Questi sono i nostri preti: gente che vive tutta la vita come servizio...
Una chiesa profanata dalla violenza; un prete ucciso mentre celebra la Messa; fedeli e religiose colpiti... L’abbiamo visto in tutto il mondo, l’abbiano già visto anche in Francia quando frére Roger fu accoltellato a morte durante la preghiera dei vespri a Taizé. Non avremmo mai voluto vederlo ancora, qui, in Europa. Ma è accaduto. È un gesto rivelatore della disumanità dei terroristi e della loro assoluta mancanza di senso religioso, che invece abita in molti musulmani con il rispetto degli «uomini di Dio» e della preghiera. Giovani, folli, ingabbiati nella logica totalitaria dell’odio e nella propaganda del Daesh, hanno compiuto questo atto cruento. Odiosa esibizione di violenza brutale. Espressione di una primordiale volontà di terrorizzare la società francese per farla precipitare in reazioni inconsulte. Saggiamente, il presidente dei vescovi francesi, monsignor Pontier, ha dichiarato che è necessario non cadere nella paura. Saggiamente i vescovi italiani hanno ricordato subito che non ci si può arrendere a «logiche di chiusura o di vendetta». Perché un attacco a una chiesa? Si tratta di una di quelle parrocchie che presidiano la Francia periferica e rurale: una chiesa che ha conosciuto le vicende secolari del cattolicesimo normanno. Oggi la servono un parroco congolese, aiutato da un ottantaquattrenne prete francese, Jacques Hamel, ucciso sull’altare mentre celebrava. Mancano preti in Francia. Ma non c’è una Chiesa morta o agonizzante. Anzi tiene con coraggio e vive la sua missione con l’aiuto di laici e suore. Anche con la dedizione di un prete anziano che aveva celebrato cinquant’anni di sacerdozio nel 2008, ma non si era fermato. Questi sono i nostri preti: gente che vive tutta la vita come servizio, non ben pagati, talvolta soli, ma impregnati di spirito di servizio. Oggi, si deve esprimere rispetto per la Chiesa di Francia che, pur passata tra tante difficoltà, tiene aperte le chiese, predica e celebra con grande dignità e comunicatività evangelica. Perché una chiesa? – è la domanda che ritorna. È un simbolo cristiano. E oggi quella chiesa di Saint Etienne lo è ancora di più, bagnata dal sangue di martiri. Lo è per quella Messa interrotta dalla violenza. Con grande chiarezza, la Chiesa di Francia e quella universale – da Giovanni Paolo II a Francesco – non hanno mai riconosciuto l’esistenza di una guerra di religione tra Occidente (cristiano) e islam. Nel gennaio 2002, dopo gli attentati dell’11 settembre, papa Wojtyla chiamò i leader religiosi a pregare per la pace a Assisi. Prima, volle un giorno di digiuno dei cattolici in coincidenza con la fine del Ramadan. La Chiesa non scende in campo con i populisti contro l’islam. Ieri l’hanno colpita quanti sono imbevuti nell’odio della guerra santa, per trascinarla nello scontro e farla uscire dal suo atteggiamento sapiente e materno. Padre Jacques aveva scritto sul blog parrocchiale a proposito delle vacanze: «Un tempo per essere rispettosi degli altri, chiunque essi siano». E aveva chiesto: «Pregate per coloro che sono più bisognosi, per la pace, per vivere meglio insieme…». Questo è il sentire profondo della Chiesa che, con il suo tessuto umano, favorisce l’incontro, penetra in ambienti difficili, aiuta chi sta male: vivere insieme con l’altro in pace. La Chiesa è uno spazio del gratuito e dell’umano in una società competitiva dove tutto ha un prezzo. Soprattutto uno spazio aperto. La porta aperta delle nostre chiese – quella attraverso cui sono entrati gli assassini di padre Hamel – contrasta con il moltiplicarsi di chiusure, di cancelli, di muri, frutto della paura. Lì, in chiesa, entrano tutti: i poveri, i bisognosi, i cercatori di senso, chi domanda una parola o un gesto di amicizia. In quella chiesa, come in molte altre in Francia e in Europa, è nascosto il segreto di un mondo che non crede ai muri e non cede alla violenza. È una parte del continente che, forse, dà più dà fastidio ai violenti. Una parte dall’apparenza debole (come il vecchio prete), ma molto forte: «Gesù è venuto a farsi vulnerabile», aveva detto padre Jacques l’ultimo Natale. Dopo il suo assassinio gli ha fatto eco monsignor Pontier: «Solo la fraternità, cara al nostro Paese, è la via che conduce a una pace duratura. Costruiamola insieme». Questi gesti di morte chiamano i cristiani a una rinnovata missione in mezzo a tante violenza in Europa. Bisogna avere il sogno di pacificare la società: integrare tanti rimasti ai margini, ostili, inquieti e estranei a un senso di destino comune. È una missione evangelizzante e pacificatrice. Non solo parole d’occasione, ma un’esigenza profonda del tempo, che si fa vocazione per la Chiesa. Va continuata, in mezzo alla gente, la Messa di padre Jacques interrotta dalla violenza.
Andrea Riccardi
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