Se sei un animatore ti accorgi che, per vivere meglio l'esperienza dell'animazione, hai bisogno di ritagliarti dei tempi di silenzio e di riflessione. L'azione richiede contemplazione.
Il silenzio sembra essere sparito come esperienza quotidiana nel nostro tempo. A livello quantitativo: in una giornata ordinaria viviamo pochissimi spazi liberi da parole, informazioni, suoni, rumori. Tendiamo, peraltro, a riempire i pochi istanti vuoti con qualsiasi cosa ci capiti a tiro. A livello qualitativo: non siamo in grado di attribuire un significato degno di nota ai momenti di quiete e di assenza di stimoli. Da un lato sono momenti che desideriamo fortemente, dall’altro appena si presentano cerchiamo di spegnerli sul nascere. La vita, in quei brevi spazi di silenzio, sembra sospesa in un vuoto privo di significato che minaccia di liberare pensieri e sensazioni sgradite, da fuggire o da esorcizzare con adeguati strumenti. Pensa all’ultima volta che ti sei fermato a lungo in silenzio: come definiresti quell’esperienza?
Il silenzio è per molti esperienza di spavento; tale spavento è amplificato dalla paura del vuoto. Gli auricolari più ricercati sono quelli che isolano dai rumori esterni; sono un massaggio rilassante, una terapia efficace a tale paura. L’intelligenza artificiale, ormai, conosce a memoria le strade più veloci per calmare le nostre ansie, sa sempre scegliere «la pastiglia giusta» per il male che abbiamo. Molti si addormentano accoccolati dal godimento che ne deriva. Si tratta di un «povero sonno»: esso, infatti, alimenta lo spavento del giorno dopo; un po’ come i ragazzi affamati che nei paesi orientali respirano la colla per anestetizzare il senso della fame.
La nostra epoca ha conosciuto spaventosi silenzi. Il silenzio a cui sono ridotte tante vittime di attentati, violenze, guerre, ingiustizie. Il silenzio agghiacciante dei criminali di guerra. Il silenzio pochi minuti dopo il passaggio dei carri armati. Il silenzio di terre devastate dall’inquinamento e dalla deforestazione. Il silenzio di ogni atto di omertà. Il silenzio dei reparti oncologici negli ospedali. Il silenzio del mondo occidentale, di fronte alle conseguenze del proprio stile di vita su terre lontane dagli occhi. Il nostro silenzio, di fronte a problemi che porterebbero a scomodare il nostro sfrenato desiderio di consumo. Sappiamo creare silenzi spaventosi. A volte basta il silenzio dello specchio a rendere spaventosa una giornata.
«Un minuto di rumore». È quanto invitano a fare oggi per ricordare una persona che è mancata. Anche il minuto di silenzio… era troppo silenzioso per essere sopportato. Lo sguardo va verso l’alto, ma l’intenzione sembra minacciosa. Sembra una sfida a Dio: una protesta contro il suo silenzio. Ti sarai arrabbiato/a anche tu con Dio per questo, no?
All’inizio. Atteso/a e pensato/a nel silenzio: nei progetti intimi di una coppia. Oppure… sorpresa inaspettata (al mistero della vita non si comanda!) nell’amplesso d’amore, e poi… silenzio. In quell’intimità ogni parola è di troppo. Il dogma del Regime Pornografico ha inondato di immagini distorte, suoni e parole vuote un mistero che è fatto di presenza fisica, intimità, amore. Pudore. E silenzio. Nove mesi di tirocinio nel silenzio. I tuoi primi esercizi spirituali. Li hai dimenticati! Immerso/a nel liquido amniotico, nulla arrivava ai tuoi orecchi di ciò che oggi dilania il tuo silenzio. Tu non stavi semplicemente in silenzio. Tu sei stato/a generato/a nel silenzio.
Alla fine. Quel silenzio sarà lungo, lento, inesorabile. Ti vedi da fuori? Anziano/a, raggrinzito/a, tra le rughe della tua pelle, ogni onda ricorderà una possibilità che hai perso, o una gioia che hai vissuto ed è ormai sfumata. Hai amato, odiato, perdonato e offeso. Tante delle persone che avevi conosciuto, già partite per un viaggio misterioso. L’esperienza del limite urlerà dentro quel silenzio. Nel silenzio si sentirà il tuo ultimo, flebile respiro. Raccoglierai ciò che hai seminato nel corso dei tuoi giorni: ti eri preparato a quest’ultima prova?
Tra l’inizio e la fine. Fare silenzio è affrontare la fatica del percorso. La fatica del deserto: esperienza di solitudine e di verità. È fermarsi, quando la vita ce lo permette e lo scegliamo; è lasciare giù le maschere, è ripulirsi dal trucco che troppo a lungo ha nascosto i difetti che non volevamo mostrare agli altri. È ammettere di non essere padroni di sé stessi, di non essere il centro del mondo. È mettere da parte le pretese, l’orgoglio, la sete. Affrontare la fatica del silenzio permette di generare, di costruire. Non fuggire dal silenzio.
Ma tra la partenza e il traguardo
Nel mezzo c'è tutto il resto
E tutto il resto è giorno dopo giorno E giorno dopo giorno è Silenziosamente costruire
Quante volte sentiamo discorsi inutili. Quanto fastidio ci danno. Quante volte, senza accorgercene, diventiamo operai di questa fabbrica di stupidaggini. 10P: Prima Pensa Poi Parla Perché Parole Poco Pensate Portano Problemi.
Il silenzio coltivato ci porta alla scuola dell’umiltà e dell’amore:
Quando ci si ama, si vuol stare insieme e quando si è insieme ci si desidera parlare. Quando ci si ama, è penoso avere sempre della gente intorno.
Quando ci si ama, si vuole ascoltare l'altro, solo, senza che voci estranee ci vengano a turbare.
Coloro che amano Dio hanno sempre sognato un deserto. Ma nessuno arriva mai al deserto senza avere attraversato molte cose, senza essere affaticati da una lunga strada, senza strappare i propri occhi al loro orizzonte abituale.
Si guadagnano i deserti, non si regalano. I deserti della nostra vita, noi non li strapperemo al segreto delle nostre ore umane, se non faremo violenza alle nostre abitudini, alle nostre pigrizie.
È difficile, ma essenziale al nostro amore. Lunghe ore di sonnolenza non valgono dieci minuti di sonno vero.
Così è della solitudine con Te. Ore di quasi solitudine sono per l'anima un riposo minore che un tuffo istantaneo nella tua presenza.
Non si tratta d'imparare l'ozio. Bisogna imparare a essere soli ogni volta che la vita ci riserva una pausa.
E la vita è piena di pause, che noi possiamo scoprire o sprecare. Nella più pesante e grigia giornata, quale splendida gioia per noi la previsione di tutti questi incontri sgranati... Quale gioia sapere che noi potremo al tuo solo volto levare gli occhi, mentre la farina diventerà densa, mentre crepiterà il telefono occupato, mentre, alla fermata, attenderemo l'autobus in ritardo,
mentre saliremo le scale, mentre andremo a cercare, in fondo al viale del giardino,
ciuffi di prezzemolo per condire l'insalata. Che straordinaria passeggiata sarà per noi questa sera il ritorno in metrò, quando s'intravedranno appena le persone incrociate sul marciapiede.
Quali «vantaggi» per te sono i nostri ritardi, quando si attende un marito, degli amici e dei figli. Ogni fretta di ciò che non arriva è molto spesso il segno di un deserto.
Ma i nostri deserti hanno rudi divieti, non fossero che le nostre impazienze o le nostre fantasticherie vagabonde o il nostro torpore, sempre in agguato di un po' di vacanza.
Perché noi siamo così fatti che non possiamo preferirti senza un minimo di lotta, e Tu, nostro Diletto, sarai sempre messo da noi sulla bilancia con questo fascino, con questa ossessione logorante delle nostre sciocchezze.
(Madeleine Delbrel)
Segnate tre cose che ordinariamente disturbano i tuoi momenti di silenzio...
Il silenzio ci calma, addomestica le belve che abbiamo dentro. L’ira, l’invidia, il rancore, la lussuria, l’orgoglio. Il silenzio rivela l’insensatezza del loro abbaiare feroce, rende possibile l’idea di togliere loro il potere di spaventarci, di determinare le nostre giornate, di ferire gli altri, di sentirci continuamente circondati da nemici. «Ora devo fermarmi, tutto il resto deve sparire. Spengo il telefono, chiudo la porta. Che cosa si muove nel mio cuore? Come sto veramente? Che cosa mi sta succedendo?».
Il silenzio fa rientrare in sé. Rinsavire. Rinascere. Ma la rinascita passa attraverso la morte. Muore il mondo che si era costruito, dei castelli in aria che avevi messo insieme. È una resa incondizionata. È poter dire: «Non ce la faccio. Ho bisogno di aiuto». È la via d’uscita al narcisismo, all’individualismo. Il silenzio non è luogo di solitudine e paura: è luogo di una presenza. Fare silenzio spalanca la possibilità di vivere un vero dialogo. Fare silenzio è prendere consapevolezza di sé, degli altri, del mondo, di Dio. Il silenzio è il grembo della fede.
Il silenzio custodisce i rapporti con gli altri. Ne sentiamo l’esigenza. Talvolta in modo violento: dopo un grosso litigio allontaniamo l’altro/a, abbiamo bisogno di spazio e di tempo. Talvolta in modo dolce: un dito sfiora la bocca dell’altro/a, «sshh!», non c’è più bisogno di parole. La presenza è più che sufficiente per comunicare, per perdonare, per amare. Talvolta è Dio a parlare nel silenzio: un moto dell’anima improvviso, un’intuizione, un ricordo. La Grazia passa nella brezza leggera dell’Oreb, ricordi il profeta Elia? Quali relazioni nella mia vita hanno più bisogno di questo silenzio?
Il silenzio ci porta al centro di noi stessi: abbiamo in noi un nucleo solido che sostiene la molteplicità della vita. Un centro dal quale ogni nostra attività parte e a cui ritorna; un ordine che distingue ciò che è importante da ciò che non lo è, che riconosce una gerarchia di importanza alle cose. Seleziona spesso qualcosa da togliere, da potare: nessuna vite porta frutto senza potature.
Il silenzio è lo spazio del raccoglimento. Il raccoglimento permette di prendere contatto con la verità di sé. La ricerca del raccoglimento, per un cuore in ricerca, è già una preghiera. Dal raccoglimento, infatti, dipende tutto. Nessuna fatica impiegata a questo scopo è sprecata. Se anche tutto il tempo destinato alla preghiera trascorresse nel cercarlo, sarebbe ben impiegato. Anzi, nei giorni di inquietudine, di malattia o di grande stanchezza può essere qualche volta bene accontentarsi di questa «preghiera del raccoglimento». Questo ci calmerà, ci darà forza e aiuto. Siamo continuamente tentati di pensare che questo è tempo perso nelle nostre giornate. Non è così.
Contemplare. Gli eventi più grandi della storia di Gesù avvengono nel silenzio. L’annunciazione a Maria. La nascita di Gesù. Trenta lunghi anni della sua vita, di cui sappiamo pochissimo. La scelta dei suoi apostoli è preceduta da una notte in preghiera. La sua morte, preparata dal silenzio nell’orto del Getsemani. La sua Risurrezione avviene di notte, nel silenzio. Sant’Ignazio di Loyola, secoli fa, ha insegnato ai cristiani a meditare. A sostare, in silenzio, visualizzando con l’immaginazione le singole scene della vita di Gesù, ricostruendone i personaggi, i luoghi, le azioni. Nel nostro cammino di crescita spirituale abbiamo bisogno di mettere a calendario momenti come questi. Non si producono da soli (un momento di ritiro prima di Natale, ad esempio, un esame di coscienza e una confessione).
Setacciare. Il silenzio è un setaccio, che trattiene ciò che è realmente importante e lascia andare il resto. Quanto ne hai bisogno! Quanti stimoli inutili, quante stupidaggini, quante mosche insopportabili distraggono il cuore da ciò che conta. Le scene della vita di Gesù sono una continua meditazione su ciò che realmente conta nella vita: «La lampada del corpo è l'occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso»; «Là dove è il tuo tesoro, lì sarà il tuo cuore»; «Stolto, stanotte ti sarà chiesta la vita. E quello che hai costruito, di chi sarà?». È disposto a setacciare chi è disponibile alla fatica della ricerca. Seguire Gesù è rimanere aperti alla ricerca della verità.
Sedimentare. La vita corre veloce. Sono necessari tempi adeguati perché si sedimentino in noi alcuni cambiamenti di vita. Spesso facciamo le cose, prendiamo le decisioni (entro nel CRA, seguo dei ragazzi, ecc), diciamo di aver capito: la realtà ci restituisce che non è così. Il mese scorso abbiamo preso consapevolezza di cose che davamo per scontato.. è il momento, al giro di dicembre-gennaio, di dirci con verità dove stiamo andando. Tale consapevolezza matura nel silenzio, non nella frenesia. Non arriviamo a Natale con il cuore trafelato, vuoto, malconcio. Misero regalo da dare al Bimbo. Portiamogli anche solo una cosa, sedimentata con cura: questo è un regalo a Lui gradito.
Leggere. Non su internet, non sul tablet, non di fretta, non per l’esame. Leggere è aprire la porta alla riflessione di un altro/a. Dio ha scelto di scriverci, e in ogni momento le sue lettere d’amore ci sono accessibili. Nella tua vita quanti libri hai letto per il bene della tua anima?
Chi scrive, lo fa in silenzio. Chi legge, anche. Il cuore parla al cuore, il silenzio parla al silenzio.
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Momento formativo al CRA del Live, di don Stefano Pegorin.
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