Non la nostra idea di Dio, ma Dio, così come non la nostra idea di prossimo, ma il nostro prossimo. Abbiamo bisogno di Dio non come di una strada per farvi passare altri nostri sogni, desideri o progetti ma come della nostra unica meta.
del 29 luglio 2005
 
Queste note parlano di me, di H. e di Dio. In quest’ordine. L’ordine e le proporzioni sono l’esatto contrario di quelli che avrebbero dovuto essere.
E vedo che in nessun punto mi è accaduto di rivolgermi all’uno o all’altra con quel modo del pensiero che chiamiamo lode.
Eppure sarebbe stata, per me, la cosa migliore. La lode è il modo dell’amore che ha sempre in sé un elemento di gioia.
Lode nel giusto ordine: di Lui come donatore, di lei come dono.
Non godiamo forse un poco, nella lode, di ciò che lodiamo anche se ne siamo lontani?
«È nelle mani di Dio». L’idea ha una nuova energia quando penso a lei come a una spada. Forse la vita terrena che ho vissuto con lei era solo parte del processo di temperatura.
Ora forse Egli stringe l’elsa, soppesa la nuova arma, ne fende l’aria traendone saette. «Una vera lama di Gerusalemme».
Non importa se tutte le fotografie di H. sono brutte.
Non importa (non molto) se il mio ricordo di lei è imperfetto.
Le immagini, sulla carta o nella mente, non sono importanti per sé. Sono solo agganci.
Prendiamo un parallelo da una sfera infinitamente pi√π alta.
Domattina un prete mi darà una piccola cialda rotonda, sottile, fredda e insapora. È uno svantaggio, o non forse in qualche modo un vantaggio, che questa cosa non possa ambire alla benché minima somiglianza con ciò a cui mi unisce?
Io ho bisogno di Cristo, e non di qualcosa che gli somigli. Voglio H., e non qualcosa che sia simile a lei. Una fotografia veramente bella potrebbe alla fine diventare una trappola, un orrore, e un ostacolo.
Non la mia idea di Dio, ma Dio.
Non la mia idea di H., ma H.
Sì, e anche non la mia idea del mio prossimo, ma il mio prossimo.
Forse che non facciamo spesso questo errore con chi è ancora vivo, con chi è accanto a noi nella stessa stanza? Rivolgendo le nostre parole e le nostre azioni non all’uomo vero ma al ritratto, al riassunto, quasi, che ne abbiamo fatto, nella nostra mente?
E bisogna che lui se ne discosti in modo radicale perché noi arriviamo ad accorgercene. Nella sua mano c’è sempre un carta di cui non sapevamo nulla.
Per esempio, sto semplicemente cercando di rappacificarmi con Dio perché so che, se c’è una strada che porta ad H., passa attraverso di Lui? Però so anche benissimo che Lui non può essere usato come strada.
Se ti avvicini a Lui come a una strada e non come alla meta, come a un mezzo e non come al fine, in realtà non ti stai affatto avvicinando a Lui.
Signore, sono dunque queste le tue condizioni?
Potrò ritrovare H. solo se imparerò ad amarti al punto che non mi importerà più se la ritrovo o no?
Considera, Signore, come questo appare a noi.
Che impressione darei se dicessi ai ragazzi: «Niente dolci, ora. Però quando sarete grandi e i dolci non vi interesseranno più, potrete averne quanti ne vorrete»?
Se sapessi che essere diviso da H. e per l’eternità dimenticato da lei accrescerebbe la gioia e lo splendore del suo essere, è chiaro che direi: «Ci sto!».
Così come qui in terra, se il non rivederla mai più avesse potuto farla guarire dal cancro, avrei fatto in modo di non rivederla mai più. Non avrei potuto fare diversamente. Qualunque persona di coscienza farebbe lo stesso.
Ma no, non va bene. La situazione in cui mi trovo ora è tutt’altra.
Quando pongo queste domande davanti a Dio, non ricevo nessuna risposta.
Ma è un «nessuna risposta» di tipo speciale.
Non è la porta sprangata.
Assomiglia piuttosto a un lungo sguardo silenzioso, e tutt’altro che indifferente.
Come se Lui scuotesse il capo non in segno di rifiuto, ma per accantonare la domanda.
Come a dire: «Zitto, bimbo; tu non capisci».
 
 
 
da C. S. Lewis, Diario di un dolore, Edizioni Adelphi 1990.
Clive Staples Lewis
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