La debolezza fa parte della vita e la vita ha sempre delle crepe, è normale...
A volte diamo l’impressione di essere indistruttibili, inaccessibili, imbattibili. Quanto è difficile non mostrare crepe! È molto duro per chi le ha. La vita ha sempre delle crepe, è normale. Siamo fatti di argilla secca e a volte la vita con il suo dolore e il disamore spezza l’argilla che sembrava tanto salda e forte. È curioso, spesso dipingiamo sopra le crepe di modo che nessuno possa vederle.
Mi piacerebbe vestirmi da stalla povera. Mi piacciono i presepi imperfetti. Con la stalla mezza rotta sul sughero che simula la roccia. Mi piacciono i presepi con qualche pecora zoppa, con qualche pastore senza un braccio.
Non importano le imperfezioni, sono le ferite che lascia la vita. Anch’io ho le stesse ferite. Un braccio rotto, una gamba spezzata. Penso che le mie crepe assomiglino al presepe della mia casa. Un presepe povero e imperfetto. Un presepe con il fiume un po’ rovinato.
Non mi fa paura essere imperfetto. Diceva padre Josef Kentenich: “La debolezza conosciuta e riconosciuta del figlio diventa l’onnipotenza del figlio e l’impotenza del Padre”.
Credo che la debolezza faccia parte della vita. Gesù continua a sorridere quando mi vede così spezzato. Così ha fatto la prima volta davanti agli uomini duri che erano arrivati ad adorarlo, così fa oggi davanti a me che arrivo ferito e a cui costa amare come Egli mi ama.
Non so inginocchiarmi bene, perché mi costa farlo. Perché l’umiliazione mi risulta difficile e l’orgoglio prevale.
Ma tremo di emozione vedendo la grotta. Mi rallegra quello sguardo di Maria, il suo sorriso. E taccio davanti alla vita che mi passa davanti agli occhi. Di fronte a un presepe che mi parla della vita.
Mi piacciono i presepi imperfetti, ma spesso mi attira lo splendore della perfezione. L’orgoglio mi gioca un brutto scherzo. Vorrei guardare con misericordia la mia debolezza. Le mie ferite e il mio corpo spezzato. Baciare la mia vita. Mi piacerebbe essere più misericordioso con i feriti del cammino.
Papa Francesco diceva ai sacerdoti: “Il sacerdote, da una parte deve salire sulla torre di vedetta della contemplazione per entrare nel cuore di Dio, dall’altra deve abbassarsi — progredire è abbassarsi nella vita cristiana — deve abbassarsi nel servizio, e lavare, curare e bendare le ferite dei suoi fratelli. Tante ferite mortali e spirituali, che li tengono prostrati fuori dal cammino della vita. Chiediamo al Signore di darci una schiena come la sua, forte per caricarci sopra quanti non hanno speranza, quanti sembrano essersi smarriti, quelli ai quali non si dedica neanche uno sguardo… E, per favore, che ci liberi dallo escalofonismo [rampantismo] nella nostra vita sacerdotale”.
Mi sono piaciute le sue parole. Una schiena forte per caricare i feriti del cammino. Gli imperfetti. Chi carica ed è ferito. Chi guarisce ed è ferito. Chi non cerca incarichi. Chi serve e basta. Chi non cerca di ascendere ma di abbassarsi. Chi non vuole allontanarsi ma avvicinarsi.
È difficile smettere di lavorare tanto, sto bene e non voglio essere disturbato. Sto bene nella mia vita imperfetta.
Forse per questo mi piacciono di più i presepi feriti, spezzati, incompleti. Lì chiunque può entrare. Non macchierà niente, non romperà niente. Non è una casa perfetta in cui bisogna fare attenzione a tutto. La casa di Gesù è una casa spezzata. Lì possono entrare i feriti con le loro ferite, i sofferenti con le loro sofferenze.
Padre Carlos Padilla [Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]
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