La lectio divina è l'arte che cerca di attuare il passaggio dal testo biblico alla vita e si presenta così come un prezioso strumento che può aiutare a superare il fossato spesso constatabile nelle nostre chiese tra fede e vita, tra spiritualità e quotidianità.
del 01 gennaio 2002
«È apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna [...] a vivere» (Tito 2,11-12). Questo passo neotestamentario parla di Cristo come grazia personificata che insegna all’uomo a vivere. Se è lo Spirito il grande maestro della vita cristiana, la Scrittura, che è sacramento della volontà e della Parola di Dio, può essere intesa come l’elemento che trasmette questo insegnamento. Certo, si tratta della Scrittura interpretata nello Spirito santo, della Scrittura pregata.
La lectio divina è l’arte – debitrice nei confronti della tradizione ebraica di lettura della Bibbia ed erede della grande tradizione ermeneutica patristica – che cerca di attuare il passaggio dal testo biblico alla vita e si presenta così come un prezioso strumento che può aiutare a superare il fossato spesso constatabile nelle nostre chiese tra fede e vita, tra spiritualità e quotidianità. Essa appare come un’ermeneutica esistenziale della Scrittura che, portando l’uomo a volgere innanzitutto lo sguardo a Cristo, a cercare lui attraverso la pagina biblica, lo guida poi a porre in dialogo la propria esistenza con il volto di Cristo rivelato, per arrivare a veder illuminata di luce nuova la propria quotidianità. I quattro gradini della lectio divina – lectio, meditatio, oratio, contemplatio – rappresentano un approfondimento progressivo del testo biblico in cui l’atto di lettura è chiamato a divenire incontro con il Signore vivente, dialogo con lui, esposizione della propria vita alla luce del Cristo che ordina l’esistenza del credente.
Il processo messo in atto dalla lectio divina è l’umanissimo itinerario che dall’ascolto conduce alla conoscenza e da qui all’amore. Si tratta, nella lectio, di fare lo sforzo di uscita da sé per superare l’alterità e la distanza cronologica e culturale del testo, dell’«altro» nella relazione; quindi, nella meditatio, di approfondire la conoscenza, di cercare il messaggio centrale del testo, di far emergere il volto di Cristo dalla pagina biblica; poi, nell’oratio, di applicare il messaggio emerso alla propria vita e la propria vita al messaggio biblico: l’oratio si configurerà così come risposta alla Parola in forma di preghiera, ma anche come assunzione di responsabilità della stessa Parola ascoltata.
Il piano della preghiera è il piano stesso della vita: etica e fede non appaiono disgiunte, ma intrinsecamente connesse. L’intenzionalità dialogica della Bibbia viene così attuata dalla lectio divina e raggiunge la dimensione dialogica costitutiva dell’essere umano stesso: l’efficacia della Parola di Dio contenuta nella Bibbia si manifesta sul piano dell’essere, ben più e ben prima del fare. Questo significa la contemplatio, che non si riferisce a esperienze mistiche o estatiche, ma indica un livello di comunicazione intraducibile in parole: silenzio, lacrime, presenza dell’amato all’amante, discernimento dell’ineffabile presenza del Signore... Ma indica anche ciò che opera in noi l’azione dello Spirito che abita la Parola: egli crea in noi la longanimità, la pazienza, l’unificazione interiore, il discernimento, la capacità eucaristica, la compassione per tutte le creature, in una parola, la dilatazione della carità. La lectio divina opera il passaggio della Parola nella vita anzitutto così: facendo dell’uomo un essere capace di ascolto, quindi di fede.
La lettura richiesta dalla lectio divina non è tanto intellettuale, quanto sapienziale, e obbedisce al principio esposto dal beato Francesco da Siena: «Non l’erudizione ma l’unzione, non la scienza ma la coscienza, non la carta ma la carità». È una lettura che esige capacità di interiorizzazione, affinché la Parola si depositi e si radichi nel cuore umano; richiede perseveranza, cioè quotidiano rinnovamento dell’attitudine di ascolto, capacità di durare, di rimanere nel tempo, perché la fede non è l’esperienza di un momento o di un’ora della vita, ma abbraccia l’interezza dell’esistenza; richiede lotta spirituale, cioè capacità di restare attaccati alla Parola ascoltata e di custodirla come bene prezioso senza svenderla preferendole quei beni illusori ma seducenti che sono gli idoli.
La lettura della Bibbia attraverso la lectio divina situa dunque la vita del credente nella tensione più evangelicamente feconda, quella della conversione. Essa porta il lettore-ascoltatore a leggere e pensare la propria vita da”‘vanti alla volontà di Dio rivelata nella Scrittura, per arrivare a vivere in conformità alla stessa volontà divina. La lettura della Bibbia secondo la lectio divina si riflette nella vita non tanto nel senso che conduca a compiere determinate opere piuttosto di altre, bensì nel senso che essa accende e tiene accesa quella luce grazie alla quale soltanto tutto l’agire del credente diviene testimonianza ed evangelizzazione per gli uomini: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, affinché, se vedono le vostre opere belle, rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (Matteo 5,16).
La Scrittura esige di essere vissuta per essere veramente compresa, ed esige di essere vissuta in uno spazio comunitario, insieme e accanto ad altri: «Molte cose nella sacra Scrittura che da solo non sono riuscito a capire, le ho capite mettendomi di fronte ai miei fratelli [...]. Mi son reso conto che l’intelligenza mi era concessa per merito loro» (Gregorio Magno). Così dunque avviene il passaggio dalla Scrittura alla vita, dal testo alla testimonianza: la Scrittura ispirata è anche ispirante e vuole accendere nel cuore del credente il fuoco dello Spirito (cfr. Luca 24,32) affinché questo dispieghi in lui la sua potenza. La lettura della Scrittura tende a divenire testimonianza della Presenza, martyria, e trova il suo compimento più alto nel martirio, nel dono della vita per amore. Rabbi Akiva ha vissuto il suo martirio come compimento della richiesta dello Shema’: «Amerai il Signore con tutta la tua vita» (Deuteronomio 6,5). Mentre il suo corpo veniva scarnificato dai torturatori rabbi Akiva recitava lo Shema’ e ai suoi discepoli che volevano interromperlo rispose: «Per tutta la vita mi sono preoccupato di questo versetto: “Amerai Dio con tutta la tua vita”, cioè lo amerai anche nel caso che ti tolga la vita, e dicevo: Quando mi sarà possibile compiere ciò? E ora che mi è possibile non dovrei adempierlo?» (Talmud babilonese, Berakot 61B). La Parola che ha illuminato la vita arriva a vivificare anche la morte. Quanto detto ci aiuta a rispondere all’obiezione oggi diffusa in ambienti cattolici e che possiamo esprimere così: se la Parola di Dio è efficace, se vi è tra i credenti questo ritorno alla Parola di Dio ascoltata nella Scrittura, dove si manifesta tale efficacia? Dove sono reperibili i segni di tale potenza? È un’obiezione rivelatrice di come sia difficile assumere dalla Scrittura e non da noi stessi o da ambienti mondani il criterio dell’efficacia della croce. La Parola, come il Cristo, è inscindibile dalla croce e la sua potenza e sapienza è paradossale come la potenza e la sapienza della croce. Non a caso Paolo parla di ho logos ho tou staurou, cioè di «parola della croce» (1 Corinti 1,18), e comunque questa efficacia è ordinata alla fede e coglibile solo nello spazio della fede. E solo la fede ci può guidare nel cogliere l’attuale stagione ecclesiale di martirio come frutto dell’efficacia della Parola ascoltata e servita fino al dono della vita” per amore. Per amore di Dio e degli uomini, anche dei nemici e degli aguzzini.
Enzo Bianchi
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