A sacerdoti e suore di Milano Papa Francesco dice di non temere le sfide e di non perdere la gioia dell'evangelizzazione...
del 27 marzo 2017
A sacerdoti e suore di Milano Papa Francesco dice di non temere le sfide e di non perdere la gioia dell'evangelizzazione...
«Dobbiamo temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutto fatto... Questa fede non serve. Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica». Il Duomo di Milano è gremito di preti, suore e religiosi. Ci sono tanti sacerdoti ammalati, in sedia a rotelle. Tra di loro anche il cardinale Dionigi Tettamanzi, che Francesco saluta con grande affetto. È un momento centrale della visita del Pontefice nella diocesi ambrosiana: il dialogo con preti e suore. Oltre ad alcuni rappresentanti di altre confessioni cristiane è presente anche una piccola delegazione islamica. Francesco, che conosceva in anticipo le domande, ha preparato degli appunti scritti, ma li integra in continuazione aggiungendo frasi a braccio.
Liberi dai risultati
Rispondendo a una domanda di don Gabriele Gioia, ha detto: «Tu sai che l’evangelizzazione non sempre è sinonimo di prendere pesci. Andare e prendere il largo, dare testimonianza. Poi c’è il Signore, Lui prende i pesci, quando come e dove non lo sappiano. Noi siamo strumenti inutili». Il Papa ha quindi invitato a «non perdere la gioia di evangelizzare perché evangelizzare è una gioia. Dobbiamo chiedere la grazia di non perderla. Non va essere tristi, un evangelizzatore triste è come non fosse convinto che Gesù è gioia, ti porta la gioia, e quando ti chiama di cambia la vita e ti invia in gioia. Anche nella croce, ma in gioia».
Le sfide aiutano la fede
«Ogni epoca storica, fin dai primi tempi del cristianesimo, è stata continuamente sottoposta a molteplici sfide», perciò, ha spiegato Francesco, «non dobbiamo temere le sfide, si devono prendere come il bue, per le corna! Non temerle. È bene che ci siano, perché ci fanno crescere, sono segno di fede viva, di una comunità viva che cerca il suo Signore e tiene occhi e cuori aperti». Il Papa ha aggiunto: «Dobbiamo piuttosto temere una fede senza sfide, una fede che si ritiene completa, tutto fatto, come se tutto fosse stato detto e realizzato. Questa fede non serve. Le sfide ci aiutano a far sì che la nostra fede non diventi ideologica. Sempre le ideologie crescono e germogliano quando uno crede di avere la fede completa». Le sfide «ci salvano da un pensiero chiuso e definito e ci aprono a una comprensione più ampia del dato rivelato».
Per una cultura della diversità
«Credo che la Chiesa - ha detto ancora il Papa - nell’arco di tutta la sua storia ha molto da insegnarci e aiutarci per una cultura della diversità. Lo Spirito Santo è il Maestro della diversità. La Chiesa pur essendo una è multiforme. La Tradizione ecclesiale ha una grande esperienza di come “gestire” il molteplice all’interno della sua storia e della sua vita. Abbiamo visto e vediamo molte ricchezze e molti orrori/errori». Francesco ha invitato a guardare al mondo «senza condannarlo e senza santificarlo, riconoscendo gli aspetti luminosi e gli aspetti oscuri. Come pure aiutandoci a discernere gli eccessi di uniformità o di relativismo». Non bisogna confondere - ha continuato - «unità con uniformità», né «pluralità con pluralismo». Ciò che si cerca di fare «è ridurre la tensione e cancellare il conflitto o l’ambivalenza a cui siamo sottoposti in quanto esseri umani», ma «cercare di eliminare uno dei poli della tensione è eliminare il modo in cui Dio ha voluto rivelarsi nell’umanità del suo Figlio».
Formare al discernimento
«La cultura dell’abbondanza a cui siamo sottoposti - ha detto ancora il Papa - offre un orizzonte di tante possibilità, presentandole tutte come valide e buone. I nostri giovani sono esposti a uno zapping continuo». Francesco ritiene che «sia bene insegnare loro a discernere, perché abbiano gli strumenti e gli elementi che li aiutino a percorrere il cammino della vita senza che si estingua lo Spirito Santo che è in loro». Quando si è bambini, ha continuato «è facile che il papà e la mamma ci dicano quello che dobbiamo fare, e va bene. Ma via via che cresciamo, in mezzo a una moltitudine di voci dove apparentemente tutte hanno ragione, il discernimento di ciò che ci conduce alla risurrezione, alla vita e non a una cultura di morte, è cruciale».
I diaconi non sono «mezzi preti»
Rispondendo alla domanda di un diacono permanente, il Papa ha messo in guardia dal considerare «i diaconi come mezzi preti e mezzi laici. Questo è un pericolo, eh! Alla fine non stanno né di qua né di là. Guardarli così ci fa male e fa male a loro».
C’è il pericolo del clericalismo, ha aggiunto Francesco, e «talvolta sembra quasi che il diacono prendere il posto del prete». L’altra tentazione «è quella del funzionalismo, un ragazzo che serve per certi compiti. No, voi - ha aggiunto - avete un carisma chiaro nella Chiesa e dovete custodirlo. Il diaconato è una vocazione specifica, una vocazione familiare che richiama il servizio come uno dei doni caratteristici del popolo di Dio». I vescovi, fin dai tempi apostolici, hanno come compito principale quello di pregare e di annunciare la Parola. I diaconi, hanno come compito il servizio «a Dio e ai fratelli. E quanta strada c’è da fare in questo senso!». Inoltre, ha osservato ancora Bergoglio «non c’è servizio all’altare, non c’è liturgia che non si apra al servizio dei poveri, e non c’è servizio dei poveri che non conduca alla liturgia».
Pochi e anziani sì, rassegnati no
Infine Francesco ha risposto alla domanda di una religiosa orsolina, che ha parlato della difficoltà per la mancanza di vocazioni: l’essere in pochi e sempre più anziani. Il Papa ha parlato del sentimento della rassegnazione. «Senza accorgerci, ogni volta che pensiamo o constatiamo che siamo pochi, o in molti casi anziani, che sperimentiamo il peso, la fragilità più che lo splendore, il nostro spirito comincia ad essere corroso dalla rassegnazione. E la rassegnazione conduce poi all’accidia… Pochi sì, in minoranza sì, anziani sì, rassegnati no!». Il rimedio che «ristora e da pace», ha aggiunto, è la misericordia di Dio. Quando invece ci si rassegna o si vive pensando alle glorie del passato, «incominciano a essere pesanti le strutture, adesso vuote, e ci viene di venderle per avere i soldi per la vecchiaia. Incominciano a essere pesanti i soldi che abbiamo in banca e la povertà dove va? Ma il Signore è buono, quando una congregazione religiosa non va per la strada della povertà, di solito il Signore invia un economo o una economa che fa crollare tutto, e questa è una grazia!».
Tornare a essere lievito
La risposta sta nel «rivisitare le origini, una memoria che ci salva da qualunque immaginazione gloriosa ma irreale del passato». I nostri padri e madri fondatori - ha detto ancora Bergoglio - «non pensarono mai ad essere una moltitudine, o una gran maggioranza. I nostri fondatori si sentirono mossi dallo Spirito Santo in un momento concreto della storia ad essere presenza gioiosa del Vangelo per i fratelli; a rinnovare ed edificare la Chiesa come lievito nella massa, come sale e luce del mondo». Le nostre congregazioni «non sono nate per essere la massa, ma un po’ di sale e un po’ di lievito, che avrebbe dato il proprio contributo perché la massa crescesse; perché il Popolo di Dio avesse quel “condimento” che gli mancava». Per molti anni «siamo cresciuti con l’idea che le famiglie religiose dovessero occupare spazi più che avviare processi. Questa è una tentazione».
Le ultime due suore in Afghanistan
Il Papa ha quindi invitato a leggere un articolo sull’Osservatore Romano che racconta «delle ultime due piccole sorelle di Gesù dell’Afghanistan, che stavano fra i musulmani. Devono tornare, sono anziane... benvolute da tutti... perché testimoni, perché consacrate a Dio Padre di tutti. E io ho detto al Signore questo: Gesù perché lasci questa gente così? E mi è venuto in mente il popolo coreano che ha avuto all’inizio tre quattro missionari cinesi, e poi per due secoli il messaggio è stato portato avanti dai laici! Le strade del Signore sono come Lui vuole che siano. Ci farà bene fare un atto di fiducia, è Lui che conduce la storia».
Il «grazie» a Milano
Il Papa è quindi uscito sul sagrato del Duomo per recitare l’Angelus con i fedeli nella piazza. «Vi saluto e vi ringrazio per questa calorosa accoglienza qui a Milano - ha detto Francesco - la nebbia se n’è andata, le cattive lingue dicono che verrà la pioggia, non so, io non la vedo ancora. Grazie tante per il vostro affetto e vi chiedo di pregare per me perché io possa servire il Signore e fare la sua volontà».
Andrea Tornielli
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