All'inizio della Quaresima tre contributi di Eraldo Affinati, Paola Ricci Sindoni, Enzo Bianchi per la formazione. «la Quaresima può essere davvero il tempo propizio che ci riporta, ci fa tornare ‚Äì è il senso primario della conversione ‚Äì all'autenticità di una vita cristiana secondo la volontà di Dio, anche nelle sue espressioni di sobrietà e di ascesi...».
del 02 febbraio 2005
 Affinati: la suprema letizia spunta in fondo al tunnel
 
Il tempo della Quaresima dovrebbe segnalare, nella devozione tradizionale prima ancora che nel calendario liturgico, l’entrata in una galleria buia. Laggiù, in fondo, troveremo la suprema letizia.
Ma nel frattempo siamo chiamati a praticare, anche a tavola, una sottrazione simbolica e lungimirante. Nel nostro mondo questa richiesta spirituale rischia di apparire insostenibile. Forse sarebbe utile poterla integrare con la forza, ancora ammonitrice, del salmo 49, riguardo alla nullità delle ricchezze umane: «L’uomo nella prosperità non comprende, è come gli animali che periscono».
Negli ultimi mesi la tragedia nel Sud-est asiatico ha posto gli occidentali di fronte a un muro cieco. In quella circostanza il benessere delle nazioni pi√π progredite, scoperto nella sua imbarazzante evidenza, ha fatto sentire molti di noi simili alle pecore avviate agli inferi di cui parla il salmista.
Se le Ceneri potessero essere interpretate come occasione per rimettere i piedi a terra, uscendo dall’ebbrezza che la deflagrazione incontrollata del desiderio determina nella maggioranza, la Quaresima assumerebbe un valore aggiuntivo di non trascurabile rilievo. Troppo spesso questa ricorrenza assume invece il carattere della rinuncia programmatica, dell’alibi precettistico, quasi fosse un dovere da assolvere e non piuttosto un’esperienza da vivere.
Ho riflettuto su tutto ciò quando, nei mesi scorsi, vedendo alcuni miei allievi praticare il Ramadan, chiesi loro di spiegarmi le ragioni per cui lo facevano. Più ancora delle risposte erano ammirevoli i comportamenti posti in atto. La serietà di quegli adolescenti, che forse fra qualche tempo perderanno aderendo ai nostri modelli consumistici, mi sembra difficilmente liquidabile, specie se la confronto con l’azione istintiva di molti loro coetanei.
Una volta i devoti destinavano all’elemosina i soldi risparmiati saltando i pasti con il digiuno. Se lo facesse ora una parte de l mondo a vantaggio dell’altra, la Quaresima si trasformerebbe anche nel più grande aiuto umanitario.
 
 Ricci Sindoni: non per ferirsi ma per rompere la scorza 
Considerata tradizionalmente come una pratica ascetica mortificativa, il digiuno è disciplina che accomuna tutte le religioni mondiali, dal buddhismo all’ebraismo, dall’induismo all’islamismo. Nell’orizzonte cristiano il digiuno è sorretto da una densa motivazione teologica: non consiste infatti nell’astensione formale dai cibi, né in una norma morale fine a se stessa, né si esaurisce nel soddisfacimento di una prassi cultuale, ma può diventare un mezzo per esercitare una maggiore vigilanza sui propri desideri, spostando l’attenzione dal centro del proprio sé verso una maggiore apertura all’indigenza degli altri.
È il capitolo 58 di Isaia, dedicato all’uso improprio del digiuno come espressione di volontà narcisistica volta a manifestare una apparente pietà, che ci avvisa sul senso proprio del digiuno, pratica che non va finalizzata all’afflizione del proprio corpo, ma allo spezzare la scorza dura dell’egoismo, per aprirsi, sotto la guida di Dio, ad una rinnovata disciplina della solidarietà e della giustizia.
Gli fa eco, nel Nuovo Testamento, Matteo al capitolo 6 (vv. 1-18), vero e proprio manifesto della spiritualità ebraica, dove il digiuno compone una triade insieme alla preghiera e all’elemosina, e dove l’intervento nuovo del Maestro è rivolto a porre la propria vita sotto la signoria del Padre, neutralizzando tutti quegli elementi negativi che allontanano da questo traguardo.
Il significato del digiuno di Gesù nel deserto è forse la cifra più indicativa del valore del digiuno, che coinvolge l’uomo e il suo progetto di vita nella dialettica di fiducia e sfiducia sulle possibilità del suo essere. «Ogni uomo è Adamo, ogni uomo è Cristo», ricorda sant’Agostino, così che governare i propri desideri, anche quelli della corporeità, vuol dire prendere in mano la propria vita per orientarla dentr o i valori che contano. Digiunare per vigilare su di sé, anche per sfuggire all’opaca corsa al consumismo, per formulare – almeno qualche volta all’anno – un giudizio severo contro gli sprechi, per aprire il cuore ai bisogni dei poveri che hanno fame, e che esigono con lo scandalo della loro presenza gesti di effettiva solidarietà.
 
 
Bianchi: convertirsi, cioè tornare a vivere 
Negli anni dell’immediato post-Concilio, grazie anche alla riscoperta della parola di Dio all’interno delle comunità cristiane e a una ritrovata freschezza del suo impatto nelle vicende quotidiane, si era fatta strada in molti credenti un’attenzione per la predicazione profetica e per la sua pregnanza negli eventi sociali contemporanei. Autenticità e non ipocrisia del culto, diffidenza se non rifiuto nei confronti di pratiche ascetiche di cui si era smarrito il senso profondo e conservata l’esteriorità del rito, attenzione alle cause nascoste più che alle manifestazioni delle situazioni di disagio, predilezione per i poveri e dure invettive verso i ricchi… Oggi il clima è cambiato, e certi toni giudicati «sconvenienti» nel loro richiamo a una radicalità evangelica sembrano confinati a qualche irriducibile nostalgico di una stagione tramontata oppure relegati a lontani orizzonti geografici, ai margini dell’opulento Occidente. Parole come quelle di Isaia – «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?» (Is 58,6) – suonano stonate oggi, eppure restano parola di Dio per noi cristiani, al pari del canto di Maria nel Magnificat che celebra il Signore che «ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote» (Lc 1,52-53). Ora la Quaresima può essere davvero il tempo propizio che ci riporta, ci fa tornare – è il senso primario della conversione – all’autenticità di una vita cristiana secondo la volontà d i Dio, anche nelle sue espressioni di sobrietà e di ascesi. Così il digiuno può assumere di nuovo i suoi connotati più marcatamente biblici e cristiani: non una pur sana disintossicazione dalla bulimia generalizzata, non una semplice pratica per ritrovare il benessere fisico, ma un modo di esprimere con tutte le fibre del nostro essere il fatto che vero nutrimento per noi è ogni parola che esce dalla bocca di Dio, un reimparare la disciplina dell’oralità perché noi siamo ciò di cui ci nutriamo e la nostra bocca parla dalla pienezza del cuore. Un modo, il digiuno, anche di condividere con semplicità e immediatezza i beni di questa terra, dati a noi perché diventino di tutti e non di pochi; un modo di richiamare la nostra vigilanza sul fatto che l’astensione da praticare non è solo e tanto quella da un boccone di cibo, ma dal nutrirsi dell’ingiustizia, dall’ingrassare in potere e ricchezza a spese degli ultimi, dall’ignorare il fratello nel bisogno. Digiuno e astinenza dalle carni significano allora cessare di divorare la carne del povero, lottare perché tutti possano avere del pane, battersi perché malattie devastanti vengano debellate ovunque e non stornate dai nostri Paesi verso altre regioni, come fastidiosi uragani, interrogarsi sulle ingiustizie quotidiane che avvelenano la vita degli uni e consolidano lo star bene degli altri. Oggi, come ai tempi di Isaia e di Amos, è questo il digiuno più difficile da vivere, il più raro da incontrare, ma oggi come allora è l’unico gradito al Signore.
Eraldo Affinati, Paola Ricci Sindoni, Enzo Bianchi
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