Carissimi fidanzati, oggi la dignità della vostra persona e del vostro amore è soggetta ad insidie. La prima è quella di negare quel desiderio di definitività che è insito in ogni vero amore, trasformando e degradando poco a poco il vostro fidanzamento in libera convivenza, anziché elevarlo nella perfezione del matrimonio. Vi prego di prestarmi attenzione. La «libera convivenza», il vivere cioè come sposi nella stessa dimora senza decidere però di esserlo, dà origine ad un rapporto fra uomo e donna nel quale la contraddizione oggettiva fra il non-essere sposi ed il vivere come sposi rende ambiguo ogni gesto. L'esclusione del dono definitivo trasforma la relazione nella concessione fatta all'altro dell'uso di se stesso; l'uno però resta estraneo all'altro. Viene dilapidata la dignità del dono (mons. Carlo Caffarra, Arcivescovo di Bologna e già preside dell'Istituto Giovanni Paolo II per studi su Matrimonio e Famiglia).
del 01 gennaio 2002
Chiarificazioni terminologiche
Le “unioni di fatto” (è preferibile parlare di “unioni di fatto” piuttosto che di “famiglie di fatto”, dato che il termine famiglia comporta un vincolo, religioso o civile, per sua natura permanente e pubblicamente riconosciuto dalla società) sono l’unione e la convivenza stabile, tra un uomo e una donna, senza nessun vincolo giuridico, né religioso (il matrimonio canonico) né civile (il matrimonio civile). Si tratta di una convivenza “stabile” tra un uomo e una donna (anche se la stabilità è legata non a un vincolo oggettivo, ma alla libera volontà dei conviventi).
Le “unioni di fatto” si verificano in due maniere: tra due persone – un uomo e una donna – non legate da nessun vincolo giuridico (religioso o civile); tra persone separate o divorziate che convivono con una persona che non è il proprio coniuge, senza aver stabilito un nuovo vincolo giuridico. Sono molti e molto diversi i motivi che oggi spingono le persone a costituire “unioni di fatto”. Possiamo raggrupparli sotto due categorie.
Coloro che non comprendono che senso abbia il matrimonio
La prima categoria è quella delle persone che non vogliono sposarsi, perché non comprendono che senso abbia il matrimonio, sembrando loro una semplice cerimonia, inutile e costosa: “Se due si vogliono bene – essi dicono –, che bisogno c’è, per vivere insieme, di sottoporsi ad una cerimonia che non dice nulla?”. Questa categoria di persone, inoltre, teme di legarsi “per sempre” per paura di perdere la libertà di separarsi nel caso che il loro amore finisse: non essendo legate da nessun vincolo, la loro eventuale separazione avverrebbe senza gravi traumi e senza dover ricorrere alle pratiche di separazione o di divorzio, che sono sempre dolorose e costose; trovano così comodo e più semplice essere senza vincoli.
Mettere “alla prova” l’amore
La seconda categoria è quella delle persone che vorrebbero sposarsi, ma non possono o non vogliono, almeno per il momento. Si tratta di persone che non escludono il matrimonio a priori, specialmente se dovessero nascere dei figli, ma che per il momento non possono e/o non vogliono sposarsi. Vari i motivi: non si sentono ancora pronti e maturi per affrontare le responsabilità del matrimonio; non sono ancora sicuri che il loro amore sia sufficientemente forte per affrontare le prevedibili difficoltà del matrimonio e vogliono perciò avere un lungo periodo di tempo per mettere “alla prova” il loro amore; non hanno ancora un lavoro stabile e tale che consenta loro di mettere su una famiglia; non hanno ancora terminato gli studi, che per molti giovani oggi vanno al di là del conseguimento della laurea; non vogliono più restare in famiglia con i genitori, ma vogliono avere una vita propria ed essere indipendenti.
C’è poi il caso, forse non tanto raro, di chi vorrebbe celebrare il matrimonio religioso, perché pensa che sia l’unico matrimonio vero; ma non ha la possibilità di contrarlo, perché non ha mai avuto e non ha ora la fede cristiana e perciò gli sembrerebbe di essere ipocrita e incoerente con se stesso se chiedesse di sposarsi in chiesa.
Il “per sempre” fa paura
Il fenomeno delle unioni di fatto è il segno della difficoltà che il matrimonio attraversa, una crisi che ha le sue radici nello smarrimento della visione dell’ “uomo come persona”, sostituita dalla idea di “uomo come individuo”. Il passaggio da una visione personalista ad una visione individualista è la più grande minaccia al matrimonio e alla famiglia. La diversità essenziale fra i due modi di vedere l’uomo consiste nel fatto che la visione individualista nega l’esistenza di legami originari dell’uomo con l’uomo: ogni uomo è esclusivamente se stesso ed è autoreferenziale.
A tale smarrimento, si aggiungono l’instabilità e il cambiamento, componenti peculiari del mondo moderno, in cui tutto cambia con estrema rapidità e in cui pare che non ci sia nulla di solido e di immutabile, e il futuro sia incerto e assolutamente imprevedibile. Per tale motivo non si possono fare progetti a lungo termine. Ora il matrimonio è un progetto a lungo, anzi, a lunghissimo termine, perché dura fino alla morte. Esso, infatti, richiede un impegno incondizionato e duraturo, un sì detto “per sempre”. Si comprende che esso possa far paura, anzi… è normale che faccia paura. Infatti, chi può essere così sicuro di se stesso da poter osare senza alcun timore un passo così grande? Conosciamo la nostra debolezza, la nostra facile volubilità... Proprio per questo due cristiani vogliono amarsi “nel Signore”: vanno da Lui a chiedere di benedire e donare loro la forza di amare e di amarsi “come Lui ama”... ovvero, per sempre, “sino alla fine” (Gv 13,1), perdonando, aspettando i tempi dell'altro, amando anche ciò che non è amabile. Solo chi si mette con umiltà dinanzi all’Amore eterno, a quell’amore che rifiuta la logica del “fin che va”, può dire all’amato/a “per sempre”.
I giovani di oggi si dice che siano più insicuri dei giovani del passato perché vivono in un mondo in continuo mutamento, in cui non ci sono punti di riferimento stabili e sicuri, in cui cioè si vive all’insegna della precarietà e del relativismo anche per quanto riguarda i propri sentimenti più profondi come l’amore per un’altra persona. Il senso d’insicurezza e d’instabilità nei giovani è poi confermato e accresciuto dai molti fallimenti di matrimoni a cui essi assistono e di cui parecchi di essi sono vittime.
Si spiega così che molti giovani o non desiderino affatto sposarsi o rinviino il matrimonio a tempi migliori, quando cioè saranno più sicuri che il loro amore potrà durare e saranno nelle condizioni migliori per formarsi una famiglia, avendo un lavoro stabile e sufficientemente remunerato e una casa in cui poter vivere con quel minimo di agiatezza che oggi è ritenuto indispensabile (sarebbe da chiarire cosa significhi “minimo indispensabile”…!).
Come si deve giudicare il fenomeno delle 'unioni di fatto'?
Dal punto di vista cristiano le unioni di fatto non sono ammissibili. L’unica forma di convivenza stabile tra un uomo e una donna battezzati è il matrimonio monogamico e indissolubile, cioè la comunione di vita tra un solo uomo e una sola donna che non può essere dissolta fino alla morte, sempre che, evidentemente, il vincolo sia stato contratto validamente, cioè consapevolmente e liberamente dai due coniugi, alla presenza di un ministro della Chiesa e di testimoni. In un mondo che è sempre più incerto sui grandi valori dell’esistenza umana, tra i quali il matrimonio occupa un posto di massimo rilievo, abbiamo il compito di «evangelizzare il matrimonio» nella sua valenza cristiana e umana.
Il valore del vincolo
Il compito dei cristiani è quello di mostrare il valore cristiano e umano del matrimonio tra due battezzati. Il valore cristiano sta nel fatto che l’amore umano è elevato alla dignità di sacramento, cioè di segno dell’amore di Cristo per la Chiesa e quindi del dono totale e definitivo che Cristo fa di se stesso alla sua Chiesa. In altre parole, l’amore con cui un cristiano e una cristiana si amano è un riflesso dell’amore che unisce Cristo alla sua Chiesa.
Il valore umano del matrimonio cristiano sta poi nel fatto che esso crea tra due persone un vincolo definitivo che nulla potrà mai spezzare e che dovrà sussistere «nella buona e nella cattiva salute, in ogni circostanza, felice o avversa»: un vincolo perciò che dà agli sposi la gioia del dono di sé, totale e reciproco, e la sicurezza di poter trovare, l’uno nell’altro, l’amore, il sostegno, la forza. L’esistenza di un vincolo è caratteristica dell’amore: tanto più si ama, tanto più si desidera di essere “legati”, uniti l’un l’altro. Chi più ama, più dipende. Non si può dire al tempo stesso “Ti amo” e “Voglio essere indipendente da te”. Questo annulla quello. Quando si ama, si dipende. L’amore anela alla totalità del dono che si realizza nell’essere a tal punto dono, “vincolati” l’uno per l’altro da essere un’unica cosa. In questo senso il vincolo non è un limite alla mia libertà, bensì conseguenza di un dono totale e aiuto nella fragilità.
Comprendere l’amore
Un grande pensatore ha scritto: “Non possiamo render conto filosoficamente dell’essenza dell’uomo finché non comprendiamo la vera essenza dell’amore. Poiché solo nell’amore l’uomo si desta alla sua piena esistenza personale, solo nell’amore egli attualizza la totale pienezza dell’amore” (D. von Hildebrand, Essenza dell’amore, Bompiani, Milano 2004, p. 5).
E l’amore non “si prova”, perché è fiducia, non si contratta perché è dono, non si conta perché è eterno. Il nuovo rito del matrimonio (cf. Teologo Borel in Donboscoland.it) dovrebbe aiutare in tutto questo. Speriamo che le novità introdotte siano di aiuto alla famiglia nascente e non ulteriore motivo di curiosità per fotografi e parenti.
Bibliografia & Approfondimenti
·Carlo Caffarra, Testi vari in www.caffarra.it .
·Giuseppe De Rosa, Il matrimonio è in crisi? Le 'unioni' che scuotono i credenti, in La Civiltà Cattolica.
·Rodolfo Casadei, Il buon selvaggio, in www.tempi.it .
·Vincenzo Fagiolo, Solo il matrimonio tutela la famiglia. Non le unioni di fatto né i patti di solidarietà, in l'osservatore romano, mercoledì 26 maggio 1999.
·Leandro Rossi, Fare leva sul positivo, in Famiglia oggi, febbraio 2000.
don Igino Biffi
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