Le ceneri e la nuova vita: il dolore e la croce sono la bussola.

CONFRONTI Il Mercoledì che apre la Quaresima interroga la nostra cultura e ci ricorda il senso del limite. È la scoperta del «caso serio» nell'esistenza:il dolore e la croce sono la bussola per varcare questa notte oscura. Parlano tre intellettuali: lo scrittore Luca Doninelli; il teologo Enzo Bianchi; il filosofo Salvatore Natoli.

Le ceneri e la nuova vita: il dolore e la croce sono la bussola.

da Quaderni Cannibali

del 09 aprile 2004

   Le ceneri e la nuova vita

  

Lo scrittore

 

Doninelli: «La vittoria finale comincia da queste polveri»

Di Luca Doninelli

 

Non c’è festa che meglio introduca al senso del cammino cristiano del Mercoledì delle Ceneri. La sua stessa esistenza all’inizio della Quaresima è per me un miracolo. Questo giorno ci induce, è vero, a riflettere sulla caducità della vita, sulla brevità del nostro passaggio sulla scena di questo mondo. L’estremo inganno di credersi eterni, cui Leopardi dedica la poesia A se stesso, è destinato a crollare. Se per il grande poeta ciò costituisce lo scacco finale, per il cristiano è, viceversa, coscienza quotidiana, tessuto della normalità. Il Mercoledì delle Ceneri è, in questo senso, giorno sacro per tutti gli scrittori e per tutti gli artisti, che sono chiamati non a creare facili illusioni, ma a testimoniare della durezza e dell’inesorabilità del vivere. Illuminata dalla bellezza, la dura   vita spalanca l’orizzonte di un possibile senso. Il cristianesimo ci ricorda, infatti, che dentro la brevità, dentro la pochezza, dentro la cenere di cui la nostra carne è fatta, riluce la bellezza di una novità. Potrei fare nomi e cognomi di persone che, avendo accettato il dolore fino in fondo, ne hanno poi tratto una forza enorme. La croce non porta alla disperazione: se mai, a farci disperati è il rifiuto della croce. Questo giorno è dentro una strada, è il primo passo di una strada, ed è all’interno della strada che acquista il suo senso. La cenere non è l’ultima parola sulla vita dell’uomo, bensì la prima parola, la prima constatazione dell’uomo adulto, dell’uomo che desidera crescere. Non è perciò il giorno della desolazione, ma l’inizio della vittoria, come nello sport, dove la premessa   del trionfo è il rispetto dell’avversario. La cenere di cui siamo fatti non è l’ultima parola sulla nostra vita, bensì una cosa da rispettare. Il cammino quaresimale è il cammino della vittoria umana sulla tentazione a fare della morte il senso ultimo delle cose. Noi non siamo fatti per la morte, mai, nemmeno in punto di morte.

 

 

Il teologo

 

Bianchi: «La fenice dei cristiani»

 

Di  Enzo Bianchi

 

 

In questa stagione di lento imbarbarimento in cui si è più disposti a gettare fango sull'avversario che a 'cospargersi il capo di cenere' riconoscendo i propri errori, ancora una volta l'antica sapienza della Chiesa ci ripropone il rito dell'imposizione delle Ceneri che apre il cammino quaresimale verso la Pasqua.

Un gesto che oggi può apparire fuori luogo e fuori tempo ma che in realtà è più efficace di tante parole nel trasmettere una verità. La cenere, infatti, è il frutto del fuoco che arde e purifica, costituisce un rimando alla condizione del nostro corpo che, dopo la morte, ritorna in polvere: sì, come un albero rigoglioso, una volta abbattuto e bruciato, diventa cenere, così accade al nostro corpo tornato alla terra, ma quella cenere è destinata alla resurrezione.

Simbolica ricca, quella della cenere, già conosciuta nell'Antico Testamento e nella preghiera degli ebrei: cospargersi il capo di cenere è segno di penitenza, di volontà di cambiamento attraverso la prova, il crogiolo, il fuoco purificatore. Un segno che rimanda a un evento spirituale autentico per il cristiano: la conversione e il pentimento del cuore contrito. Ed è proprio grazie a questa qualità di segno che le Ceneri possono, se vissute nella dimensione dello Spirito, imprimersi nel corpo e nel cuore del cristiano, favorendo così l'evento della conversione.

Ricevere le ceneri significa prendere coscienza che il fuoco dell'amore di Dio consuma il nostro peccato; accogliere le ceneri significa percepire che il peso dei nostri peccati, consumati dalla misericordia di Dio, è 'poco peso'; guardare quelle ceneri significa riconfermare la nostra fede pasquale: saremo cenere, ma destinata alla resurrezione. Sì, nella Pasqua che attende ciascuno di noi la nostra carne risorgerà e la misericordia di Dio come fuoco consumerà nella morte i nostri peccati.

Nel vivere il mercoledì delle Ceneri i cristiani non fanno altro che riaffermare la loro fede di essere riconciliati con Dio in Cristo, la loro speranza di essere un giorno risuscitati con Cristo per la vita eterna, la loro vocazione alla carità che non avrà mai fine.

 

 

 

Il filosofo

 

Natoli: «Vivere nella finitezza è la grande sfida del laico»

 

Di  Salvatore Natoli

 

 

Memento homo quia pulvis es et in pulverem revertertis è una formula che semplicemente significa: «uomo ricordati d'essere mortale». Che gli uomini muoiano è d'una assoluta ovvietà e perciò sembra strano che glielo si debba ricordare. Se lo si fa, vuol dire che essi facilmente se ne dimenticano. Nel giorno delle ceneri, la liturgia ripropone ai cristiani un esercizio già ampiamente praticato nella tradizione antica e nelle scuole ellenistiche: è il memento mori, la meditazione sulla morte come via per una buona vita. Queste pratiche tendevano a contrastare la facile disposizione degli uomini ad allontanare da sé il fantasma della morte fino a cancellarla. E ciò non perché ne abbiano semplicemente timore - ogni vita, infatti, rifiuta spontaneamente di finire - ma perché tendono a nascondere a se stessi la loro costitutiva finitezza, E finiscono per identificarsi con l'immediato presente: vivono perciò una vita d'occasioni e così rendono occasionale la vita, la dissipano. La vita frivola è il sintomo quotidiano di chi ha rimosso la morte. Il pensiero della morte, dunque, al contrario di quanto a prima vista può sembrare, spinge gli uomini a ripiegarsi su se stessi quasi a raccogliere tutta la propria potenza e divenire così punto dire resistenza e perciò centro di forza, da investire tutta ma con sagacia, senza dissiparla. Il memento mori è, allora, un gesto utile - ma direi quasi un atto obbligatorio - perché gli uomini diano direzione alla loro vita, si espandano nella consapevolezza d'essere potenze finite e tuttavia feconde se capaci di valorizzare al meglio il tempo concesso. Certo non bisogna bruciare la vita nell'istante: sarebbe come staccare dagli alberi tutti i fiori rimanendo così privi di frutti. Il pensiero delle morte può essere patologicamente associato alla vanità del tutto, ma anche alla preziosità delle vita, che tale è soprattutto perché è una sola. Se poi qualcuno crede a una vita immortale non è detto che perciò stesso debba negare la preziosità della vita presente ma può viverla come un cammino verso un compimento futuro in cui tutto quello che qui si consuma non sarà affatto cancellato, ma trasformato, redento definitivamente dalla perdita e dal dolore. Questo credo che credano quelli che credono.

 

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