Il tema è l'episodio della Visitazione di Maria a Elisabetta. Emerge lo stile di una 'missione' che rispetta l'altro riconoscendolo come già illuminato, investito dallo Spirito e, come tale, capace di riconoscere i segni della presenza di Cristo in chi si fa prossimo per offrirgli ogni gesto possibile di solidarietà umana...
Negli scritti di frère Christian, il priore di Tibhirine, rapito e poi ucciso assieme a sei suoi confratelli nella primavera del 1996, c’è un tema che ritorna a più riprese e che ci offre una chiave di lettura preziosissima per cogliere quanto il messaggio di quella piccola comunità trappista presente al cuore dell’islam algerino possa ancora oggi costituire una memoria evangelica per tutta la Chiesa, anche quella inserita, come in Europa, in contesti sociali ormai postcristiani.
Questo tema è l’episodio della Visitazione di Maria a Elisabetta.
Così frère Christian scriveva nel 1977: «In questi ultimi tempi mi sono convinto che l’episodio della Visitazione è il vero luogo teologico scritturistico della missione nel rispetto dell’altro che lo Spirito ha già investito. Mi piace una frase di un autore che riassume molto bene tutto questo: 'Gesù è ciò che accade quando Dio parla senza ostacoli nel cuore di un uomo'. In altri termini, quando Dio è libero di parlare e di agire senza ostacoli nella rettitudine di un uomo, quest’uomo parla e agisce come Gesù».
Emerge qui lo stile di una 'missione' che rispetta l’altro riconoscendolo come già illuminato, investito dallo Spirito e, come tale, capace di riconoscere i segni della presenza di Cristo in chi si fa prossimo per offrirgli – come prescrive la regola di Benedetto – omnis humanitas , ogni gesto possibile di solidarietà umana. Anni dopo, in occasione della professione semplice di un suo confratello, l’omelia di frère Christian propone un’interpretazione originalissima del sì di Maria cui fa immediatamente seguito la 'salita' verso la cugina Elisabetta, gravida del Battista. «Ecco Maria, professa semplice perché il suo si è recentissimo, si lancia sulla strada verso la montagna per fare il noviziato della sua maternità universale. Maria votata a portare Cristo in sé, fuori da casa sua, come ciascuno di noi, e a servire umilmente affinché lo Spirito faccia trasalire il Figlio di Dio ancora in gestazione nell’altro».
È il servizio gratuito reso all’altro che fa sussultare, germogliare quello che lo Spirito ha già posto nell’altro. Più tardi ancora, frère Christian dirà: «Il mistero che viviamo in Algeria è proprio quello dell’ospitalità reciproca più completa. Lo Spirito santo è sempre con chi prende Maria con sé. È bene che la Chiesa metta questo mistero della Visitazione sempre più al cuore della fretta che porta verso l’altro, cioè verso ogni essere umano». La fretta che porta il cristiano verso l’altro è la sollecitudine, l’aver cura dell’altro al punto da non frapporre indugio tra l’averne conosciuto il bisogno e la disponibilità a sopperire a quel bisogno. Il cristiano conosce sì la 'fretta escatologica' per il ritorno del Signore, ma questa è anche fretta che l’altro abbia la possibilità di incontrare il Signore attraverso il farsi prossimo a lui da parte dei discepoli del Signore. È allora che la Chiesa scopre la propria missione, come dice padre Claude Rault, vescovo del Sahara: «La missione, sotto l’azione dello Spirito santo è la confluenza di due grazie: l’una concessa all’inviato, l’altra al chiamato».
Mi sembra questo uno dei lasciti più preziosi della testimonianza fino alla morte offerta dai fratelli di Tibhirine: una memoria evangelica perché la Chiesa intera non dimentichi che anche quando compie tanta strada, in salita, di corsa, come Maria verso Elisabetta, al suo arrivo troverà lo Spirito santo già presente, troverà l’altro verso il quale si china già abitato dalla presenza del Signore, in attesa solo di qualcuno che lo renda consapevole del dono gratuito che Dio offre a ogni essere umano.
Enzo Bianchi
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