto».
Cristina ha 28 anni e per lei parlare di fede significa presentare la sua parrocchia di San Leone Magno Papa, accanto a piazzale Udine, zona nord-est di Milano. È stato grazie a don Claudio Viviani, allora giovane prete di quell’oratorio in zona Lambrate, se Cristina nella vita ha deciso di fare l’educatrice. Prima per otto anni in oratorio, e poi come scelta professionale. «Grazie a lui sono cresciuta molto, attraverso proposte scomode, sane provocazioni e confronti senza esclusioni di colpi. Della serie: non te le mandava a dire, ti diceva le cose come stavano e sapeva leggerti dentro molto bene».
UN CAMMINO CONDIVISO
La sua vita in comunità è accompagnata da molti compagni di viaggio: i giovani che hanno frequentato la parrocchia di San Leone, il gruppo con cui Cristina ha fatto ritiri itineranti, o con cui nel periodo universitario conviveva per un mese l’anno nella casa del don: «Esperienza molto significativa di equilibrio tra il proprio quotidiano e lo sforzarsi di non dimenticare il noi comunitario».
Una comunità di credenti che le è stata accanto anche nel momento più duro, quando nel 2014 Cristina ha dovuto interrompere il servizio civile con Caritas ambrosiana in Bolivia perché sua madre aveva scoperto di avere un cancro. «Durante l’ultimo mese di vita, nell’estate 2016, le visite alla mamma non sono mai mancate e le preghiere neppure. E questo le ha dato molta gioia. La celebrazione del funerale è stata luminosa e affettuosissima, la chiesa gremita di gente nonostante il periodo estivo».
Un percorso con la fede fatto di momenti in cui Cristina si è lasciata sorreggere dalla comunità e altri di maggiori domande e ricerca continua. «Per me la fede è sempre stata una grande messa in discussione».
Da quell’estate 2016 la vita di Cristina è un po’ cambiata. Oggi la giovane 28enne ha al suo fianco Michele, che ha sposato proprio a settembre 2016 nella parrocchia che ha accompagnato tutto il suo percorso. Il sorriso di don Claudio sempre al loro fianco, mentre li guida in un cammino per coppie sposate e non. «Abbiamo un’idea di famiglia sobria, aperta, ben inserita nel contesto in cui vive». E i due hanno ben chiari anche quali potrebbero essere i primi passi da fare per costruire la loro idea di famiglia: «Prendersi cura del quartiere e della parrocchia, parlare di ambiente, di economia circolare, creare orti condivisi». Vogliono «una Chiesa come luogo di scambio e di relazione, dove ognuno mette ciò che può in termini di tempo, competenze, conoscenze, dove nessuno si senta escluso dal partecipare, seppur con piccole forze».
UNA CHIESA ACCOGLIENTE
Cristina e Michele credono in una comunità che sia accogliente, dove anche i giovani possano «attivarsi per aiutare nell’edificazione della Chiesa». E nell’anno di preparazione al Sinodo dei vescovi, dedicato proprio ai giovani e alla fede, Cristina e Michele tengono ben in mente le parole di Gesù sul giudizio finale («Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto») per ricordare alla comunità cattolica la necessità di riflettere sul tema dell’accoglienza. «Se abbiamo al centro del nostro cuore Gesù, l’incontro con l’altro, il musulmano, lo straniero, il vicino di casa, non può che arricchirci e rafforzare la nostra fede. Non paura, ma speranza».
Accanto al tema dell’accoglienza, l’altro messaggio che la giovane coppia milanese vorrebbe portare ai padri sinodali riguarda la Messa, momento da rendere più partecipato e meno «cerimoniale e austero». «Ci sono tante formule che ripetiamo a macchinetta», racconta con entusiasmo Cristina «e allora perché non dedicare alcune funzioni a spiegare il senso di quelle parole che pronunciamo per inerzia?». L’immaginario della giovane dipinge la Messa come un momento realmente partecipato, dove l’assemblea possa dialogare con il prete per districare la parola di Dio e renderla comprensibile a tutti. «Si potrebbero ridimensionare le formule ridondanti facendo spazio all’assemblea, oppure aiutare i sacerdoti a collegare la Parola con ciò che accade nel mondo, trovando discorsi concreti che aiutino tutti noi a vivere il Vangelo nel quotidiano».
Cosa chiedere ai padri sinodali? Di aiutare la Chiesa a permettere ai giovani di vivere senza ripetitività la propria fede. «Il dialogo con Dio deve dare continui ritorni e rimandi di senso. Altrimenti rischia di diventare una mera competenza oramai acquisita e un po’ stagnante».
Cristina De Lillo
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