José Manuel Prellezo
Miei cari figliuoli,
Sovente e da varie parti mi arrivano ora domanda, ora anche preghiera, perchè io voglia dare alcune regole ai Direttori, ai Prefetti ed ai Maestri, che servano loro di norma nel difficile caso in cui si dovesse infliggere qualche castigo nelle nostre case. Voi sapete in quali tempi viviamo, e con quanta facilità una piccola imprudenza potrebbe portare con sè gravissime conseguenze.
Nel desiderio pertanto di secondare la vostra domanda, ed evitare a me ed a voi dispiaceri non indifferenti, e, meglio ancora, per ottenere il maggior bene possibile in quei giovinetti che la Divina Provvidenza affiderà alla nostra cura, vi mando alcuni precetti e consigli, che se voi procurerete, come io spero, di praticare, vi aiute ranno assai nella santa e difficile opera della educazione religiosa, morale e scientifica.
In generale il sistema che noi dobbiamo adoperare è quello chiamato preventivo il quale consiste nel disporre in modo gli animi de' nostri allievi, che senza alcuna violenza esterna debbano piegarsi a fare il nostro volere. Con tal sistema io intendo di dirvi che mezzi coercitivi non sono mai da adoperarsi, ma sempre e soli quelli della persuasione e carità.
Che se l'umana natura, troppo inclinevole al male, ha talvolta bisogno di essere costretta dalla severità, credo bene di proporvi alcuni mezzi, i quali, io spero coll'aiuto di Dio ci condurranno a fine consolante. Anzitutto se vogliamo farci vedere amici del vero bene dei nostri allievi, ed obbligarli a fare il loro dovere, bisogna che voi non dimentichiate mai che rappresentate i genitori di questa cara gioventù, che fu sempre il tenero oggetto delle mie occupazioni, de’ miei studi, e del mio ministero sacerdotale, e della nostra Congregazione Salesiana. Se perciò sarete veri padri dei vostri allievi, bisogna che voi ne abbiate anche il cuore; e non veniate mai alla repressione o punizione senza ragione e senza giustizia; e solo in modo di chi in questa si adatta per forza e per compiere un dovere. Io intendo di esporvi qui quali siano i veri motivi, che vi debbano indurre alla repressione, e quali siano i castighi da adottarsi e da chi applicarsi.
Quante volte, miei cari figliuoli, nella mia lunga carriera ho dovuto persuadermi di questa grande verità! È certo più facile irritarsi che pazientare: minacciare un fanciullo che persuaderlo: direi che è più comodo alla nostra impazienza ed alla nostra superbia, castigare quelli che ci resistono, che correggerli col sopportarli con fermezza e con benignità. La carità che vi raccomando è quella che adoperava S. Paolo verso i fedeli di fresco convertiti alla religione del Signore, e che sovente lo faceva piangere, e supplicare quando se li vedeva meno docili e corrispondenti al suo zelo.
Perciò io raccomando a tutti i Direttori, che prima debbano adoperare la correzione paterna verso i nostri cari figliuoli, e che questa sia fatta in privato, o come si suol dire in camera charitatis. In pubblico non si sgridi mai direttamente, se non fosse per impedire lo scandalo, o per ripararlo qualora fosse già dato.
Se dopo la prima ammonizione non si vede alcun profitto, se ne parli con un altro superiore che abbia sul colpevole qualche influenza; e poi alla fine se ne parli col Signore. Io vorrei che il Salesiano fosse sempre come Mosè, che si studia di placare il Signore giustamente indignato contro il suo popolo d’Israele. Io ho veduto che raramente giova un castigo improvviso e dato senza aver prima cercato altri mezzi. Niuna cosa, dice S. Gregorio, può forzare un cuore, che è come una cittadella inespugnabile, e che fa d’uopo guadagnare con l’affetto e con la dolcezza. Siate fermi nel volere il bene, e nell’impedire il male, ma sempre dolci e prudenti; siate poi perseveranti ed amabili, e vedrete che Dio vi renderà padroni anche del cuore meno docile. Lo so, questa è perfezione, che si incontra non tanto di frequente ne’ maestri e negli assistenti, spesso ancor giovanetti. Essi non sogliono pigliare i fanciulli, come converrebbe pigliarli: non farebbero che castigare materialmente, e non riescono a nulla, o lasciano andar tutto a male, o colpiscono a torto od a ragione.
È per questo motivo, che sovente vediamo il male propagarsi, diffondersi il malcontento anche in quelli che sono i migliori, e che il correttore è reso impotente a qualunque bene. Devo perciò anche qui portarvi di nuovo per esempio la mia propria esperienza. Ho sovente incontrato certi animi così caparbii, così restii ad ogni buona insinuazione, che non mi lasciavano più nessuna speranza di salute, e che ormai vedeva la necessità di prendere per loro misure severe, e che furono piegati solamente dalla carità. Alcune volte a noi sembra che quel fanciullo non faccia profitto dalla nostra correzione, mentre invece sente nel suo cuore ottima disposizione per secondarci, e che noi manderemmo a male, con un malinteso rigore, e col pretendere che il colpevole faccia subita e grave emenda del suo fallo. Vi dirò prima di tutto che egli forse non crede di aver tanto demeritato con quella mancanza, che egli commise più per leggerezza che per malignità. Sovente chiamati a me alcuni di questi piccoli riottosi, trattati con benevolenza, e richiesti perchè si mostravano tanto indocili, ne ebbi per risposta, che lo facevano perchè erano presi di mira, come si suol dire, o perseguitati da questo o da quel superiore. Io poi informandomi dello stato delle cose con calma e senza preoccupazione, doveva convincermi che la
colpa diminuiva di assai, ed alcune volte scompariva quasi intieramente. Per la qual cosa devo dirlo con qualche dolore che della poca sommissione di questi tali, noi medesimi avevamo sempre una parte di colpa. Vidi che sovente questi che esigevano dai loro allievi silenzio, castigo, esattezza ed ubbidienza pronta e cieca, erano pur quelli che violavano le salutari ammonizioni che io ed altri superiori dovevamo fare; e dovetti convincermi che i maestri che nulla perdonano agli allievi, sogliono poi perdonar tutto a se stessi. Adunque se vogliamo saper comandare, guardiamo di saper prima ubbidire; e cerchiamo prima di farci amare che temere. Quando poi è necessaria la repressione, e devesi mutare sistema; giacchè sono certe indoli che è forza domare col rigore, bisogna saperlo fare in modo che non compaia alcun segno di passione. Ed ecco venire spontanea la raccomandazione seconda, che io intitolo così:
Ogni cosa a suo tempo, disse lo Spirito Santo; ed io vi dico che occorrendo una di queste dolorose necessità, occorre pure una grande prudenza per saper cogliere il momento, in cui essa repressione sia salutare. Imperocchè le malattie dell’anima domandano di essere trattate almeno come quelle del corpo. Nulla è più pericoloso di un rimedio dato male a proposito o fuori tempo. Un medico saggio aspetta che l’infermo sia in condizione di sostenerlo, ed a tal fine aspetta l’istante favorevole. E noi potremo conoscerlo solo dalla esperienza perfezionata dalla bontà del cuore. E prima di tutto aspettate che siate padroni di voi medesimi; non lasciate conoscere che voi operate per umore o per furia; perchè allora perdereste la vostra autorità, ed il castigo diventerebbe pernicioso.
Si ricorda dai profani il famoso detto di Socrate ad uno schiavo, di cui non era contento:
Se non fossi in collera ti batterei. Questi piccoli osservatori, che sono i nostri allievi, vedono per poca o leggiera che sia la commozione del vostro volto o del tono della voce, se è zelo del nostro dovere, o ardore della passione, che accese in noi quel fuoco. Allora non occorre di più per far perdere il frutto del castigo: essi, quantunque giovanetti, sentono che non vi è che la ragione che abbia diritto di correggerli. In secondo luogo non punite un ragazzo nell’istante medesimo del suo fallo, per timore, che non potendo ancora confessare la sua colpa, vincere la passione, e sentire tutta l’importanza del castigo, non si inasprisca e non ne commetta di nuovi e di più gravi. Bisogna lasciargli il tempo per riflettere, per rientrare in se stesso, sentire tutto il suo torto ed insieme la giustizia e la necessità della punizione, e con ciò metterlo in grado di trarne profitto. Mi ha fatto sempre pensare la condotta che il Signore volle tenere con S. Paolo, quando questi [era] ancor spirans irae atque minarum contro i cristiani; e mi parve di vedere la regola lasciata anche a noi quando incontriamo certi cuori ricalcitranti ai nostri voleri.
Non subito il buon Gesù lo atterra: ma dopo un lungo viaggio, ma dopo aver potuto riflettere sulla sua missione: ma lontano da quanti avrebbero potuto comecchessia dargli incoraggiamenti a perseverare nella risoluzione di perseguitare i cristiani. Là invece sulle porte di Damasco gli si manifesta in tutta la sua autorità e potenza, e con forza insieme e mansuetudine gli apre la mente, perchè conosca il suo errore. E fu appunto in quel momento che si cambiò l’indole di Saulo, e che da persecutore diventò apostolo delle genti, e vaso di elezione. Su questo divino esempio io vorrei che si formassero i miei cari Salesiani, e che con la pazienza illuminata, e con la carità industriosa attendessero nel nome di Dio quel momento opportuno per correggere i loro allievi.
Difficilmente quando si castiga si conserva quella calma che è necessaria, per allontanare ogni dubbio che si opera per far sentire la propria autorità, o sfogare la propria passione. E quanto più si fa con dispetto, tanto meno uno se ne accorge. Il cuore di padre, che noi dobbiamo avere, condanna questo modo di fare. Riguardiamo come nostri figli, quelli sui quali abbiamo da esercitare qualche potere. Mettiamoci quasi al loro servizio, come Gesù che venne ad ubbidire e non a comandare; vergognandoci di ciò che potesse aver l’aria in noi di dominatori; e non dominiamoli che per servirli con maggior piacere. Così faceva Gesù co’ suoi Apostoli, tollerandoli nella loro ignoranza e rozzezza, nella loro poca fedeltà, e col trattare i peccatori con una dimestichezza e famigliarità da produrre in alcuni lo stupore, in altri quasi lo scandalo, ed in molti la santa speranza di ottenere il perdono da Dio. Egli ci disse perciò di imparare da Lui ad essere mansueti ed umili di
cuore. Dal momento che sono i nostri figli, allontaniamo ogni collera quando dobbiamo reprimere i loro falli, o almeno moderiamola in guisa che sembri soffocata affatto. Non agitazione dell’animo, non disprezzo negli occhi, non ingiurie sul labbro; ma sentiamo la compassione pel momento, la speranza per l’avvenire, ed allora voi sarete i veri padri, e farete una vera correzione.
In certi momenti molto gravi giova più una raccomandazione a Dio, un atto di umiltà a Lui, che una tempesta di parole, le quali, se da una parte non producono che male in chi le sente, dall’altra parte nessun vantaggio in chi le merita. Ricordiamo il nostro Divin Redentore che perdonò a quella città, che non lo volle ricevere tra le sue mura, malgrado le insinuazioni pel suo decoro umiliato di quei due suoi zelanti Apostoli, che l’avrebbero veduto volentieri fulminarla per giusto castigo. Lo Spirito Santo ci raccomanda questa calma con quelle sublimi parole di Davide: Irascimini et nolite peccare. E se vediamo sovente riuscire inutile l’opera nostra, e non ricavare dalla nostra fatica che triboli e spine, credete, o miei cari, lo dobbiamo attribuire al difettoso sistema di disciplina. Non credo opportuno di dirvi in largo come Dio volle un giorno dare una solenne e pratica lezione al suo profeta Elia, che aveva un non so che di comune con alcuni di noi, nell’ardore per la causa di Dio, e nello zelo avventato per reprimere gli scandali, che vedeva propagati nella casa d’Israele. I vostri superiori ve la potranno riferire in disteso, come si legge nel libro dei Re; io mi limito all’ultima espressione, che fa tanto al caso nostro, ed è: Non in commotione Dominus, e che S. Teresa interpretava: Niente ti turbi.
Il nostro caro e mansueto S. Francesco, voi lo sapete, aveva fatto una regola severa a se stesso, per cui la sua lingua non parlerebbe, quando il cuore fosse agitato. Soleva dire in fatto: ‘Temo di perdere in un quarto d’ora quella poca dolcezza, che ho procurato di accumulare in venti anni a stilla a stilla, come la rugiada, nel vaso del mio povero cuore.
Un’ape impiega più mesi a fare un poco di miele, che un uomo mangia in un boccone: e poi, a che serve parlare a chi non intende?’. Essendogli un giorno rimproverato d’aver trattato con soverchia dolcezza un giovinetto che erasi reso colpevole con sua madre di grave mancanza, egli disse: ‘Questo giovane non era capace di profittare delle mie ammonizioni, poichè la cattiva disposizione del suo cuore lo aveva privato di ragione e di senno; un’aspra correzione non avrebbe servito a lui, e sarebbe stata a me di gran danno, facendomi fare come coloro che si annegano volendo salvare gli altri’. Queste parole del nostro ammirando Patrono, mite e sapiente educatore di cuori ve le ho volute sottolineare perchè richiamino meglio e più la vostra attenzione, ed anche voi ve le possiate più facilmente imprimere nella memoria.
In certi casi può giovare parlando alla presenza del colpevole con altre persone della disgrazia di coloro che mancano di ragione e di onore fino a farsi castigare; giova
sospendere i segni ordinarii di confidenza e di amicizia fino a che non si vegga che egli ha bisogno di consolazione. Il Signore mi consolò più volte con questo semplice artifizio.
La vergogna pubblica si riserbi come ultimo rimedio. Alcuna volta servitevi di altra persona autorevole che lo avvisi, e gli dica ciò che non potete, ma vorreste dirgli voi
stessi: che lo guarisca della sua vergogna, lo disponga a tornare a voi: cercate colui col quale il ragazzo possa nella sua pena aprire più liberamente il suo cuore, come forse non osa fare con voi, dubitando o di non essere creduto, o nel suo orgoglio di non dover fare.
Siano questi mezzi come i discepoli che Gesù soleva mandare innanzi a sè perchè gli preparassero la via.
Si faccia vedere che non si vuole altra soggezione, che quella ragionevole e necessaria.
Procurate di fare in modo, che egli si condanni da se medesimo, e non rimanga altro a fare, che mitigare la pena da lui accettata. Un’ultima raccomandazione mi resta a farvi, sempre su questo grave argomento. Quando voi avete ottenuto di guadagnare questo animo inflessibile, vi prego che non solo gli lasciate la speranza del vostro perdono, ma ancora quella che egli possa, con una buona condotta, cancellare la macchia a sè fatta con i suoi mancamenti.
Bisogna evitare l’affanno ed il timore inspirato dalla correzione e mettere una parola di conforto. Dimenticare e far dimenticare i tristi giorni de’ suoi errori, è arte suprema di buon educatore. Alla Maddalena il buon Gesù non si legge che abbia ricordati i suoi traviamenti; come pure con somma e paterna delicatezza fece confessare e purgarsi S. Pietro della sua debolezza. Anche il fanciullo vuol essere persuaso che il suo superiore ha buona speranza della sua emendazione; e così sentirsi di nuovo messo dalla sua mano caritatevole per la via della virtù. Si otterrà più con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento, che dia fiducia al suo cuore, che con molti rimproveri, i quali non fanno che inquietare e comprimere il suo vigore. Io ho veduto vere conversioni con questo sistema, che in altro modo parevano assolutamente impossibili. So che alcuni de’ miei più cari figliuoli non hanno rossore di palesare, che furono guadagnati così alla nostra Congregazione e perciò a Dio. Tutti i giovanetti hanno i loro giorni pericolosi, e voi pure li aveste! e guai, se non ci studieremo di aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero. Alcune volte il solo far credere che non si pensa che l’abbia fatto con malizia, basta per impedire che ricada nel medesimo fallo. Saranno colpevoli, ma desiderano che
non si credano tali. Fortunati noi, se sapremo anche servirci di questo mezzo per educare questi poveri cuori! State sicuri, o miei cari figliuoli, che quest’arte, che sembra così facile e contraria a buon effetto, renderà utile il vostro ministero, e vi guadagnerà certi cuori, che furono e sarebbero per molto tempo incapaci, non che di felice riuscita, ma di buona speranza.
Ma non si dovranno usare mai i castighi? So, o miei cari, che il Signore volle paragonare se stesso ad una verga vigilante: virga vigilans, per rattenerci dal peccato, anche pel timore delle pene. Anche noi perciò possiamo e dobbiamo imitare parcamente e sapientemente la condotta, che Dio volle tracciare a noi con questa efficace figura.
Adoperiamo adunque questa verga, ma sappiamolo fare con intelligenza e carità, affinché il nostro castigo sia di natura da rendere migliore.
Ricordiamoci che la forza punisce il vizio, ma non guarisce il vizioso. Non si coltiva la pianta curvandola con aspra violenza, e non si educa perciò la volontà gravandola con giogo soverchio. Eccovi una serie di castighi, che soli io vorrei adoperati tra noi. Uno de’ mezzi più efficaci di repressione morale, è lo sguardo malcontento, severo e tristo del superiore, che fa vedere al colpevole, per poco cuore che abbia, di essere in disgrazia, e che lo può provocare al pentimento ed all’emenda. Correzione privata e paterna. Non troppi rimproveri; e fargli sentire il dispiacere dei parenti, e la speranza delle ricompense.
Alla lunga si sentirà costretto a mostrare gratitudine e perfino generosità. Ricadendo, non siamo corti a carità; si passi ad avvertimenti più serii e recisi; così si potrà con giustizia fargli conoscere la differenza della sua condotta, con quella che si tiene verso di lui; mostrandogli come egli ripaga tanta accondiscendenza, tante cure per salvarlo dal disonore e dalle punizioni. Non però espressioni umilianti; si mostri di avere buona speranza su di lui, dichiarandoci pronti a dimenticare tutto dal momento, che egli avrà dati segni di condotta migliore.
Nelle mancanze più gravi si può venire ai seguenti castighi: pranzare in piedi al suo posto, od a tavola a parte; pranzare diritto in mezzo al refettorio, e per ultimo alla porta del refettorio. Ma in tutti questi casi sia somministrato al colpevole tutto quello che è dato alla mensa dei compagni. Castigo grave è privarlo della ricreazione; ma non metterlo mai al sole od alle intemperie in modo che ne abbia da patire danno.
Nel timore che in qualche collegio per rara eccezione ed assoluta necessità si credesse dover usare il camerino, ecco le precauzioni che vorrei adoperate: Il catechista od altro superiore vada sovente a visitare il povero colpevole, e con parole di carità e di compassione si cerchi di versar olio in quel cuore tanto esacerbato. Si compianga il suo stato, e si industrii a fargli capire come tutti i superiori siano dolenti di aver dovuto usare un castigo così estremo, e si capaciti a domandare perdono, a far atti di sottomissione, ed a chiamare che si faccia di lui un’altra prova della sua emendazione. Se pare che questo castigo produca il suo effetto, lo si levi anche prima del tempo, e si riuscirà a guadagnare sicuramente il suo cuore.
Il castigo dev’essere un rimedio: ora noi dobbiamo aver fretta di lasciarlo, quando abbiamo ottenuto il doppio scopo di allontanare il male, e di impedirne il ritorno. Riuscendo così di perdonare, si ottiene anche l’effetto prezioso di cicatrizzare la piaga fatta al cuore del fanciullo; egli vede che non ha perduta la benevolenza del suo superiore, e si rimette coraggiosamente al suo dovere.
Il non interrogarlo per un giorno nella scuola, può essere castigo grave; ma non si lasci di più. Intanto si provochi altrimenti a far penitenza della sua mancanza. Ora che vi dirò dei pensi? Un tal genere di punizione è per isventura troppo frequente. Ho voluto interrogare, su questo proposito, quello che ne dissero celebri educatori. V’ha chi lo approva, e chi lo biasima, come inutile e pericolosa cosa tanto al maestro, quanto al discepolo. Io lascio però a voi libertà di fare in questo, avvisandovi che per il maestro è pericolo grande di andare agli eccessi senza alcun giovamento, e che si dà all’alunno occasione di mormorare e di trovare molta pietà per l’apparente persecuzione del maestro. Il penso non riabilita nulla, ed è sempre una pena ed una vergogna. So che qualcuno de’ nostri Confratelli soleva dare per pensi lo studio di qualche brano di poesia o sacra o profana, e che con tal utile mezzo otteneva il fine della maggior attenzione, e qualche profitto intellettuale. Allora si verificava che omnia cooperantur in bonum a quelli che cercano Dio solo, la sua gloria e la salute delle anime. Questo vostro confratello convertiva coi pensi; io lo credo una benedizione speciale di Dio, e caso piuttosto unico che raro: ma riusciva perchè si faceva vedere caritatevole.
Ma non si venga mai a far uso del così detto camerino di riflessione. Non c’è malanno, in cui non possano precipitare l’alunno la rabbia e l’avvilimento, che lo assalgono in una punizione di tal natura. Il demonio prende da questo castigo un impero violentissimo sopra di lui, e lo spinge a gravi falli, quasi per vendicarsi di colui che lo volle punire in quel modo.
Nei castighi summentovati si ebbero soltanto di mira le mancanze contro alla disciplina del collegio; ma nei casi dolorosi che qualche allievo desse grave scandalo, o
commettesse offesa al Signore, allora egli sia condotto immediatamente dal Superiore, il quale nella sua prudenza prenderà quelle efficaci misure che crederà opportune. Che se poi uno si rendesse sordo a tutti questi savii mezzi di emendazione e fosse di cattivo esempio e scandalo, allora costui dev’essere allontanato senza remissione, in guisa però che per quanto è possibile si provveda al suo onore. Questo si ottiene col consigliare il giovane stesso a chiamare ai parenti che lo tolgano, o consigliare direttamente i parenti a cambiar collegio, nella speranza che altrove il loro figliuolo faccia meglio. Quest’atto di carità suol operare buon effetto in tutti i tempi, e lascia, anche in certe penose occasioni, una grata memoria nei parenti e negli alunni.
I maestri od assistenti non mettano mai fuori di scuola alcun colpevole, ma in caso di mancanza si faccia accompagnare dal Superiore.
Finalmente mi resta a dirvi ancora da chi deve partire l’ordine, il tempo ed il modo di castigare.
Questi dev’essere sempre il Direttore, senza però che egli abbia a comparire. È parte sua la correzione privata, perchè più facilmente può penetrare in certi cuori meno sensibili; parte sua la correzione generica ed anche pubblica; ed è anche parte sua l’applicazione del castigo, senza però che egli, per via ordinaria, la debba eseguire od intimare. Perciò nessuno vorrei che nessuno si arbitrasse di castigare senza previo consiglio od approvazione del suo Direttore, il quale solo determina il tempo, il modo, e la qualità del castigo. Nessuno si tolga da quest’amorevole dipendenza, e non si ricerchi pretesti per eludere la sua sorveglianza. Non ci dev’essere scusa per far eccezioni da questa regola della massima importanza. Siamo ubbidienti perciò a questa raccomandazione che io vi lascio, e Dio vi benedirà e vi consolerà per la vostra virtù.
Ricordatevi che l’educazione è cosa di cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e ce ne dà in mano le chiavi. Procuriamo perciò in tutti i modi ed anche con questa umile ed intiera dipendenza di impadronirci di questa fortezza chiusa sempre al rigore ed all’asprezza. Studiamoci di farci amare, di insinuare il sentimento del dovere e del santo timore di Dio, e vedremo con mirabile facilità aprirsi le porte di tanti cuori, ed unirsi a noi per cantare le lodi e le benedizioni di Colui, che volle farsi nostro modello, nostra via, nostro esempio in tutto, ma particolarmente nell’educazione della gioventù.
Pregate per me, e credetemi sempre nel SS. Cuore di Gesù
Giorno di S. Francesco
1883
Vostro Aff. Padre ed Amico
Sac. Giovanni Bosco
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