Loris Bolzon, incaricato di questa casa, ci racconta la sua esperienza...
Non poteva mancare il nostro appuntamento settimanale con "Lo grideranno le pietre"! Ringraziamo ancora una volta tutti voi che, personalmente o attraverso mail, ci fate sapere quanto questa rubrica vi piace e vi dia molti spunti su cui pensare. L'invito di Papa Francesco a riflettere sulle opere di misericordia ci sta facendo scoprire tante persone che vivono la misericordia come missione ogni giorno attraverso il loro lavoro e il loro servizio: che bello!
Oggi ospitiamo Loris Bolzon, incaricato della Casa Don Bosco per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati di Udine (Bearzi).
Eccoci quindi a parlare con un personaggio che lavora nei nostri ambienti salesiani; le sue parole sono davvero interessanti. Lo ringraziamo per la disponibilità e per il tempo che ci ha dedicato, assicurandogli un ricordo speciale per questa missione tanto bella quanto impegnativa.
Buona lettura!
Buongiorno Loris! Ci racconti un po' di te?
Ciao, mi chiamo Loris Bolzon, sono un udinese di più di trent’anni che negli ultimi anni vive a San Daniele con la mia piccola e meravigliosa famiglia: mia moglie Ilaria e la nostra stupenda bimba Mia. Quando non corro dietro a loro mi piace dedicarmi ad ogni sorta di lavoro manuale. Poi se riesco cerco di portare questa mia passione nel lavoro che svolgo da più di dieci anni con i ragazzi ospitati nella Casa Famiglia del Bearzi.
Come mai hai deciso di fare questo lavoro?
Sono il quarto di cinque fratelli, Marco, Lucia, Raffaella, io ed Antonio. Ho sempre vissuto in un clima di condivisione e di sostegno reciproco e visto i miei genitori donarsi totalmente per offrire a noi figli tutto ciò che ritenevano giusto darci. Credo sia sorto in me nel tempo il piacere di dare il mio contributo, mettendomi al servizio di chi ha bisogno di un aiuto. Dopo molti anni, in cui ho cercato di capire quale fosse la mia strada per fare questo, sono stato chiamato da un salesiano amico di famiglia a provare a vivere una settimana al mare con i ragazzi della Casa Famiglia. Da lì in poi un po’ alla volta stare coi ragazzi è diventato il mio lavoro.
In base alla tua esperienza finora, è come te lo immaginavi?
Posso dire che ogni giorno non è mai come me lo immagino. Appena metto il piede in Casa Famiglia ho davanti delle persone che mi chiedono, a modo loro, di aiutarli a crescere crescendo assieme in uno scambio reciproco. Cerco sempre di prefigurarmi la giornata di lavoro e questo mi aiuta ad essere pronto ad incontrare i ragazzi ma gli imprevisti e le situazioni da risolvere scombinano spesso i piani. Questo è anche il bello dell’educare. Cogliere quello che ci accade come occasione per condividere un pezzo di strada e dare il nostro contributo come educatori e come cristiani.
Cos’è “Casa don Bosco”? Com’è nata e di cosa si occupa?
Casa Don Bosco è una comunità che accoglie minorenni. Ragazzi stranieri che non sono accompagnati da nessun genitore. Questi ragazzi hanno diritto ad una tutela che prevede l’accoglienza in strutture adeguate alle loro esigenze. La nostra comunità è nata in risposta alla sempre più grande affluenza in regione di questo tipo di ragazzi. Come salesiani abbiamo ritenuto nostro dovere lasciarci interpellare da questa esigenza. Sono fra i “meno avvantaggiati” di cui si occupava don Bosco.
Cosa significa per te ALLOGGIARE I PELLEGRINI/FORESTIERI?
Ad essere sincero non credo di aver mai dato alloggio ad una persona forestiera. Ho dato ospitalità in casa mia a persone che conoscevo e di cui mi fidavo. Ormai molto tempo fa ho dato un passaggio a delle persone che facevano l’autostop. Può sembrare banale, ma solo in quelle occasioni ho sentito il brivido dell’ignoto. A volte non è stato piacevole. Ma una volta concluso il viaggio mi sentivo soddisfatto di aver aiutato una persona. Alloggiare vuol dire fare spazio dentro al proprio spazio privato. Non è facile.
Oggi che cosa vuol dire alloggiare i pellegrini/forestieri?
Oggi alloggiare un forestiero è una sfida sicuramente complessa. Devi pensare alla reciproca sicurezza, devi fare uno sforzo a comprendere il forestiero e dare ascolto ai suoi bisogni. Allo stesso tempo si aprono scenari più ampi di natura economica e politica che non si possono trascurare. Dare un alloggio oggi non è un azione che compi una tantum. È una scelta che fai nel tempo. E protraendosi nel tempo è una scelta che muta, migliora e può anche risolversi in una non accoglienza nel momento in cui non ci sono le condizioni per poterla fare.
Che tipi di forestiero e che sfide incontri ogni giorno nel tuo lavoro?
I ragazzi “forestieri” che incontriamo non sono poi molto diversi dai ragazzi italiani, hanno i loro sogni, i loro desideri, sono spensierati e complicati come possono esserlo gli adolescenti. La sfida immediata è il comprendersi nonostante si parli lingue diverse. Tuttavia sono certo che ci siano altri linguaggi, oltre quello verbale, che trasmettono comunque i contenuti che desideriamo condividere. Bisogna dar sfogo alla fantasia e questo problema si supera. La sfida più grande è la diversità di cultura e di “etica”. Su questo piano talvolta si creano fratture profonde, poiché gli obiettivi reciproci non coincidono. E la convivenza non diventa più possibile.
Quali aspetti del carisma salesiano sono particolarmente adatti, al giorno d’oggi, per alloggiare queste persone, secondo te?
I salesiani traggono la loro forza anche dall’essere una grande comunità. La scelta di fornire questo tipo di ospitalità è stata una scelta soppesata, condivisa e comune. È lavorando in sinergia con tutte le realtà presenti al Bearzi che si affronta con coraggio qualsiasi tipo di difficoltà, ci si aiuta, ci si sostiene e ci si completa.
Papa Francesco ha indetto il Giubileo Straordinario della Misericordia. Cos’è per te la MISERICORDIA?
Misericordia è dare fiducia e credito alle persone. Anche quando siamo di fronte ai fallimenti o ai tradimenti comunque andiamo incontro a quella persona. È farsi violenza contro il senso comune di rifiuto di ciò che è sbagliato. Essere misericordiosi spesso vuol dire sporcarsi con chi è ritenuto sporco. Essere misericordiosi ti espone alla critica del senso comune e del senso del giusto e sbagliato. Essere misericordiosi appaga ma è anche fatica.
Come vivete la misericordia in Casa don Bosco?
È una missione che ci prefiggiamo e ci incoraggiamo a vicenda nel cercare di realizzarla. Concretamente si attua nel dare a questi ragazzi un luogo accogliente dove stare ed scuole dove apprendere la nostra lingua e professioni per il futuro.
Raccontaci un piccolo episodio di misericordia che hai vissuto in prima persona al lavoro o a cui hai assistito…
Mi colpisce in questi ragazzi il forte senso del gruppo che hanno, soprattutto tra connazionali. Nonostante tutti non si conoscessero prima di arrivare in Italia e nonostante tutti siano interessati a raggiungere i propri obiettivi, c’è un sentimento comune che li spinge ad aiutarsi e a farsi carico, un po’, dei pesi degli altri. Parlando di pesi: ancora non mi è successo di riuscire a portare una scatola da una casa all’altra senza che qualcuno di questi ragazzi me la strappi di mano per portarla dove occorre. Piccoli segni di misericordia che ci fanno sentire fratelli di una stessa famiglia: la Casa Famiglia Bearzi.
Loris Bolzon
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