Nella Chiesa si trovano tutti i mezzi di salvezza, vi fiorisce la santità e la carità. Don Bosco incessantemente invita adulti e giovani a cooperare all’azione della grazia con fede, speranza e carità, con l’offerta generosa di sé, con la preghiera costante, con la frequenza ai santi sacramenti; soprattutto facendosi imitatori di Gesù Cristo attraverso in una vita virtuosa e ricca di opere di carità.
L’apostolo san Paolo dice che senza la fede è impossibile piacere a Dio, sine fide impossibile est placere Deo [Eb 11,6]. Noi dunque dobbiamo sempre tenere accesa nel nostro cuore questa fiaccola della fede. Abbiamo bisogno che la fede ci illumini in tutti i passi della nostra vita. La fede deve essere il cibo che ci sostenta nella vita spirituale, secondo quello che dice la sacra Scrittura: iustus ex fide vivit, l’uomo giusto vive di fede. Affinché questa fede che noi abbiamo da Dio ricevuto nel santo battesimo non venga mai meno nel nostro cuore dobbiamo spesso eccitarla. Dobbiamo per ciò fare sovente atti di fede; protestare col cuore che noi crediamo fermamente alle principali verità della cattolica religione e a tutto quello che Dio per mezzo della sua Chiesa volle che ci fosse insegnato. Ciò che noi facciamo recitando la formola dell’atto di fede.
Ma, caro cristiano, la fede non basta per l’eterna salute, ché ci è pur anche necessaria la virtù della speranza, la quale ci faccia abbandonare noi medesimi nelle mani di Dio, come un figlio nelle braccia della tenera madre. Noi abbiamo bisogno di ottenere da Dio molti favori e questi non soglionsi da Dio concedere se noi non li speriamo. Noi abbiamo commesso chi sa quanti peccati; abbiamo perciò bisogno che Dio ci usi misericordia e ce li perdoni. Abbiamo continuamente bisogno dell’aiuto della grazia di Dio per vivere santamente su questa terra. Ora questa misericordia, questo perdono, questo aiuto della sua grazia Iddio non vuole concederlo se non a chi lo spera. Inoltre Iddio tiene preparato nell’altra vita un mare di delizie; ma nessuno potrà giungere a goderlo senza la virtù della speranza.
Per la qual cosa noi dobbiamo fare frequenti atti di questa virtù; ravvivando nel nostro cuore una grande fiducia di tutto ottenere dalla somma bontà di Dio per i meriti del nostro Signore Gesù Cristo. Per risvegliare e mantenere sempre viva in noi questa virtù recitiamo dunque con divozione la formola dell’atto di speranza. Fra tutte le virtù poi la carità è la maggiore e la più eccellente. Senza di essa tutte le altre non potrebbero farci ottenere l’eterna salute. Ma in che consiste questa virtù della carità? Consiste nell’amar Dio sopra tutte le cose ed il prossimo come noi stessi per amor suo. L’amore dunque verso Dio e verso il prossimo deve sempre essere come un fuoco acceso nel nostro cuore. Primieramente noi dobbiamo amare Dio con tutto il cuore perché egli è uno spirito perfettissimo, un essere d’infinita bontà, un bene sommo. Dobbiamo anche amarlo perché egli ci ha colmati d’innumerevoli benefici; ci ha cavati dal nulla col crearci; ci ha fatti nascere nella religione cattolica che è la sola che ci possa condurre al porto della salute. Egli, sebbene da noi tante volte offeso, non ci colpì colla morte come avrebbe potuto fare e come fece a molti altri ai quali dopo il primo peccato non diede più tempo a pentirsi. Egli per nostro amore discese dal cielo in terra fra gli stenti e le pene; per noi soffrì la morte la più dura. Egli per un eccesso d’amore si lasciò per nostro cibo nella santa Eucaristia. Egli infine ci tiene preparato un bel posto in cielo per tutta un’eternità. E chi è mai colui, il quale considerando questi tratti d’amore di Dio verso di noi non si senta ardere il cuore verso Dio?
Ma noi dobbiamo anche amare il prossimo come noi stessi. Tutti gli uomini del mondo sono nostri fratelli, perché figli di uno stesso padre che è Dio. Tutti hanno diritto che noi li amiamo. E Gesù Cristo di ciò fece un espresso comando dicendo; hoc est praeceptum meum ut diligatis invicem [Gv 15,12]: questo io vi comando che vi amiate l’un l’altro. E non solo dobbiamo amare gli amici, ma anche i nemici. Il nostro divin Salvatore ce ne diede l’esempio perdonando e pregando per gli stessi suoi crocifissori. Sia dunque sempre acceso in noi questo fuoco della carità.
Disse un giorno Iddio a Mosè: “Ricordati bene di eseguire gli ordini miei e fa’ ogni cosa secondo il modello che ti ho mostrato sopra la montagna”. Lo stesso dice Iddio ai cristiani. Il modello che ogni cristiano deve copiare è Gesù Cristo. Niuno può vantarsi di appartenere a Gesù Cristo se non si adopera per imitarlo. Perciò nella vita e nelle azioni di un cristiano devonsi trovare la vita e le azioni di Gesù Cristo medesimo.
Il cristiano deve pregare, siccome pregò Gesù Cristo sopra la montagna con raccoglimento, con umiltà, con confidenza.
Il cristiano deve essere accessibile, come lo era Gesù Cristo, ai poveri, agli ignoranti, ai fanciulli. Egli non deve essere orgoglioso, non aver pretensione, non arroganza. Egli si fa tutto a tutti per guadagnare tutti a Gesù Cristo. Il cristiano deve trattare col suo prossimo, siccome trattava Gesù Cristo coi suoi seguaci: perciò i suoi trattenimenti devono essere edificanti, caritatevoli, pieni di gravità, di dolcezza e di semplicità.
Il cristiano deve essere umile, siccome fu Gesù Cristo, il quale ginocchioni lavò i piedi ai suoi apostoli e li lavò anche a Giuda, quantunque conoscesse che quel perfido doveva tradirlo. Il vero cristiano si considera come il minore degli altri e come servo di tutti.
Il cristiano deve ubbidire come ubbidì Gesù Cristo, il quale fu sottomesso a Maria e a san Giuseppe, ed ubbidì al suo celeste Padre fino alla morte e alla morte di croce. Il vero cristiano obbedisce ai suoi genitori, ai suoi padroni, ai suoi superiori, perché egli non riconosce in quelli se non Dio medesimo, di cui quelli fanno le veci.
Il vero cristiano nel mangiare e nel bere deve essere come era Gesù Cristo alle nozze di Cana di Galilea e di Betania, cioè sobrio, temperante, attento ai bisogni altrui e più occupato del nutrimento spirituale che delle pietanze di cui nutrisce il suo corpo.
Il buon cristiano deve essere coi suoi amici siccome era Gesù Cristo con san Giovanni e san Lazzaro. Egli li deve amare nel Signore e per amor di Dio; loro confida cordialmente i segreti del suo cuore; e se essi cadono nel male, egli mette in opera ogni sollecitudine per farli ritornare nello stato di grazia.
Il vero cristiano deve soffrire con rassegnazione le privazioni e la povertà come le soffrì Gesù Cristo, il quale non aveva nemmeno un luogo ove appoggiare il suo capo. Egli sa tollerare le contraddizioni e le calunnie, come Gesù Cristo tollerò quelle degli scribi e dei farisei, lasciando a Dio la cura di giustificarlo. Egli sa tollerare gli affronti e gli oltraggi, siccome fece Gesù Cristo allorché gli diedero uno schiaffo, gli sputarono in faccia e lo insultarono in mille guise nel pretorio.
Il vero cristiano deve essere pronto a tollerare le pene di spirito, siccome Gesù Cristo quando fu tradito da uno dei suoi discepoli, rinnegato da un altro ed abbandonato da tutti.
Il buon cristiano deve essere disposto ad accogliere con pazienza ogni persecuzione, ogni malattia ed anche la morte, siccome fece Gesù Cristo, il quale colla testa coronata di pungenti spine, col corpo lacero per le battiture, coi piedi e colle mani trafitte da chiodi, rimise in pace l’anima sua nelle mani del suo celeste Padre.
Di maniera che il vero cristiano deve dire coll’apostolo san Paolo: Non sono io che vivo, ma è Gesù Cristo che vive in me. Chi seguirà Gesù Cristo, secondo il modello quivi descritto, egli è certo di essere un giorno glorificato con Gesù Cristo in cielo e regnare con lui in eterno.
Pregare vuol dire innalzare il proprio cuore a Dio e intrattenersi con lui per mezzo di santi pensieri e devoti sentimenti. Perciò ogni pensiero di Dio e ogni sguardo a lui è preghiera, quando va congiunto ad un sentimento di pietà. Chi pertanto pensa al Signore o alle sue infinite perfezioni e in questo pensiero prova un affetto di gioia, di venerazione, di amore, di ammirazione, costui prega. Chi considera i grandi benefici ricevuti dal Creatore, Conservatore e Padre, e si sente da riconoscenza compreso, costui prega.
Chiunque nei pericoli della sua innocenza e della virtù, conscio della propria debolezza supplica il Signore ad aiutarlo, costui prega. Chi finalmente nella contrizione del cuore si volge a Dio e ricorda che ha oltraggiato il proprio Padre, offeso il proprio Giudice ed ha perduto il più gran bene e implora perdono e propone di emendarsi, costui prega. Il pregare è perciò cosa assai facile. Ognuno può in ogni luogo, in ogni momento sollevare il suo cuore a Dio per mezzo di pii sentimenti. Non sono necessarie parole ricercate e squisite, ma bastano semplici pensieri accompagnati da devoti interni affetti. Una preghiera che consista in soli pensieri, per esempio in una tranquilla ammirazione della grandezza ed onnipotenza divina, è una preghiera interna o meditazione oppure contemplazione. Se si esterna per mezzo di parole si appella preghiera vocale.
Sia l’una che l’altra maniera di pregare deve essere cara al cristiano, che ama Iddio. Un buon figlio pensa volentieri al proprio padre e sfoga con lui gli affetti del proprio cuore. Come mai dunque un cristiano potrebbe non pensar volentieri a Dio, suo amorosissimo Padre e a Gesù suo misericordioso Redentore ed esternargli sentimenti di riverenza, di riconoscenza, di amore e con soave confidenza pregarlo di aiuto e di grazia? […]
Affinché la preghiera del cristiano sia pienamente accetta a Dio e ottenga infallibilmente il suo effetto, deve avere alcune condizioni:
1. Chi prega deve essere nello stato di grazia santificante, cioè non avere sulla coscienza alcun peccato mortale che non sia stato cancellato colla confessione sacramentale o con la contrizione. Perché, come dice la Scrittura, il Signore si tiene lontano dall’empio, ed egli esaudisce la preghiera dei giusti (Pr 15, 29). Ciò nonostante chi è in stato di peccato mortale, se ha almeno un qualche desiderio di correggersi e prega con l’intenzione di onorare Iddio, quantunque egli non abbia diritto di essere esaudito, perché non è in amicizia con Dio, tuttavia la sua preghiera è sommamente utile e per la infinita bontà divina non manca mai di ottenere delle grazie.
2. Deve pregare inspirato da viva fede, perché senza la fede è impossibile piacere a Dio (Eb 11, 6) e dove manca la fede o non si prega di cuore, non si rende alla bontà, sapienza ed onnipotenza di Dio l’onore che egli da noi esige.
3. Deve pregare con umiltà e sentire per una parte il bisogno della grazia, per l’altra la totale mancanza in se stesso di qualunque merito o titolo atto ad ottenere quanto domanda. Imperocché Iddio resiste ai superbi e dà agli umili la sua grazia (Gc 4, 6).
4. Inoltre il cristiano nella preghiera deve osservare un ordine riguardo alle cose che domanda. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia e il resto vi sarà dato per giunta (Mt 6, 33), ci dice Gesù Cristo. Perciò dobbiamo cercare in primo luogo i beni spirituali, come sono il perdono dei peccati, i lumi per conoscere la divina volontà e i nostri errori, la forza, l’aumento e la perseveranza nella virtù. Dopo ciò possiamo anche chiedere i beni temporali, la sanità, i mezzi onde campar la vita, la benedizione celeste sulle nostre occupazioni, sui nostri negozi, sulle nostre campagne e sulle nostre famiglie, l’allontanamento delle disgrazie, dei dolori e delle afflizioni in cui ci troviamo. Così c’insegna la quarta domanda del Pater noster e l’esempio di Gesù Cristo nell’orto degli Olivi. Ma questa domanda deve essere fatta colla condizione se è volontà di Dio, non dannosa all’anima nostra. Padre, non come voglio io, ma come vuoi tu (Mt 26, 39).
5. Bisogna pregare in nome di Gesù Cristo, conciossiaché nessuna grazia si possa ottenere da Dio, se non pei meriti del nostro divin Redentore.
6. Bisogna pregare con una illimitata speranza di essere esauditi. Chi prega dubitando di essere esaudito fa ingiuria a Dio, il quale assicura di esaudirci purché lo preghiamo con fede viva, cioè con ferma speranza di essere da lui ascoltati ed esauditi. Perciò quando gli domandiamo un favore, abbandoniamoci in lui come un figlio si abbandonerebbe nelle mani della cara madre sicuro di essere da lei aiutato. La preghiera fatta in questo modo è onnipotente; e non si è mai udito al mondo né mai si udirà che alcuno il quale sia ricorso con fiducia a Dio, non sia stato esaudito. Il nostro divin Redentore così ci assicura: Qualunque cosa domandiate nell’orazione abbiate fede di conseguirla e l’otterrete. L’apostolo san Giacomo avverte il cristiano di pregare senza esitare e senza dubitare se vuole ottenere quanto domanda.
7. Unire la nostra preghiera alle preghiere e ai meriti di Maria santissima, degli angeli e dei santi che sono nel cielo, delle anime del purgatorio e di tutti i giusti che vivono sulla terra.
8. Finalmente bisogna perseverare nella preghiera secondo ciò che ci raccomanda Gesù Cristo. Egli dice: Bisogna pregar sempre e non mai cessare. E se si chiede fino a quando dobbiamo durarla nella preghiera, si risponde: fino al termine della vita.
Molti cristiani pensano che le loro preghiere siano inutili o perché non ne veggono tosto l’effetto o non ottengono quelle grazie determinate che essi domandano. Ma è necessario sapere che Iddio esaudisce le nostre preghiere in quel modo ed in quel tempo che egli vede più opportuno e conveniente per la santificazione delle nostre anime e per l’avanzamento del suo regno, senza lasciarci sempre conoscere questo modo e questo tempo. Quando saremo nell’altro mondo, vedremo chiaro che neppure una parola delle nostre preghiere rimase senza effetto. Del resto tutte le volte che le nostre preghiere mancano di frutto, la colpa è nostra ché non preghiamo colle dovute disposizioni. Per compimento di questa breve istruzione devesi osservare che non si può pregar bene senza preparazione. Prima dell’orazione prepara l’anima tua e non sii qual uomo che tenta Iddio (Sir 18, 23). Rifletti quale onore sia presentarti al Signore re del cielo e della terra, rifletti anche a ciò che vuoi chiedere a Dio; scegliti una formula di preghiera che sia adattata alle tue circostanze e ai tuoi bisogni; mettiti alla presenza di Dio e fa’ che quelle parole le quali tu pronunzi a memoria o leggi sul libro, vengano dal cuore. In questo modo tu pregherai in spirito e verità.
Sebbene tu possa pregare devotamente in qualunque posizione, tuttavia è bene che tu scelga quella più atta a dimostrare anche esteriormente l’interna tua fede e devozione. Così vediamo il divin Salvatore, l’apostolo Paolo, il pubblicano, Maria Maddalena, Mosè, Salomone, Daniele, Michea pregare a mani giunte, in ginocchio, collo sguardo verso il cielo come in segno di fede o verso la terra come per sentimento d’umiltà. S’intende che pregando in chiesa dobbiamo tenere in modo particolare un contegno rispettoso e devoto, sia per rispetto al santissimo Sacramento dell’altare, in cui sta presente Gesù Cristo, sia per non dare cattivo esempio agli altri, ai quali dobbiamo anzi essere di edificazione col nostro esteriore atteggiamento.
1. Più consideriamo la nostra santa cattolica religione, più apprendiamo la sua bellezza, la sua grandezza e più rendesi manifesta la bontà, la sapienza e la misericordia di Dio, che ne è il fondatore. Ciò apparisce in maniera luminosa nei santi sacramenti. Egli è verità di fede che questi sacramenti sono sette, né più, né meno; essi furono tutti istituiti da nostro signor Gesù Cristo mentre era in questo mondo. Questi sacramenti sono: Battesimo, Cresima. Eucaristia, Penitenza, Estrema Unzione, Ordine e Matrimonio. Questi sacramenti sono altrettanti segni sensibili stabiliti da Dio per dare alle anime nostre le grazie che sono necessarie per salvarci, che è quanto dire che i sette sacramenti sono come sette canali con cui i celesti favori sono comunicati dalla divinità alla umanità.
2. Per mezzo del Battesimo noi siamo accolti nel seno di santa madre Chiesa, cessiamo di essere schiavi del demonio, siamo fatti figliuoli di Dio e perciò eredi del paradiso. Nella Cresima ovvero confermazione noi riceviamo la pienezza dei doni dello Spirito Santo e diventiamo perfetti cristiani. Nell’Eucaristia Gesù Cristo ci dà il suo corpo, il suo sangue, la sua anima e la sua divinità sotto le specie del pane e del vino consacrati. Questo è il più grande prodigio della potenza divina. Con un atto di amore immenso verso di noi, Dio trovò modo di dare alle anime nostre un cibo proporzionato e spirituale, dandoci cioè la medesima sua divinità. Nella Penitenza ci sono rimessi i peccati commessi dopo il Battesimo. Nell’Estrema unzione ovvero olio santo Dio viene in soccorso degli infermi e per mezzo della sacra unzione ci comunica le grazie necessarie per cancellare dall’anima nostra i peccati colle loro reliquie, per darci forza a sopportare pazientemente il male, fare una buona morte qualora Dio abbia decretato di chiamarci all’eternità ed anche per dare la sanità corporale se è utile alla salute dell’anima. Nel sacramento dell’Ordine ovvero nella sacra ordinazione Dio comunica ai sacri ministri le grazie necessarie per acquistare quell’alto grado di santità che è loro necessario; ed anche per poter guidare ed istruire i fedeli cristiani nelle verità della fede, nella fuga del vizio e nella pratica della virtù. Finalmente il Matrimonio è quel sacramento che dà la grazia ai coniugati di vivere tra loro in pace e carità ed allevare cristianamente la propria figliolanza qualora Dio nell’infinita sua sapienza giudichi di concederne.
3. Ecco, o cristiano, brevemente esposti i grandi mezzi che Gesù Cristo ha istituiti per la nostra salute. Egli ci procurò grandi benefizi colla sua incarnazione, ma tutti questi benefìci sono comunicati per mezzo dei suoi santi sacramenti. Se tu intanto non ti dai sollecitudine di approfittare di questi mezzi di salvezza secondo lo stato in cui ti trovi, tu non puoi partecipare al gran mistero della redenzione e perciò non potrai salvare l’anima tua. Fermati alcuni istanti a considerare come hai corrisposto a questi grandi segni dell’amor divino; ché se ti accorgi che la tua coscienza ti rimorde di qualche peccato procura di porvi rimedio al più presto possibile specialmente col prepararti a fare una buona confessione e una buona comunione.
Esempio - Nelle vite dei santi padri leggiamo un fatto che dimostra quanto giovi la pietà ai nostri interessi spirituali e temporali. Vivevano nella città di Alessandria di Egitto due calzolai; uno aveva numerosa famiglia, ma mentre si occupava per mantenerla era assai sollecito delle cose dell’anima seguendo il consiglio di Cristo che disse: cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e delle altre cose Dio vi provvederà. Egli era molto frequente alla chiesa, cioè interveniva volentieri ad ascoltare la parola di Dio, era frequente alla santa confessione e comunione e agli altri esercizi di cristiana pietà; pure pareva che Dio moltiplicasse i suoi beni temporali. L’altro faceva il contrario, vale a dire era sollecito di guadagni temporali non curandosi di andare alla chiesa e pensare all’anima. Onde anche i suoi affari andavano a rovescio e sebbene fosse solo, senza famiglia e lavorasse più del compagno, nulladimeno stentava a guadagnarsi da nutrir se medesimo. Vedendo egli il suo vicino che con meno fatica manteneva sé e la sua famiglia, incominciò a meravigliarsi e a portargli invidia. Un giorno non poté trattenersi dall’indirizzargli queste parole: Come va questo affare! io mi affatico più di te nel lavoro e non guadagno da potermi nutrire; e tu lavorando meno provvedi a te ed alla tua famiglia? Alla quale domanda, volendo egli santamente ingannare il compagno e fargli frequentare la chiesa, gli rispose così: sappi, fratello, che io vado in certo luogo in cui trovo moneta, per la quale io sono arricchito; se tu vuoi venire con me, ogni dì ti chiamerò e ciò che troveremo sarà mezzo mio e mezzo tuo. Volentieri, rispose l’altro; e cominciò ad andargli insieme ed ogni giorno lo menava seco nella chiesa. Come piacque a Dio, in breve tempo diventò ricco ed agiato. Allora gli disse il compagno: or vedi, fratello mio, quanto ti è giovato frequentare la chiesa! Sappi che qui si trova la grazia di Dio, la quale è il miglior tesoro del mondo; e come tu stesso hai provato, a chi è sollecito di Dio, Iddio è sollecito di lui. Fa dunque come hai cominciato, frequenta la chiesa e Dio non ti verrà meno. Cristiani, molti vogliono far fortuna col peccato, mentre vivono a Dio nemici, non frequentano chiese, non pregano, non s’accostano ai sacramenti, non santificano le feste e intanto vorrebbero che Dio li prosperasse e li rendesse felici. Stolti! Non sanno che il peccato è quello che fa miseri ed infelici i popoli? Miseros facit populos peccatum (Pr 14).
Giaculatoria: Gesù Signore, che ci hai redenti / al ciel mi guidino i sacramenti. // E tu, gran Vergine, madre d’amore, / nel cuore accendimi di fè l’ardore.
1. Un tratto grande della misericordia di Dio verso i peccatori abbiamo nel sacramento della confessione. Se Dio avesse detto di perdonarci i nostri peccati solamente col battesimo e non più quelli che per disgrazia si sarebbero commessi dopo aver ricevuto questo sacramento, oh quanti cristiani certo se ne andrebbero alla perdizione! Ma Dio conoscendo la nostra grande miseria stabilì un altro sacramento, con cui ci sono rimessi i peccati commessi dopo il battesimo. È questo il sacramento della confessione. Ecco come parla il Vangelo: Otto giorni dopo la sua risurrezione Gesù apparve ai suoi discepoli e loro disse: la pace sia con voi. Come il Padre celeste mandò me, così io mando voi, cioè la facoltà datami dal Padre celeste di fare quanto si giudica bene per la salvezza delle anime, la medesima io do a voi. Di poi il Salvatore soffiando sopra di loro disse: ricevete lo Spirito Santo, quelli a cui rimetterete i peccati, sono rimessi; quelli a cui li riterrete, saranno ritenuti. Ognuno comprende che le parole ritenere o non ritenere vogliono dire, dare o non dare l’assoluzione. Questa è la grande facoltà data da Dio ai suoi apostoli e ai loro successori nell’amministrazione dei santi sacramenti. Da queste parole del Salvatore nasce una obbligazione ai sacri ministri di ascoltare le confessioni e nasce egualmente l’obbligazione per il cristiano di confessare le sue colpe, affinché si conosca quando si deve dare o non dare l’assoluzione, quali consigli suggerire per riparare il male fatto, dare insomma tutti quei paterni avvisi che giudica necessari per riparare ai mali della vita passata e non commetterli più per l’avvenire.
2. Né la confessione fu cosa praticata solamente in qualche tempo e in qualche luogo. Appena gli apostoli cominciarono a predicare il Vangelo, tosto cominciò a praticarsi il sacramento della penitenza. Leggiamo che quando san Paolo predicava in Efeso, molti fedeli che già avevano abbracciata la fede venivano ai piedi degli apostoli e confessavano i loro peccati. Confitentes et annunciantes actus suos [At 19,18]. Dal tempo degli apostoli fino a noi fu sempre osservata la pratica di questo grande sacramento. La Chiesa cattolica condannò in ogni tempo come eretici quelli che ebbero l’ardimento di negare questa verità. Neppure avvi alcuno il quale se ne sia potuto dispensare. Ricchi e poveri, servi e padroni, re, monarchi, imperatori, sacerdoti, vescovi, i medesimi sommi pontefici, tutti devono piegare le ginocchia ai piedi di un sacro ministro per ottenere il perdono di quelle colpe che per avventura avessero commesse dopo il battesimo. Ma ohimè! quanti cristiani approfittano di rado o approfittano male di questo sacramento! Chi si accosta senza fare esame, altri si confessano con indifferenza, senza dolore o senza proponimento, altri poi tacciono cose importanti in confessione o non adempiono le obbligazioni imposte dal confessore. Costoro prendono la cosa più santa e più utile per servirsene a rovina di loro medesimi. Santa Teresa ebbe a questo proposito una tremenda visione. Ella vide che le anime cadevano giù all’inferno come cade la neve d’inverno sul dorso delle montagne. Spaventata di tale rivelazione, domandò a Gesù Cristo la spiegazione e ne ebbe in risposta che coloro andavano alla perdizione per le confessioni mal fatte in vita loro.
3. Coraggio, o cristiani, approfittiamo di questo sacramento di misericordia, ma approfittiamone colle dovute disposizioni. Preceda un diligente esame delle nostre colpe, confessiamole tutte, certe come certe, dubbie come dubbie in quel modo che le conosciamo, ma con un gran dolore di averle commesse; promettiamo di non più commetterle in avvenire. Ma soprattutto facciamo vedere il frutto delle nostre confessioni con un miglioramento nella nostra vita. Dio dice nel Vangelo che dal frutto si conosce la bontà dell’albero, così dal miglioramento della nostra vita apparirà la bontà o la nullità delle nostre confessioni: ex fructibus eorum cognoscetis eos [Mt 7,20].
Esempio - Un giovanetto della città di Montmirail nella Francia era vissuto cristianamente fino all’età di quindici anni, quando ebbe la sventura di frequentare cattivi compagni. I cattivi discorsi, la lettura di libri pessimi lo gettarono nell’abisso dell’incredulità e del libertinaggio. I suoi genitori si adoperarono per condurlo a buoni sentimenti, ma non potendo riuscire andarono in chiesa nella sera dell’Immacolata Concezione (8 dicembre 1839) e lo raccomandarono alle preghiere degli aggregati al sacro Cuore di Maria. La sera stessa in cui era stato raccomandato, viene il giovine a casa e senza dire nulla, contro il suo solito, se ne va a riposo. Egli non pensava a Maria, ma ella pensava a lui. Il 10 dicembre quasi fuori di sé chiama suo padre e gli dice: “Padre mio, io sono infelice e soffro assai, sono trentasei ore dacché non mi è più dato né di mangiare né di dormire. Io sono un leone arrabbiato e non so più né che dire né che fare; forza è che io vada dal curato”. Se ne parte, va dal curato e tutto agitato dai rimorsi della coscienza lo supplica di confessarlo. “Vi prego, disse al curato, di confessarmi subito. Non posso più vivere in questo stato”. Il parroco lo animò, lo confortò e di lì a poco ascoltò la sua dolorosa confessione. Ricevuta l’assoluzione, sentì tosto inondarsi il cuore di tale consolazione che non la poteva in sé contenere. Giunto a casa manifesta al padre la grazia ricevuta e la tranquillità di paradiso che gustava. Ciò che ancora gli stava a cuore, era il ravvedimento di coloro che aveva coi suoi scandali trascinati al male. Pieno di cristiano coraggio, nulla curandosi di quello che avrebbero detto i suoi antichi compagni, manifestò loro l’accadutogli, le consolazioni che provava dopo la confessione e li esortò quanto seppe, a fare anch’essi la prova. Insomma questa novella preda della misericordia di Maria fece come il penitente Davide quando per riparare lo scandalo dato procurava di guadagnare anime a Dio. Docebo iniquos vias tuas [Sal 50,15].
Giaculatoria: Da Dio impetrami, Madre d’amore / delle mie colpe vivo dolore.
1. Comprendi, o cristiano, che cosa vuol dire fare la santa comunione? Vuol dire accostarsi alla mensa degli angeli per ricevere il corpo, il sangue, l’anima e la divinità di nostro signor Gesù Cristo che viene dato in cibo all’anima nostra sotto alle specie del pane e del vino consacrato. Alla messa, al momento che il sacerdote proferisce sul pane e sul vino le parole della consacrazione, il pane ed il vino diventano corpo e sangue di Gesù Cristo. Le parole usate dal nostro divin Salvatore nell’instituire questo sacramento sono: Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue: hoc est corpus meum, hic est calix sanguinis mei [Lc 22,19-20]. Queste medesime parole usano i sacerdoti a nome di Gesù Cristo nel sacrificio della santa messa. Pertanto quando noi andiamo a fare la comunione riceviamo il medesimo Gesù Cristo in corpo, sangue, anima e divinità, cioè vero Dio e vero uomo, vivo come è in cielo. Non è la sua immagine, nemmeno la sua figura, come è una statua, un crocifisso, ma è Gesù Cristo medesimo siccome è nato dall’Immacolata Vergine Maria e per noi morì sulla croce. Gesù Cristo medesimo ci assicurò di questa sua reale presenza nella santa Eucaristia quando disse: Questo è il mio corpo che sarà dato per la salvezza degli uomini: corpus, quod pro vobis tradetur [Gv 6,51]. Questo è quel pane vivo, che discese dal cielo: hic est panis vivus, qui de caelo descendit. Il pane che io darò è la mia carne. La bevanda che io do è il mio vero sangue. Chi non mangia di questo corpo e non beve di questo sangue, non ha con sé la vita.
2. Gesù avendo istituito questo sacramento per il bene delle anime nostre desidera che noi vi ci accostiamo sovente. Ecco le parole con cui egli ci invita: Venite a me tutti, o voi che siete stanchi ed oppressi ed io vi solleverò: venite ad me omnes qui laboratis et onerati estis, et ego reficiam vos [Mt 11,28]. Altrove diceva agli Ebrei: “I vostri padri mangiarono la manna nel deserto e morirono; ma colui che mangia il cibo figurato nella manna, quel cibo che io do, quel cibo che è il mio corpo e il mio sangue, egli più non morrà in eterno. Colui che mangia la mia carne e beve il mio sangue egli abita in me ed io in lui; imperocché la mia carne è un vero cibo e il mio sangue una vera bevanda”. Chi mai potrebbe resistere a questi amorevoli inviti del divin Salvatore? Per corrispondere a questi inviti i cristiani dei primi tempi andavano ogni giorno ad ascoltare la parola di Dio ed ogni giorno si accostavano alla santa comunione. Egli è in questo sacramento che i martiri trovavano la loro fortezza, le vergini il loro fervore, i santi il loro coraggio. E noi con quale frequenza ci accostiamo a questo cibo celeste? Se esaminiamo i desideri di Gesù Cristo e il nostro bisogno dobbiamo comunicarci assai sovente. Siccome la manna ogni giorno servì di cibo corporale agli Ebrei in tutto il tempo che vissero nel deserto, finché furono condotti nella terra promessa, così la santa comunione dovrebbe essere il nostro conforto, il cibo quotidiano nei pericoli di questo mondo per guidarci alla vera terra promessa del paradiso. Sant’Agostino dice così: Se ogni giorno domandiamo a Dio il pane corporale, perché non procureremo anche di cibarci ogni giorno del pane spirituale colla santa comunione? San Filippo Neri incoraggiava i cristiani a confessarsi ogni otto giorni e comunicarsi anche più spesso secondo l’avviso del confessore. Finalmente, la santa Chiesa manifesta il suo vivo desiderio della frequente comunione nel Concilio tridentino, ove dice: “Sarebbe cosa sommamente desiderevole che ogni fedel cristiano si mantenesse in tale stato di coscienza da poter fare la santa comunione ogni volta che interviene alla santa messa”. Il pontefice Clemente XIII per incoraggiare i cristiani ad accostarsi con gran frequenza alla santa confessione e comunione concedette il seguente favore: quei fedeli cristiani che hanno la lodevole consuetudine di confessarsi ogni settimana possono acquistare indulgenza plenaria ogni qualvolta fanno la santa comunione.
3. Taluno dirà: io sono troppo peccatore. Se tu sei peccatore, procura di metterti in grazia col sacramento della confessione e poi accostati alla santa comunione e ne avrai grande aiuto. Un altro dirà: mi comunico di rado per avere maggior fervore. È questo un inganno. Le cose che si fanno di rado per lo più si fanno male. Altronde essendo frequenti i tuoi bisogni, frequente deve essere il soccorso per l’anima tua. Alcuni soggiungono: io sono pieno d’infermità spirituali e non oso comunicarmi sovente. Risponde Gesù Cristo: quelli che stanno bene non hanno bisogno del medico; perciò quelli che sono maggiormente soggetti ad incomodi, loro è mestieri essere sovente visitati dal medico. Coraggio dunque, o cristiano, se tu vuoi fare un’azione la più gloriosa a Dio, la più gradevole a tutti i santi del cielo, la più efficace per vincere le tentazioni, la più sicura a farti perseverare nel bene, ella è certamente la santa comunione.
Esempio - Un giovanetto di nome Savio Domenico per il vivo desiderio di piacere a Maria le offriva ogni giorno qualche preghiera, ma ogni sabato faceva la santa comunione in onore di colei, che egli soleva chiamare madre carissima. L’anno 1856 fece il mese di Maria con tale fervore che i suoi compagni ne erano tutti edificati. Ogni giorno domandava a Maria che lo togliesse dal mondo piuttosto che avesse da perdere la virtù della purità. Nel giorno poi della chiusa domandò una sola grazia: di poter fare una buona comunione prima di morire. La santa Vergine lo esaudì. Nove mesi dopo (9 marzo 1857) egli moriva in età di anni quindici dopo di aver ricevuto il santissimo viatico coi più grandi trasporti di tenerezza e di devozione. Negli istanti che passavano tra il ricevimento del viatico fino alla sua morte, egli andava sempre dicendo: “O Maria, voi mi avete esaudito, io sono ricco abbastanza. Altro da voi non domando se non che mi assistiate in questi ultimi momenti di vita e mi accompagniate da questa vita all’eternità”. Quasi nel momento stesso che egli cessava di proferire queste parole, l’anima sua volava al cielo certamente, accompagnata da Maria di cui in vita era stato fervoroso devoto.
Giaculatoria: Vi adoro ogni momento / o vivo pan del ciel / gran Sacramento.
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