La certezza nella Provvidenza di Dio spiegava il mio inossidabile ottimismo. Era una delle tante lezioni di vita che avevo imparato da mia madre. La gioia è il mio più simpatico e concreto biglietto da visita. Li aspettavo i miei ragazzi la domenica mattina a Valdocco; era per me una festa...
La pedagogia della bontà
«Sono conosciuto in tutto il mondo come un santo che ha seminato a piene mani tanta gioia. Ti sto parlando della vera gioia, quella che nasce dal cuore di chi si lascia guidare dal Signore. La risata fragorosa, lo schiamazzo inopportuno sono di un momento; la gioia di cui ti parlo vien da dentro, e rimane perché viene da Gesù quando è accolto senza riserve. Ero solito affermare: “Sta’ allegro la tua allegria sia quella di una coscienza monda dal peccato”. E perché i miei ragazzi ne fossero intimamente persuasi aggiungevo: “Se volete che la vostra vita si allegra e tranquilla, dovete procurare di starvene in grazia di Dio, poiché il cuore del giovane che è in peccato è come il mare in continua agitazione”. Insistevo: “Io non voglio altro dai giovani se non che si facciano buoni e che siano sempre allegri”. Tu lo sai: sono vissuto in tempi difficili e ricchi di forti turbolenze. Dicevo: “I nostri tempi sono difficili? Furono sempre così, ma Dio non mancò mai del suo aiuto”.
La certezza nella Provvidenza di Dio spiegava il mio inossidabile ottimismo. Era una delle tante lezioni di vita che avevo imparato da mia madre. La gioia è il mio più simpatico e concreto biglietto da visita. Li aspettavo i miei ragazzi la domenica mattina a Valdocco; era per me una festa... Venivano – è vero – per i giochi, per il pezzo di pane e la fetta di salame, per passare una giornata diversa, ma soprattutto, e io lo sapevo, arrivavano perché c’era un prete che li amava e che sapeva spendere ore e ore per farli felici... Qualcuno, a volte, mi presenta come l’eterno saltimbanco dei Becchi e pensa di farmi un grosso favore. Ma è un’immagine molto riduttiva del mio ideale. I giochi, le passeggiate, la banda musicale, le rappresentazioni teatrali, le feste, erano un mezzo, non un fine. Io avevo in mente ciò che apertamente scrivevo ai miei ragazzi: “Un so lo è il mio desiderio: quello di vedervi felici nel tempo e nell’eternità”.
Avevo un sogno
A questo punto capirai perché a quel meraviglioso ragazzino che è Domenico Savio io abbia indicato l’allegria come un cammino di autentica santità. E lui l’aveva capito, quando spiegava ad un compagno che era appena giunto a Valdocco e si trovava completamente spaesato: “Sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello stare molto allegri. Procuriamo soltanto di evitare il peccato, come un grande nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, e di adempiere esattamente i nostri doveri”. Per me la gioia era un elemento inseparabile dallo studio, dal lavoro e dalla preghiera...
Quando iniziai a Valdocco, avevo un sogno nel cuore: creare un clima di famiglia per tanti giovani che erano lontani da casa per lavoro o che forse non avevano mai assaporato un gesto di vero affetto. Questo clima di famiglia faceva superare tante strettezze della povertà e ridonava tanta serenità ai cuori. So che un ragazzo di quei tempi, divenuto poi un ottimo prete della Chiesa di Torino, ricordando quegli anni “eroici” li descriveva così: “pensando a come si mangiava e come si dormiva adesso ci meravigliamo d’aver potuto superare senza lamentarci. Ma eravamo felici, vivevamo di affetto”. I giovani avevano bisogno di capire che per me l’allegria era una cosa tremendamente seria! Che il cortile era la mia biblioteca, la mia cattedra dove ero al tempo stesso insegnante e allievo. Che la gioia è legge fondamentale della giovinezza...
Mostravo ai ragazzi che “il servire a Dio può andare bellamente unito all’onesta allegria”. Nel 1847 stampai per loro un libro di formazione cristiana, Il Giovane Provveduto. L’avevo scritto rubando tante ore al sonno. Le prime parole che i miei ragazzi leggevano erano queste: “Il primo e principale inganno con cui il demonio suole allontanare i giovani dalla virtù è far loro venire in mente che servire il Signore consiste in una vita melanconica e lontana da ogni divertimento e piacere. Non è così, cari giovani. Io voglio insegnarvi un metodo di vita cristiana, che vi possa nel tempo stesso rendere allegri e contenti, additandovi quali siano i veri divertimenti e i veri piaceri… Tale appunto è lo scopo di questo libretto, servire il Signore e stare allegri”.
Un santo triste non convince
L’esperienza mi aveva convinto che “un santo triste è un santo che non affascina, che non convince”. Io parlavo di gioia non di incoscienza o superficialità. La gioia, per me, sfociava dritta dritta nell’ottimismo, nella fiducia amorosa e filiale in un Dio provvidente; era una risposta concreta all’amore con cui Dio ci circonda e ci abbraccia; era anche risultato dell’accettazione coraggiosa delle dure esigenze della vita. Io lo dicevo con una immagine: “per cogliere le rose, si sa, s’incontrano le spine; ma con le spine c’è sempre la rosa”. I miei ragazzi li volevo costruttori di speranza. Missionari di altri giovani mediante l’apostolato dell’allegria. Un apostolato che contagia.
Insistevo: “Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto”. E con questa semplice espressione, raccolta spesso dalle labbra di mia madre, indicavo una prospettiva che andava al di là delle fragilità e delle contingenze umane; aprivo uno spiraglio di futuro, di eternità, insegnavo che “le spine della vita saranno fiori per l’eternità”.
Concludeva il Rettor Maggiore, ritornando nella veste di Superiore della Famiglia Salesiana: “Ecco, cari fratelli e sorelle, quanto mi stava a cuore condividere con voi oggi per stimolare il vostro impegno e dedizione a contemplare Don Bosco educatore e ad offrire ai giovani il Vangelo della Gioia attraverso la Pedagogia della Bontà”. Un invito che vale per tutti coloro che opera in ambito educativo: genitori, insegnanti, catechisti, animatori, giovani e adulti.
Don Emilio Zeni
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