Se la preghiera è il colloquio fra Dio e l'uomo, fatto, di ascolto della Parola divina contenuta nelle Scritture e di risposta umana, essa allora è la via che apre l'uomo alla dimensione della comunione, con Dio e con gli altri uomini.
del 01 gennaio 2002
«L’opera più difficile è la preghiera.» Quanti giovani monaci si sono sentiti dare questa risposta dall’anziano, dall’abba da loro interrogato. E la difficoltà resta nel tempo pur assumendo sfumature differenti. Ogni generazione, e ogni uomo in ogni generazione, ha il compito di raccogliere l’eredità di preghiera che gli viene consegnata e la responsabilità di ridefinirla. E di ridefinirla vivendola! Oggi è difficilmente comprensibile quella definizione della preghiera come «elevazione dell’anima a Dio» che ha traversato tanto l’Oriente quanto l’Occidente. Dopo Auschwitz è stato posto l’interrogativo circa la possibilità stessa della preghiera. Ma io penso che la risposta non debba limitarsi a rimpiazzare il titolo di «Onnipotente» dato da sempre a Dio con quello di «Impotente» (vi è chi parla dell’«onnidebolezza» di Dio). Mi sembra che così si resti sempre all’interno di una logica di teodicea. Invece, prendendo sul serio il fatto che molti anche ad Auschwitz, come in tanti altri inferni terreni, sono morti pregando, penso che si possa comprendere la preghiera come cammino del credente verso il suo Dio. O meglio, come coscienza di tale cammino. La preghiera cristiana appare così come lo spazio di purificazione delle immagini di Dio. Dunque come la faticosa e quotidiana lotta per uscire dalle immagini manufatte del divino per andare verso il Dio rivelato nel Cristo crocifisso e risorto, vera immagine di Dio consegnata all’umanità.
Se la preghiera è il colloquio fra Dio e l’uomo, fatto, di ascolto della Parola divina contenuta nelle Scritture e di risposta umana (risposta che implica anche responsabilità), essa allora è la via che apre l’uomo alla dimensione della comunione, con Dio e con gli altri uomini. Così essa diviene adattamento dell’uomo all’ambiente divino, vita davanti a Dio e con Dio, relazione con Dio. Nella preghiera il cuore, cioè il centro della persona, si concentra su Colui che gli parla, che lo chiama, e così si decentra da sé entrando nel movimento dell’«estasi», dell’uscita da sé per conoscere e incontrare il Signore. Così avviene la preghiera: come costante e interminabile itinerario del credente verso il suo Dio, un Dio la cui conoscenza non è mai già data, ma sempre «diviene» in una storia, in una vita. E non è neppure mai pienamente realizzata: la preghiera infatti è ricerca del volto di Dio, ricerca incessante e ostinata da parte di colui che è stato vinto da una Presenza, anche se forse questi non saprà mai pienamente render ragione, tradurre verbalmente l’esperienza ineffabile che ha vissuto, che l’ha segnato e che ha fatto di lui un credente.
La preghiera allora è la coscienza della vita cristiana come cammino verso Dio. Un Dio che è invisibile e silenzioso, ma la cui invisibilità e il cui silenzio sono quelli del Padre: non è l’assente, ma il Presente che cela la sua presenza dietro al silenzio e al nascondimento, è il Padre che, grazie al suo ritiro e al suo silenzio fa della sua presenza un appello, una chiamata, una vocazione. E così la preghiera, forma di comunicazione con Colui che non si vede e che resta nel silenzio, può rispondere a tale appello liberando la libertà dell’uomo, la sua espressione, portando l’orante alla conoscenza di sé mentre lo guida alla ricerca di Dio. La preghiera dell’uomo a Dio è la risposta alla preghiera che Dio rivolge all’uomo. In questo dialogo entra tutto l’uomo: l’uomo è attesa, domanda, desiderio, relazione... e la preghiera conosce le sue molteplici modulazioni: ringraziamento, invocazione, intercessione, richiesta...
«Norma» della preghiera cristiana è la preghiera di Gesù, il Figlio di Dio: la sua preghiera conosce anche il non-esaudimento nel momento cruciale del Getsemani, quando Gesù chiede al Padre che «passi da lui quell’ora» tragica, che gli possa essere risparmiato il calice dell’amarezza, ma tutto rimette al compimento della volontà di Dio, non della sua. La preghiera non è la sublimazione del desiderio umano, la richiesta che Dio compia la nostra volontà, ma il cammino attraverso il quale avviene il riconoscimento e l’accettazione della volontà di Dio. Avviene cioè la sempre migliore conoscenza di Dio e il conseguente adeguamento della relazione a tale conoscenza. L’esperienza mostra che la preghiera muta, in una stessa persona, con il trascorrere degli anni. Solo così essa è reale relazione con Dio, relazione che resta viva, che non si atrofizza. Fine di tale cammino e di tale relazione è la conformazione di una vita all’immagine di Dio che è Gesù il Cristo.
Enzo Bianchi
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