La primavera la si può accogliere mettendosi in difensiva oppure le si può dare il benvenuto mettendosi sull'offensiva. C'è una terza possibilità, quella più audace: accoglierla prendendo l'iniziativa, uscendo, seminando, investendo...
Tra tutte le stagioni, è quella che sovente s'abbina con ciò che rinasce: col ciliegio che torna a germogliare, con la terra che torna ad esser seminata, col primo sole che solitamente l'accompagna. In ogni primavera giace il preludio di un desiderio: “Chi non aspira alle gioie dell'amore e a grandi cose, quando nell'occhio del cielo e nel seno della terra ritorna la primavera?” (F. Holderlin). Somigliano i nostri paesi – in questa settimana ch'è stata anticipo e preludio di primavera - ad una donna colta nell'attimo del suo risveglio: l'ortolano che s'inginocchia a piantare le prima verdure, il giardiniere tutto preso dal sistemare i giardini e le aiuole, le buone donne indaffarate a fare le prime pulizie. Eppoi il cambio di vestiti, le prime passeggiate sull'argine, i primi timidi approcci con una nuova stagione che, volente o nolente, ci coglie sempre impreparati. In ritardo.
La primavera vien dopo l'inverno, e questo è cagione di gaudio. Le nevicate abbondanti non hanno arrecato alle margherite la perdita della memoria: da qualche giorno son tornate a colorare i prati e a far nascere amori. Nemmeno i giorni della merla alla fine hanno vinto: le volpi son uscite dalle loro tane e i cervi hanno ritrovato la via del bosco, che per loro è la strada di casa. Il ritorno della primavera – chissà per quale strana peripezia della memoria e del cuore – è sempre un ritrovarsi che profuma di benvenuto: il rivedere la vita ch'è riuscita a reggere sotto il peso di un'apparente morte. Che, in realtà, si mostrerà come il tempo necessario per poter poi portare frutto più copiosamente. Dopo l'inverno, ma anche prima dell'estate: in primavera si mettono le sementi e d'estate si coglie il grano; a marzo s'impiantano le verdure, a giugno si deliziano i palati; all'inizio d'aprile ci si mette di buona lena, in pieno agosto si farà sfoggio di un fisico asciutto. Ch'è come dare alla primavera il gusto d'essere un quasi anticipo d'estate. Di pienezza, di vitalità, di raccolti.
La primavera è il sinonimo della bellezza e la bellezza è la più alta forma del genio: non necessita di spiegazioni. Forse per questo han familiarizzato meglio con lei i pittori dei narratori, gli artisti più che i manovali, gli uomini estrosi piuttosto che gli abitudinari. Della primavera, poi, si parla volentieri anche in maniera simbolica, tant'è immensa la sua leggiadria: la primavera dello spirito, la primavera delle idee, la primavera di una squadra, la primavera della storia. La primavera di un amore, ch'è sempre la più ardita: quella che potrebbe far nascere una splendida storia d'amore. Con i suoi annessi e connessi: accade spesso che certi alberi germoglino improvvisi e poi si brucino al colpo di coda dell'inverno. Certi altri, invece, attendono qualche attimo in più per uscire dal letargo e fioriscono forti, belli, luminosi. Ad ogni primavera l'inverno chiede l'accredito di qualche morte per cedere le armi; ad ogni storia di quaggiù la miseria chiede lo scotto di qualche défaillance per permettere di diventare uomini. Per aprire il sipario sulla vita vera.
La primavera la si può accogliere mettendosi in difensiva: “attendiamo qualche giorno, che non ritorni l'inverno”. Oppure le si può dare il benvenuto mettendosi sull'offensiva: “mica sarà primavera questo sole di marzo, vero?” C'è una terza possibilità, quella più audace: accoglierla prendendo l'iniziativa: uscendo, seminando, investendo. Mettendoci la faccia di persona. Della primavera si parla anche nella Chiesa: per dipingere una profezia, per tracciare un sentiero, per aprire una finestra. Anche tra uomini di chiesa c'è chi ama stare sulla difensiva e chi, fiacco d'animo, s'avvale dell'offensiva. Francesco, l'ultimo arrivato, ha giocato d'arditezza: tra la difensiva e l'offensiva, ha preso l'iniziativa. Per spandere nell'aria profumo di Vangelo, ch'è la primavera della Chiesa.
don Marco Pozza
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