di Stefano Vecchia, tratto da avvenire.it
Alta tensione a Myitkyina dopo gli spari alla cattedrale di San Colombano e l’uccisione di due giovani che vi si erano rifugiati. I religiosi sono sempre più punto di riferimento dei manifestanti
Nel Nord del Myanmar, a Myitkyina, capoluogo dello Stato Kachin, la tensione resta alta dopo gli scontri di lunedì nella cattedrale di San Colombano, nel cui complesso avevano trovato rifugio alcuni manifestanti per sfuggire alla repressione e dove due giovani sono stati uccisi dai proiettili. Sette i feriti e decine gli arresti. A cercare di evitare altro spargimento di sangue erano intervenuti il vescovo emerito monsignor Francis Daw Tang e alcune religiose.
«Chiediamo di non uccidere – avevano fatto sapere le suore in una testimonianza diffusa dall’agenzia Fides. Per questo ci siamo rivolte ai militari. Abbiamo paura che gli agenti di polizia uccidano i giovani manifestanti. La nostra presenza di persone di fede, operatrici di pace, può aiutare a farli desistere: ogni vita è preziosa». Tra di loro anche suor Ann Rosa Nu Tawng, la religiosa della Congregazione di San Francesco Saverio già nota per essersi inginocchiata davanti ai poliziotti antisommossa il primo marzo chiedendo loro di fermarsi. Ieri hanno fatto il giro del mondo le immagini dei poliziotti buddisti inginocchiati davanti a lei con le mani giunte in segno di omaggio.
Un simbolo, la piccola suora birmana, della tenacia e della coerenza di una fede fortemente minoritaria che con coraggio ha affrontato la persecuzione negli anni della dittatura e che dal 2011 accompagna il percorso del Myanmar a guida civile sotto la pesante tutela delle forze armate. Un ruolo essenziale, il suo, nella transizione democratica e da qui il coinvolgimento accolto e soprattutto offerto nel processo di ricostruzione nazionale e di riconciliazione, sempre al fianco dei gruppi più emarginati. A partire dalle minoranze etniche la cui consistenza (il 35 per cento della popolazione complessiva), collocazione geografica e ruolo storico restano essenziali ma per troppo tempo misconosciuti.
A indicare le caratteristiche di una Chiesa tenace nonostante le difficoltà e le persecuzioni era stato nel 2014 l’arcivescovo di Yangon, monsignor Charles Maung Bo, durante le cerimonie che avevano accompagnato le celebrazioni dei 500 anni dell’evangelizzazione della Birmania: «La nostra gente si è confrontata con povertà e persecuzione – anche con la morte – ma non ha mai mancato di testimoniare la propria fede – aveva detto l’oggi cardinale Bo –. Una fede consolidata da lacrime e sangue che unisce tutti noi che arriviamo da ogni parte del Myanmar».
Altrove nel Paese, la giornata di ieri è stata tesa, ma senza le grandi manifestazioni dei giorni precedenti. Circondati nella notte di lunedì da polizia e militari a Yangon, centinaia di giovani sono riusciti a rompere l’accerchiamento e a disperdersi prima che arrivasse la notizia della morte in detenzione, presumibilmente per i maltrattamenti subiti, di un altro esponente della Lega nazionale per la democrazia, partito alla guida del movimento contro la dittatura e fino al golpe del primo febbraio alla guida del Paese. Zaw Myat Lin era stato prelevato ieri mattina dalla sua abitazione ma nel primo pomeriggio ne è stato comunicata la morte. Una sorte simile a quella di Khin Maung Latt, fermato sabato e deceduto il giorno successivo, probabilmente per le torture subite.
Sono ormai una sessantina i morti nella repressione e almeno 2.000 gli arrestati, ma le retate notturne e gli arresti indiscriminati proseguono e si teme un irrigidimento dei provvedimenti repressivi, tra cui l’imposizione del coprifuoco diurno. Nell’impossibilità di sedare la reazione popolare e sempre più sotto pressione sul piano internazionale, il regime cerca di fare terra bruciata attorno al movimento democratico, con arresti di massa e uccisioni mirate. Da ieri si è aggiunta una stretta su mass media, con il blocco delle pubblicazioni per cinque testate (Mizzima, Dvb, Khit Thit Media, Myanmar Now e 7Day News) considerate «ostili» alla giunta militare.
Elevati restano anche i rischi per il personale medico che si trova ora assediato dalle forze di sicurezza negli ospedali per impedire iniziative di boicottaggio. Rischi anche per i paramedici e i volontari che cercano di soccorrere le vittime della repressione. Diverse ambulanze sono state devastate o sono diventate bersaglio di colpi d’arma da fuoco. Una di queste, fermata il 3 marzo nel distretto di Nord Okkalapa a Yangon, è stata danneggiata e i volontari malmenati. Ripreso da una videocamera, un poliziotto ha sparato un colpo di fucile contro l’automezzo. Il bossolo ritrovato, hanno denunciato mass media democratici, sarebbe di fabbricazione italiana, nonostante l’embargo sulle armi a cui il Paese è sottoposto. L’azienda chiamata in causa ha già smentito l’esportazione di propri prodotti verso il Myanmar.
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