Il mito di Pigmalione ci ricorda quanta responsabilità occorra per costruire. E tutte le cose importanti, a partire dalla scuola, hanno bisogno di essere pensate e costruite con passione
Pigmalione si era innamorato a prima vista della statua d’avorio che lui stesso aveva scolpito. Era il re di Cipro, viveva in un palazzo sontuoso, eppure era un uomo intimamente solo e quando la solitudine gli diventava insopportabile si rifugiava nella sua officina a costruire oggetti splendidi. Ma senz’anima. Un giorno quando vide fra le sue mani la statua della splendida ragazza che aveva con cura ricavato dall’avorio se ne innamori perdutamente. Più Pigmalione la amava, più desiderava parlarle, più le parlava più desiderava condividere tutto ciò che per lui era importante. Come volesse lavorare l’avorio di cui era fatta attraverso la bellezza. Le insegnava allora la poesia, l’astronomia con i nomi di tutte le stelle. Le insegnava il giardinaggio e la meraviglia dei fiori e della natura. Ma Pigmalione con il tempo non riusciva più a essere felice di fianco a qualcosa che vivo in realtà non era. Il mito (ne parla nel I sec a.C Ovidio nel decimo libro delle Metamorfosi) ci racconta allora che Afrodite istilla il soffio della vita nella statua, la rende una persona e celebra le nozze tra lo scultore e la sua opera d’arte.
Si tratta di un mito che resta impresso nell’immaginario dei posteri, aprendo strade che i miti greci sanno aprire, sino a quando Bernard Shaw, nella sua commedia Pigmalione del 1913, fece del professor Higgins l’emblema dell’educatore che scopre e fa brillare le doti di una persona più giovane, senza esserne invidioso. Nel nostro immaginario i due ruoli sono fotografati con i visi di Audrey Hepburn e Rex Harrison in My fair lady. E la storia di Pigmalione non finisce certo qui, ha dato il nome anche al fenomeno psicologico che parla di aspettative, parola meravigliosa e terribile nello stesso tempo. Le aspettative si possono superare ma anche deludere. E continua ogni giorno nelle nostre scuole.
Questo mito ci ricorda quanta responsabilità occorra per costruire. E tutte le cose importanti, a partire dalla scuola, hanno bisogno di essere pensate e costruite con passione. L’epidemia ha aperto una pagina nuova della nostra storia, mettendo il nostro Paese nella condizione di ri-pensarsi (appunto).
A dirci un giorno che l’emergenza sanitaria sarà terminata saranno due cose: l’agognato azzeramento dei contagi e la nostra presa di coscienza che qualcosa è cambiato per sempre. E questo qualcosa cammina sulle gambe dei molti Pigmalioni e su quelle del Piano Nazionale di Ripresa e Resistenza (Pnrr) che vuole investire, tra le altre voci, anche sulla assegnazione di un tutor per i giovani che hanno abbandonato la scuola (si parla di 720 mila ex-studenti) e sull’obiettivo di portare il tasso di abbandono scolastico dal 13% al 9% entro il 2026 (ne ha scritto Federico Fubini sul Corriere del 29 novembre). Sono interventi significativi, in particolare se li si legge alla luce dei dati pubblicati annualmente dallo Human development index (Hdi) che classifica i paesi del mondo in base al loro sviluppo umano oltre che economico. Un indice che valuta l’opportunità di vivere vite che abbiano valore (e che dunque sappiano dare valore). Salute e istruzione ne sono gli indicatori significativi. Sono ferite vive l’impennata della diseguaglianza sociale registrata in Italia come una delle conseguenze più gravi della DAD e l’allarme circa la povertà educativa. E secondo Amartya Sen la povertà morale è persino più difficile da affrontare della povertà materiale.
La scuola resta il luogo deputato per affrontarla, costruendo con passione e responsabilità giovani e valori. Senza lasciare indietro nessuno. Risultare fanalini di coda nei sistemi di valutazione Ocse Pisa è fonte di mancanza di autostima nei confronti delle nostre risorse più importanti.
Ecco il primo qualcosa che deve cambiare per sempre, a scuola dove le future donne e dei futuri uomini che la vivono quando ancora non sanno ancora chi diventeranno. Le nostre aspettative determinano il loro futuro, sono una scommessa aperta. Più pensiamo che le nostre studentesse non siano portate per la matematica, più loro stesse si convinceranno (sbagliando) che quello dei numeri sia un mondo prettamente maschile; più pensiamo che ciò che è antico non abbia valore perchè troppo lontano da noi, più ci convinceremo che basterà studiare che è di moda al momento.
Secondo studi accreditati, tra cui quelli dell’MIT di Boston, gran parte dei lavori che i nostri giovani svolgeranno tra dieci anni, oggi non sono ancora stati inventati. Questo vuol dire che le migliaia di giovani che hanno cominciato le scuole superiori nel settembre 2021 stanno costruendo le loro competenze per professioni che cresceranno con loro. Ecco l’altro qualcosa cambiato per sempre: offrire agli studenti le medesime opportunità, che fioriranno a seconda delle caratteristiche peculiari di ciascuno, ma che in ognuno mettano il seme dell’immaginazione e dello spirito critico.
Ogni studente dovrebbe incontrare filosofi e matematici. E conoscere una volta per tutte la grammatica mentale di almeno una lingua (la propria) su cui improntare la conoscenza di una seconda, terza o quarta lingua. Rimettendo in gioco la fatica di fare fatica e smettendola di fare graduatorie: l’umanesimo (che ha pur sempre a che fare con l’uomo) non sminuisce la tecnica, piuttosto la affianca e ne esalta il sapore.
di Cristina dall'Acqua
tratto da corriere.it
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