Intervista al Rettor Maggiore: "credo che oggi siamo una congregazione serena, che può guardare al futuro con speranza"
L’8 dicembre 1844, don Giovanni Bosco, fondatore della Congregazione salesiana, inaugurava nella periferia di Torino un “oratorio” dedicato proprio a san Francesco di Sales. Era il nucleo di quella che è diventata la “cittadella” di Valdocco. Dove “tutto è cominciato”. Qui un gruppo di giornalisti incontra il decimo successore del grande santo dei giovani, don Ángel Fernández Artime, spagnolo delle Asturie, figlio di pescatori. Vengono da Roma grazie all’iniziativa di don Giuseppe Costa, segretario del rettor maggiore e co-portavoce della Congregazione, e sotto la sapiente guida di don Mike Pace visiteranno i luoghi più cari al mondo salesiano, Valdocco appunto con l’annesso Museo Casa don Bosco rinnovato di recente, poi Castelnuovo d’Asti oggi Castelnuovo don Bosco, dove Giovannino venne battezzato nella stessa chiesa dove ricevettero il primo Sacramento anche san Giuseppe Cafasso e il beato Giuseppe Allamano, e quindi il monumentale complesso a Colle don Bosco, edificato dove nacque il santo e dove si sono formate generazioni e generazioni di missionari poi partiti per ogni angolo del mondo.
«In quasi nove anni, gran parte dei quali trascorsi in giro per il mondo, a visitare le missioni, - esordisce don Angel - ho potuto toccare con mano il bene grandissimo che i nostri confratelli fanno, insieme con tutta la Chiesa e con tante persone di buona volontà. Lo dico senza trionfalismi: credo che oggi siamo una congregazione serena, che può guardare al futuro con speranza». Lo confortano alcuni dati. Attualmente sono 14.000 i Salesiani di don Bosco, presenti in 134 Paesi, che presto diventeranno 136. Sono tra i 440 e i 460 i novizi che ogni anno pronunciano la prima Professione, con un rapporto «molto buono» di un giovane in formazione ogni 4,2 salesiani. Don Angel parla della presenza della Congregazione in Ucraina sia nella comunità di rito latino che in quella di rito greco-cattolico. In quest’anno di guerra, racconta, «i nostri confratelli in Ucraina sono molto coraggiosi, alcuni di loro sono sempre alle frontiere e in prima linea, per portare medicinali e aiuti. Non abbiamo perso nessun salesiano, ma la realtà è durissima. A novembre ho potuto visionare le foto della prima linea di guerra: non posso immaginare come nel XXI secolo si possa causare tanto danno umano».
Il rettor maggiore fa cenno anche alla presenza, discreta, nella Cina continentale dove vi sono «alcuni salesiani», conosciuti come tali dalle autorità, che svolgono una attività professionale. «Ad esempio – specifica - abbiamo un italiano che da anni lavora con i lebbrosi e un eccellente professore di lettere classiche che vive in un campus universitario». Durante l’incontro c’è spazio anche per particolarmente temi delicati, come il triste fenomeno degli abusi sui minori. Don Angel è chiaro e netto: «per noi che abbiamo promesso a Dio e pubblicamente di consegnare la nostra vita per il bene dei ragazzi, anche soltanto un caso di abuso è terribile. Per quanto riguarda noi salesiani, qualunque caso che ci arriva non lo lasciamo dormire: si fa subito un processo sul posto in cui è accaduto per chiarire. Poi si presenta il caso alle autorità di Roma». Detto questo il rettor maggiore aggiunge: «È importante assicurare la giustizia per le vittime, ma se una persona è innocente gettarlo in pasto al pubblico è radicalmente ingiusto, perché la sua reputazione non sarà più come prima. Noi crediamo tantissimo nella giustizia riparativa: bisogna incontrare le vittime, vedere i loro bisogni e qual è la loro richieste di giustizia».
Interpellato su quelle che papa Francesco definisce le “colonizzazione ideologiche” e sul tema del “gender”, il Rettor Maggiore dei Salesiani ha ricordato che «la cosa più importante è il rispetto della persona. Non si possono trattare questi temi così delicati in un modo superficiale. La persona è la realtà più sacra che abbiamo: la Chiesa deve essere capace di misericordia, di ascolto, di accoglienza, di comprensione, il che non significa benedire o giustificare tutto».
Riguardo alla questione di come trasmettere la fede alle giovani generazioni, don Angel osserva: «Rispetto al tempo di don Bosco, tutto è cambiato, ma, nello stesso tempo, nulla è cambiato». Dunque, anche in una società profondamente diversa sa quella di metà Ottocento, «non muta il nostro centro: una fede vissuta nella trasparenza, con declinazioni che, naturalmente, mutano da realtà a realtà». Senza cadere nel proselitismo, d’altronde impossibile in realtà come i Paesi musulmani e induisti, ma senza rinunciare a proporre la propria testimonianza di fede.
«L’importante – rimarca - è che non ci vergognamo di fare proposte. Poi ciascuno, secondo la propria libertà e interesse, sceglie. Quando questo accade, a me dà tanta tranquillità». Infine don Angel sottolinea che il lavoro dei salesiani si svolge non solo nel classico oratorio ma anche con altre modalità, determinate dalla realtà. Con i centri giovanili e con le scuole, con le case per i ragazzi di strada e per le ragazze sfruttate sessualmente, nelle 2800 parrocchie affidate alla Congregazione, in 92 istituzioni universitarie. E anche, ci tiene a sottolinearlo, nei campi profughi come quelli di Kakuma in Kenya, di Palabek in Uganda e di Juba in Sud Sudan: «Lavoriamo per la formazione professionale dei giovani, perché non rimangano lì ma imparino un mestiere e appena possibile possano lasciare quei campi».
Tratto da: www.avvenire.it
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