Se sei un giovane animatore, questi gli anni dove chiederti con radicalità qual è il tuo posto nel mondo, cosa Dio desidera per la tua vita, qual è la tua strada, come puoi diventare santo/a, qual è la tua vocazione.
«È il lavoro mai incominciato che impieghi più tempo a finire»
Sam, riportando un detto del Gaffiere - da “Il Signore degli anelli”
1. Il percorso di questo mese è segnato da una chiara scelta: entriamo in uno sguardo segnato dalla fede cristiana, per la quale l’ordine delle cose e del mondo è segnata dalla presenza di un Dio che ha creato il mondo per amore, conosce nell’intimo ogni suo/a figlio/a, desidera una fioritura nell’amore per ciascuno/a. Fuori da questo sguardo, tanti dei passi che faremo risulteranno muti, strani, incomprensibili. Ogni paragrafo è un cartello stradale, costruito e scritto per indicare un’unica direzione: Dio ci ha creati per amore, ha mostrato il suo volto in Gesù e per amore chiama a seguirlo nella vita della comunità cristiana.
2. Progettiamo? Ci sono persone che conducono la loro vita con uno sguardo molto attento al futuro: fanno progetti, li rivedono, si arrabbiano se le cose non vanno come preventivate; una volta raggiunti alcuni obiettivi, provano grandi soddisfazioni vedendo l’esito dei loro sforzi riuscire. Talvolta però si sentono ingabbiati nei loro stessi progetti. Altre persone sono invece portate a vivere le cose alla giornata, senza fare grandi progetti. Da un lato, essi sono più liberi e sciolti, vivono senza conoscere l’ansia di tappe e schemi che sentirebbero come gabbie e costrizioni. Dall’altro, talvolta si ritrovano in situazioni difficili proprio per la mancanza di un lavoro preventivo e di una progettualità di fondo. Per entrambe le tipologie di persone, uno sguardo vocazionale sulla vita è una conversione decisiva: per i primi, significa uscire dall’autismo dei propri obiettivi, aprendo il cuore alla novità della realtà e alla voce dello Spirito che “soffia dove vuole”; per i secondi, significa prendere coscienza che la spontaneità di una vita vissuta “alla giornata” può tradursi in sterilità (quale contadino avrebbe un raccolto lavorando senza un progetto?).
3. Il cammino fin qui svolto ci ha dato spunti a sufficienza per smuoverci dal nostro egocentrismo. Il dialogo con persone significative (e con una persona che mi accompagna) ci ha insegnato a rimanere aperti, disponibili alla messa in discussione del nostro punto di vista. La presa di consapevolezza possibile nella vita di comunità ci tiene a distanza dall’egoismo, dalla tentazione facile di “sapere già” cosa sia giusto cosa sia sbagliato. Il silenzio è lo spazio necessario per maturare passi e scelte significative, per costruire, vivere, affrontare un percorso di crescita. A metà dell’anno di cammino, in vista del ritiro di quaresima, metti da parte le scuse: ti sei chiesto se stai camminando davvero?
4. Va detta una cosa. Accettare oggi, in un tempo segnato dall’individualismo e dal materialismo, uno “sguardo vocazionale” sulla vita è un’autentica Rivoluzione: ci si sente dei pazzi. Chi prova ad accettare questo cammino, scoprirà prima o dopo che tutto ciò che ha respirato fin da piccolo/a si ribellerà dentro, inizierà una sommossa, dichiarando guerra alla “vocazione”. Abbiamo nel DNA qualcosa che resiste brutalmente ad accettare che qualcun altro conosca il nostro vero nome, abbia per noi un sogno che non è ancora nostro, possa toccare le nostre cose, la zona impenetrabile dei nostri personali progetti o delle nostre paure. Non ci spaventiamo, perciò, se spesso sentiamo la proposta cristiana come “strana”, “troppo esigente”, “distante” da tante cose che abbiamo sentito prima: siamo in buona compagnia! Quando si presenta in noi un ostacolo, un pensiero, un’idea, una convinzione che fa guerra a una visione vocazionale della vita (nodi: studio, fede, animazione, fidanzamento e scelta di vita di coppia, famiglia), lasciamoci aiutare, usciamo dal nostro egocentrismo: probabilmente siamo di fronte a un passaggio di crescita per il futuro. Tracciamo una mappa del territorio pagano che c’è nel nostro cuore, per lasciare che Gesù ci cammini.
5. Lo stile culturale nel quale siamo inseriti ha delle enormi potenzialità e al contempo dei semi di morte per uno sguardo vocazionale della vita. Quanto bisogno abbiamo di saper distinguere! Abbiamo mille occasioni per formarci e crescere; una libertà di scelta che pochi periodi storici hanno potuto vivere; viviamo in un paese ricco di tradizione e cultura; una base di vita generalmente agiata, fortunata: abbiamo ricevuto molto! Al contempo, viviamo un crepuscolo preoccupante: chiusura narcisistica e sogni di tono minore (in macchina, l’altro giorno: “il tuo sogno?”, “voglio diventare YouTuber!”); rimando delle decisioni (età media matrimoni e primo - spesso unico - figlio); crollo della natalità (“perché dare vita a una creatura in un mondo così?”); fuga dalla responsabilità (“non sono c… miei”); demonizzazione dell’impegno politico; impoverimento culturale e sociale (“mai così tanti laureati, mai così tanti depressi”). Quali segnali di vita o di morte, oltre a questi, vedi attorno a te?
6. La vocazione è questione di gioia, di felicità, di amore. Dio ci ha creati per questo: siamo fatti per amare ed essere amati. La via della gioia non è la via della scelta più facile, né la via dei compromessi. Grandi donne e grandi uomini, come i santi, sono figure che hanno colto, ad un certo punto della loro vita, che la vita è un dono prezioso, e come tale va vissuta; che non c’è tempo da perdere per metterla a frutto; che la radicalità, quella che a volte ti fa passare per un/una pazzo/a, è ciò che abbatte ogni compromesso. “Ragazzo/a, fai giudizio, di vita ce n’è una soltanto”, diceva un santo prete. Sono questi gli anni dove chiedersi con radicalità qual è il nostro posto nel mondo, cosa Dio desidera per la mia vita, qual è la mia strada, come posso diventare santo/a, qual è la mia vocazione. Siamo disposti a mettere da parte la paura e affrontare queste grandi domande?
7. Tre P. Ma se io ho proprio paura di queste grandi domande o non so proprio come fare a rispondere? Nella nebbia della precarietà che abbiamo attorno, è facile convincersi che qualunque strada, alla fin fine, possa andar bene; oppure è facile rimandare il problema di quale sia la destinazione del viaggio o quali siano le tappe da affrontare. Una buona pedagogia per la nostra vita è fatta di Piccoli Passi Possibili. Che sproporzione! Vorrei diventare insegnante, ma continuo a rimandare quel maledetto esame di analisi. Vorrei sposarmi e avere una famiglia felice, ma non ho pazienza di appuntarmi la data di un compleanno o sostenere un litigio. Vorrei riuscire nel mio lavoro, e arrivo puntualmente in ritardo durante uno stage. Vorrei salvare i bambini dei paesi di guerra, e non ho pazienza di fare i compiti con mio fratello. Vorrei progettare le astronavi, e insulto i miei familiari se mi fanno presente che la mia stanza è un cesso. Prova a concordare piccoli passi possibili per questo mese.
8. La Parola di Dio ha delle pagine eloquenti che parlano di Vocazione. Accostiamone una:
1Sam 3,1-4. Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli. La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti. E quel giorno avvenne che Eli stava dormendo al suo posto, i suoi occhi cominciavano a indebolirsi e non
riusciva più a vedere. La lampada di Dio non era ancora spenta e Samuele dormiva nel tempio del Signore, dove si trovava l'arca di Dio. Allora il Signore chiamò: "Samuele!" ed egli rispose: "Eccomi", poi corse da Eli e gli disse: "Mi hai chiamato, eccomi!". Egli rispose: "Non ti ho chiamato, torna a dormire!". Tornò e si mise a dormire.
Ma il Signore chiamò di nuovo: "Samuele!"; Samuele si alzò e corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Ma quello rispose di nuovo: "Non ti ho chiamato, figlio mio, torna a dormire!". In realtà Samuele fino ad allora non aveva ancora conosciuto il Signore, né gli era stata ancora rivelata la parola del Signore. Il Signore tornò a chiamare: "Samuele!" per la terza volta; questi si alzò nuovamente e corse da Eli dicendo: "Mi hai chiamato, eccomi!". Allora Eli comprese che il Signore chiamava il giovane. Eli disse a Samuele: "Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: "Parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta". Samuele andò a dormire al suo posto. Venne il Signore, stette accanto a lui e lo chiamò come le altre volte: "Samuele, Samuele!". Samuele rispose subito: "Parla, perché il tuo servo ti ascolta”.
9. “Il giovane Samuele serviva il Signore alla presenza di Eli” (1Sam 3,1). “Sei giovane, pensa a divertirti!”. Ci sono modi e modi di concepire la giovinezza. Samuele fa l’esperienza decisiva per la sua vocazione in giovane età, ma non mentre attende passivamente che accada qualcosa: egli si dà da fare con tutto se stesso negli impegni all’interno dei quali è cresciuto, e arriva presto a una decisione coraggiosa e grande. La voce di Dio si manifesta e si rende udibile nei cuori che sono già disposti a mettersi in gioco: “Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto” (Mt 7,7-8). Don Bosco diceva sempre di “darsi a Dio per tempo”.
10. La generazione di Eli è stanca, addormentata, senza energie e prospettive: egli ha perso quasi tutta la vista, sembra precluso il futuro. I genitori che oggi vedono i/le figli/e fare scelte coraggiose, controcorrente, possono rimanere spiazzati, oppure colpiti ed edificati. Molti di loro sono oggettivamente lontani da un cammino di fede. Se si sentono toccati personalmente da queste questioni, possono irrigidirsi e non accettare una tale messa in discussione; oppure fare passi inaspettati di apertura. Possono nascere discussioni, talvolta grandi conflitti. Ci si rimbalza una serie di aspettative, emergono non detti che erano sotto il tappeto da anni. Ogni vocazione è in qualche modo messa alla prova dal confronto esplicito con la propria famiglia1.
11.Nella storia vocazionale di Samuele viene “messa in scena” la confusione necessaria tra la voce dei genitori e la voce di Dio. Il “malinteso” che si crea (“non ti ho chiamato, torna a dormire”2) non è un incidente di percorso: è la differenza che renderà evidente, nel tempo, quello che connota il proprio Nome. Una verità, quest’ultima, che nemmeno i genitori possono immaginarsi in anticipo perché è l’esito di una libera chiamata e di una libera risposta. Prova a chiederti quando sono iniziati i confronti accesi con i genitori e parenti sul tuo futuro. Quali sono le convinzioni, le prospettive, le idee, i progetti che sento fondamentali? A casa mi sento compreso a riguardo?
12. La Chiamata è fatta di chiamate, così come la Risposta è fatta di risposte. Dio torna più volte a “disturbare” il sonno di Samuele, ed egli non ha ancora con sé gli strumenti per comprendere quella chiamata. Ha bisogno di fare riferimento a Eli, più volte, con apertura e disponibilità. Le chiamate sono sempre concrete, accadono nel qui/ora e hanno bisogno di essere accolte e riconosciute. La trasparenza di Samuele, nel riportare ciò che sentiva (pur potendo passare per matto), è stato il fattore più importante per giungere a una risposta. Qualcosa mi sta offuscando nella trasparenza?
13. Il discernimento della Chiesa si pone a metà strada tra i propri sogni/progetti personali e le richieste/bisogni della società che ci sta attorno. Samuele può fare un passo decisivo grazie alla mediazione di Eli, che sblocca la ripetizione di un agire che sarebbe stato inconcludente: “Vattene a dormire e, se ti chiamerà, dirai: parla, Signore, perché il tuo servo ti ascolta”. Nel cammino di crescita tante sono le mediazioni che ci aiutano a discernere; tuttavia, la risposta alla nostra personale Chiamata non sarà mai il “minimo comune denominatore” tra le voci che ci stanno attorno… È un’adesione personale a una singolare chiamata che nessuno può intuire se non TU; e non “per aria”, ma sempre e solo all’interno di un cammino comunitario ed ecclesiale a cui Gesù Cristo ha dato vita per estendere gli effetti della Sua presenza nel mondo.
14. Fare discernimento significa letteralmente “scegliere separando”. Non si può tenere tutto. Nella vita, taglia con ciò che non è il tuo Vero Bene.
15. La gratitudine è una delle chiavi di lettura più importanti per un orientamento vocazionale. È un dono da chiedere! Permette di uscire da una visione parziale, superficiale, lacunosa o addirittura distorta e insensata della nostra storia. Questo almeno in due direzioni:
Biblicamente: è lasciar ri-scrivere a Dio i passi della nostra storia passata. Egli è l’Unico che trae il bene anche dal male. Non c’è storia personale che, con Dio, non possa diventare “Storia di Salvezza”.
Affettivamente: conoscere e accettare, come dicevamo qualche mese fa, la matrice della nostra personalità. La memoria affettiva buona, i momenti e le persone che hanno costruito ciò che siamo. Quando queste due memorie si mescolano, nasce una Memoria Grata di ciò che sono: in qualche pagina della Scrittura, ritroviamo noi stessi e scopriamo il filo rosso che attraversa e dà senso a tutta la nostra esistenza.
16. La vita di preghiera è l’alimento della ricerca vocazionale. È acqua per la pianta, benzina per l’auto, nutrimento per il corpo. A pregare si impara pregando: se non c’è un Dio a cui rivolgere lo sguardo, la parola, le attenzioni, non c’è orecchio disposto a intendere la Sua Voce. Se tolgo una D, di vocazione non capirò mai nulla. Non IO, ma DIO.
17. Di anestesie e distrazioni dalle domande vocazionali è piena la terra. Alcuni dei Pinocchi che conosciamo portano in cuore sinceri desideri di rispondere alle grandi domande che hanno sulla loro vita: ma come possono, se sono continuamente al Teatro dei Burattini? Di grilli e di papà Geppetto, ormai, in giro non se ne trovano molti… non schivare la fatica di ascoltare la loro voce.
18. Di paure ne abbiamo tante. Alcune le riteniamo dicibili, altre indicibili. Cosa mai rende indicibile una paura? La paura rende le nostre gambe deboli. Raccontava san Francesco di Sales:
«Ci sono certi uccelli, Teotimo, che Aristotele chiama apodì, perché hanno gambe talmente corte e piedi così deboli, che non se ne possono servire, proprio come se non li avessero; e se, per caso, si appoggiano a terra, ci rimangono, senza poter riprendere il volo da soli, perché, non avendo l’uso delle gambe, né quello dei piedi, non hanno modo di spingersi e lanciarsi in aria; per cui rimangono accovacciati per terra e vi muoiono, a meno che il vento, sostituendosi alla loro incapacità, con folate sul terreno li prenda e li sollevi, come fa con molte altre cose. In tal caso se, servendosi delle ali, assecondano lo slancio e la prima spinta che dà loro il vento, lo stesso vento continua a venire in loro aiuto spingendoli sempre più in alto per aiutarli e riprendere il volo». Così è l’essere umano: fatto da Dio per volare e dispiegare tutte le sue potenzialità nella chiamata all’amore, rischia di diventare incapace di spiccare il volo quando cade a terra e non acconsente a riaprire le ali alla brezza dello Spirito»
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1 Don Bosco ha sperimentato in prima persona cosa significhi essere accompagnato, fin dai primi anni della sua vita. Sua mamma, Margherita, è stata la sua prima guida spirituale. Quando, al termine delle scuole pubbliche a Chieri, Giovanni stava pensando di diventare francescano, il suo parroco cercò di convincere Margherita a dissuaderlo. Lei si recò senza indugio a Chieri e disse a suo figlio:
“Sentimi bene, Giovanni. Io voglio che tu ci pensi bene e con calma. Quando avrai deciso, segui la tua strada senza guardare in faccia nessuno. La cosa più importante è che tu faccia la volontà del Signore. Il parroco vorrebbe che io ti facessi cambiare idea, perché in avvenire potrei avere bisogno di te. Ma io ti dico: in queste cose tua madre non c’entra. Dio è prima di tutto. Da te io non voglio niente, non mi aspetto niente. Io sono nata povera, sono vissuta povera, e voglio morire povera. Anzi, te lo voglio dire subito: se ti facessi prete e per disgrazia diventassi ricco, non metterò mai piede in casa tua. Ricordalo bene”.
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