La prima Comunione e l'incontro con Calosso

Io mi reputava felice di essere giunto al compimento dei miei desideri quando una tribolazione, anzi un grave infortunio troncò il filo delle mie speranze... Una mattina... una persona correndo ansante mi accenna di correre immediatamente da Don Calosso, colpito da grave malore e dimandava di me...

La prima Comunione e l'incontro con Calosso

 

La Prima Comunione

          «Io ero all’età di anni undici quando fui ammesso alla Prima Comunione. Sapeva tutto il piccolo catechismo... Io poi per la lontananza dalla chiesa ero sconosciuto al parroco e doveva quasi esclusivamente limitarmi alla istruzione religiosa della buona genitrice… Lungo la Quaresima mi inviò ogni giorno al catechismo. Di poi fui esaminato, promosso e si era fissato il giorno in cui tutti i fanciulli dovevano fare Pasqua… Quel mattino non mi lasciò parlare con nissuno, mi accompagnò alla Sacra Mensa e fece meco la preparazione e il ringraziamento… In quella giornata non volle che mi occupassi in alcun lavoro materiale, ma mi adoperassi a leggere e a pregare. Fra le molte cose mia madre mi ripeté più volte queste parole: “O caro figlio, fu questo per te un gran giorno. Sono persuasa che Dio abbia veramente preso possesso del tuo cuore. Ora promettigli di fare quanto puoi per conservarti buono sino alla fine della vita. Per l’avvenire va sovente a comunicarti... Di’ sempre tutto in confessione, sii sempre ubbidiente, vai volentieri al catechismo, ma per amore del Signore fuggi come la peste coloro che fanno cattivi discorsi”. Mi pare che da quel giorno vi sia stato qualche miglioramento nella mia vita, specialmente nella obbedienza, al che provava sempre grande ripugnanza». 

 

 

L’incontro con Don Calosso

          «In quell’anno (1826) una solenne missione che ebbe luogo nel paese di Buttigliera, mi porse opportunità di ascoltare parecchie prediche… Una di quelle sere di aprile mi recai a casa in mezzo alla moltitudine e tra noi eravi un certo Don Calosso di Chieri, uomo assai pio… era cappellano a Morialdo (a cui apparteneva la borgata dei Becchi n.d.r.). Il vedere un fanciullo di piccola statura, col capo scoperto, capelli ritti ed inanellati, camminare in gran silenzio in mezzo agli altri, trasse sopra di me il suo sguardo e prese a parlarmi così: “Figlio mio, donde vieni? Sei forse andato anche tu alla missione?... Cosa avrai mai potuto capire? Forse tua mamma ti avrebbe fatta qualche predica più opportuna, non è vero?» Giovannino rispose: «È vero, mia madre mi fa sovente delle buone prediche; ma vado anche assai volentieri ad ascoltare quelle dei missionari e mi sembra di averle capite…». Scorre così tra Giovannino e il buon sacerdote un dialogo amichevole e sincero nel quale l’uno dimostra una straordinaria capacità di intendere e di ricordare, l’altro ne rimane talmente ammirato che, conosciute le sue intenzioni di studiare e di farsi sacerdote, non ostante le difficoltà che incontra con il fratello Antonio gli dice: «Sta di buon animo; io penserò a te e al tuo studio». Don Calosso si prese cura dei suoi studi dandogli lezione ogni giorno, lasciandogli anche il tempo di dedicarsi al lavoro della campagna come voleva il fratello maggiore. Tuttavia, qualche dissidio con il fratello Antonio, Giovannino lo dovette ancora affrontare. Racconta: «Un giorno con mia madre e con mio fratello Giuseppe in tono imperativo disse: “Voglio finirla con questa grammatica. Io sono venuto grande e grosso e non ho veduto questi libri”». Giovannino reagì. Scrive: «Dominato in quel momento dalla afflizione e dalla rabbia risposi come non avrei dovuto: “Non sai che il nostro asino è più grosso di te e non andò mai a scuola? Vuoi tu venire come lui?”» Don Bosco conclude che solo grazie alla agilità delle sue gambe poté scampare da «una pioggia di busse». Si mise comunque con grande gioia, d’accordo con la mamma, nelle mani di Don Calosso. Scrive: «Gli feci conoscere tutto di me stesso, ogni parola, ogni pensiero, ogni azione eragli prontamente manifestata. Conobbi allora che voglia dire avere una guida stabile, di un fedele amico dell’anima, di cui fino a quel tempo era stato privo… Niuno può immaginare la grande mia contentezza...».

  

 

Fine di una speranza

          Racconta Don Bosco: «Io mi reputava felice di essere giunto al compimento dei miei desideri quando una tribolazione, anzi un grave infortunio troncò il filo delle mie speranze… Una mattina… una persona correndo ansante mi accenna di correre immediatamente da Don Calosso, colpito da grave malore e dimandava di me. Non corsi, ma volai accanto al mio benefattore assalito da un colpo apoplettico. Mi conobbe, voleva parlare, ma non poteva più articolare parola. Mi diede la chiave del denaro, facendo segno di non darla ad alcuno. Ma dopo due giorni di agonia il povero Don Calosso mandava l’anima in seno al Creatore. Con lui moriva ogni mia speranza. Vennero gli eredi – conclude Don Bosco – e loro consegnai chiave ed ogni altra cosa…». La morte di Don Calosso segnò profondamente l’animo di Giovannino. «Fu per me un disastro irreparabile. Io piangeva inconsolabile il benefattore defunto... Mia madre, temendo la mia sanità, mandommi alcun tempo con mio nonno in Capriglio…». A ridargli un po’ di serenità sarà un sogno che farà a breve e nel quale viene «acremente biasimato per aver riposto la sua speranza negli uomini e non nella bontà del Padre celeste…».

 

 

C’è tempo per tutto, per andare in chiesa e per divertirsi

          Racconta Don Bosco: «In quell’anno la Divina Provvidenza mi fece incontrare un novello benefattore… Era la festa della Maternità di Maria Santissima, solennità principale per gli abitanti di Morialdo… con le solite iniziative delle sagre paesane, spettacoli e giochi a cui tutti partecipavano». Continua: «Uno solo io vidi lungi da ogni spettacolo, ed era un chierico, piccolo nella statura, occhi scintillanti, aria affabile, volto angelico… Era appoggiato alla porta della chiesa. Mi avvicinai e gli indirizzai queste parole: “Signor abate, desiderate vedere qualche spettacolo della nostra festa? Io vi condurrò di buon grado ove desiderate…”. Egli prese a interrogarmi sulla mia età, sugli studi, ove andavo al catechismo e simili. Io rimasi come incantato a quelle edificanti maniere di parlare. Risposi volentieri ad ogni domanda; di poi ripetei l’offerta di accompagnarlo a visitare qualche spettacolo… “Mio caro amico, egli ripigliò, gli spettacoli dei preti sono le funzioni di chiesa… Le nostre novità sono le pratiche di religione che sono sempre nuove…; io attendo solo che si apra la chiesa per poter entrare…”. Soggiunsi: “È vero quanto mi dice, ma vi è tempo per tutto: tempo di andare in chiesa e tempo per ricrearci”. Egli si pose a ridere e concluse con queste memorande parole: “Colui che abbraccia lo stato ecclesiastico si vende al Signore, e di quanto avvi nel mondo, nulla deve stargli a cuore se non quello che può tornare a maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime”». Don Bosco, nella sue Memorie ci tiene a dire che lo impressionò talmente che volle informarsi chi veramente fosse e venne a sapere che era Giuseppe Cafasso, di Castelnuovo d’Asti, studente di teologia, di cui più volte aveva sentito parlare come un modello di virtù… Don Bosco non lo dimenticherà mai più. Divenuto sacerdote si affidò a lui come confessore e guida spirituale. Sarà proprio Don Cafasso (oggi San Giuseppe Cafasso) a indicargli con determinazione il campo della sua missione: i giovani.

 

 

Don Emilio Zeni

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